Burini Marco
Il Papa, la rete e il Vangelo
2015/9, p. 8
Viaggio nel web con la guida di un acuto osservatore per capire quello che si dice del papa e della Chiesa. Fra domande, critiche e consensi si profilano i punti più rilevanti del suo magistero e della sua testimonianza.
Intervista a Luis Badilla direttore de Il Sismografo
Il papa, la retee il Vangelo
Viaggio nel web con la guida di un acuto osservatore per capire quello che si dice del papa e della Chiesa. Fra domande, critiche e consensi si profilano i punti più rilevanti del suo magistero e della sua testimonianza.
Luis Badilla sembra uscito da un romanzo di Roberto Bolaño, non è affatto vecchio ma ha già vissuto alcune vite, una più avventurosa dell’altra. È stato un giovanissimo collaboratore di Salvador Allende in diverse e delicate circostanze, al momento del golpe del ’73 non era alla Moneda per una serie di circostanze fortunate e, come dice lui, per tanti anni non ha rimesso piede in patria «perché con Pinochet avevamo un’incompatibilità di carattere». Nella sua vita presente questo cileno secco secco e dallo sguardo penetrante è uno degli uomini più preziosi e meno conosciuti a servizio del papa. Per anni ha lavorato alla Radio Vaticana e poi si è messo in proprio aprendo un sito web, in termini tecnici un aggregatore, che tiene d’occhio tutto ciò che riguarda anzitutto il papa e il Vaticano e poi la Chiesa nel mondo: Il Sismografo setaccia tutto quello che passa in rete e rilancia ciò che è degno di attenzione, nel bene e nel male. Con acribia e fiuto. Badilla e il suo minuscolo staff di collaboratori portano avanti un monitoraggio quotidiano.
– La scossa data da questo fenomeno ha mandato in tilt anche i rilevatori del Sismografo?
«Sono nel mondo dell’informazione da tanto tempo ma non mi era mai capitata una cosa del genere. Bergoglio è uno spartiacque, la sua personalità desta enorme curiosità. C’è una sorta di frenesia attorno a quest’uomo e cose che oggi non fanno più notizia nei primi dieci mesi erano la notizia: le telefonate, ad esempio. Che d’altronde lui continua regolarmente a fare. D’altra parte Bergoglio riesce da subito, fin dalla sera dell’elezione, a stabilire un feeling con l’opinione pubblica ben oltre il mondo cattolico. E quando, nei primissimi giorni, si rivolge ai cardinali come ai giornalisti, si capisce che è un papa con delle priorità intellettuali ed ecclesiali inattese».
—La gente intuiva
– Un uomo curioso?
«Sì, e con un linguaggio insolito che mette sul tappeto argomenti che nessuno si aspettava da un papa. Basta pensare al famoso discorso ai giornalisti accreditati per il conclave, il 16 marzo, il momento della consacrazione mediatica. Ma c’è una cosa interessante: alla vigilia del conclave erano state fatte interviste alla gente in tutto il mondo e tutti, alla domanda ‘quale papa vorresti’, dicevano più o meno la stessa cosa: vogliamo un samaritano, capace di piegarsi sulle sofferenze del mondo, un papa che si faccia capire perché parla dei problemi di tutti, con i piedi per terra. Una sorta di premonizione, di prefigurazione di molte delle caratteristiche dell’uomo Jorge Mario Bergoglio.
– Tanto atteso dalla gente quanto sorprendente per gli addetti ai lavori. Bergoglio era un outsider che nessuno metteva in conto e il 13 marzo è stata la Waterloo dei vaticanisti.
«Una conferma di quanto diceva un leone della Chiesa, il navigato cardinal Siri: “I papi si fanno nel Conclave!”. La gente, invece, ha percepito molto di più e molto più seriamente la crisi della Chiesa di quanto l’abbiano percepita gli addetti ai lavori. Ecco perché i vaticanisti non ci hanno preso. L’unico, e gliene va dato atto, è stato Jacopo Scaramuzzi. Spinto da una questione di cuore, ha detto poi, ma anche da un ragionamento: i cardinali erano consapevoli del bisogno di una svolta. Non bastava eleggere un altro papa, doveva essere radicalmente diverso».
– Qual è il sentimento, le vibrazioni della rete oggi, in pieno pontificato bergogliano?
«L’interesse è andato sempre crescendo. Oggi è più alto di quando è stato eletto. E va in due direzioni: da un lato l’interesse per la persona, il sacerdote, il suo stile di vita, di agire, di lavorare, di parlare, si è mantenuto molto alto e quando non c’è un argomento specifico la stampa trova comunque un modo di parlarne; dall’altro lato questo interesse si è organizzato attorno a cosa rappresenta questo papa per la Chiesa, la riforma, le cose necessarie da fare, le questioni di fondo. In questo senso il sinodo della famiglia è l’argomento che interessa di più chi si occupa dei contenuti del magistero».
– Insomma la star mediatica Francesco non si è preso tutta la scena. C’è spazio anche per la Chiesa.
«Sì e no. Per un certo tempo la curiosità per la biografia di Bergoglio aveva finito per fagocitare tutto il resto, ora non è più così, c’è un certo equilibrio e ci si domanda: cosa dice e cosa pensa Francesco? Soprattutto sulla famiglia, ma ci sarebbero altri temi da approfondire come la povertà. In questa fase di riequilibrio c’è meno personalizzazione. L’enciclica Laudato si’ è emblematica: mette in secondo piano lo stesso Bergoglio rispetto ai temi di cui discute. E questo mi permette di far notare un aspetto troppo poco sottolineato: la sua straordinaria capacità di riportare al centro dell’attenzione temi di cui non si parlava da anni. D’altronde lui è enormemente ascoltato, magari anche per criticarlo. Resta il fatto che oggi come oggi – e mi rendo conto di dire una cosa forte – l’agenda del mondo la detta il papa e gli altri arrivano dopo. Anche sulle cose più modeste. Da quando il papa si mette a visitare carceri anche molti leader, politici e religiosi, hanno messo piede in una prigione, forse per la prima volta in vita loro».
—È diventatoun altro
– Però il gioco non lo conduce lui. Forse chi ha in mano la comunicazione lo sta usando come il volto pulito, che piace alla gente, dietro cui nascondersi.
«Anzitutto faccio notare che papa Francesco non corrisponde al cardinal Bergoglio che era un uomo schivo, non rilasciava interviste, temeva i giornalisti e si infastidiva davanti ai microfoni. È capitato anche a me. Bergoglio non era come lo vediamo adesso nei confronti della gente: ne vedeva molta ma erano incontri personali, non gradiva i raduni e se la svignava alla svelta. Non dava nemmeno la comunione a quei politici che andavano alle celebrazioni in cattedrale per paura di essere strumentalizzato. Tutti gli argentini dicono la stessa cosa: adesso è un altro uomo. C’è stata dunque una metamorfosi. Non so spiegartela, qualcuno parla di stato di grazia. Comunque dietro papa Francesco non c’è nessuna regia mediatica, non ci sono consulenti d’immagine o cose del genere, malgrado qualcuno provi ad accreditarsi in tal senso. In effetti fa impressione che nel giro di due anni un uomo dal nulla diventi il personaggio più conosciuto, più amato e più autorevole dell’umanità, non solo dei cattolici. In effetti mai un papa era stato tanto citato dai leader politici, mai. Per quanto riguarda la comunicazione di massa, Francesco opera con gli stessi strumenti e le stesse persone con cui hanno operato i suoi ultimi due predecessori. In questo ha pienamente ragione padre Spadaro: è lui come papa il fenomeno, “la comunicazione”, e in questo stato di grazia credo che abbia scelto in modo deliberato e consapevole di mettersi al centro, ben sapendo la sfida che la Chiesa aveva davanti. Si potrebbe dire che Bergoglio si avvale di Francesco per parlare del vangelo e della Chiesa. Il suo primo servizio è quello di donare alla Chiesa la sua persona».
– Come se dicesse: va bene, sto al gioco, «ad maiorem Dei gloriam».
«In questo senso sì, ma con una postilla importante: chi ha capito meglio la rinuncia di Benedetto XVI, il discorso dell’11 febbraio 2013, è proprio Bergoglio. I mutamenti sono rapidissimi, le mie forze non mi consentono di seguire questi cambiamenti eppure la barca di Pietro non può smettere di funzionare perché il vangelo ha di fronte sfide che vanno affrontate, dice in sintesi Benedetto. Bergoglio assume questa urgenza. Ecco perché Bergoglio ha fretta, brucia i tempi, ha fatto in due anni quello che in un pontificato di norma si faceva in dieci. Non perché è frenetico o perché dorme poco, c’è una ragione di fondo».
—Per la riforma
– È anche la santa inquietudine gesuitica.
«Probabile. Come dice nell’enciclica a proposito dei problemi ambientali, non basta avere buone soluzioni, occorre applicarle nel momento opportuno perché poi potrebbe essere troppo tardi. Io credo che lui sia molto consapevole che la situazione in cui prende in mano la Chiesa, i tempi che ha davanti, consentono una sola manovra: mettersi al centro e farsi ascoltare. Nella sua vita è già successo. Quando viene eletto provinciale dei gesuiti, 42 anni fa, e poi quando viene chiamato dal cardinale Quarracino come coadiutore con diritto di successione: anche lì riceve una Chiesa in crisi, con una banca cattolica in uno stato simile allo Ior – dove non a caso ha poi applicato lo stesso metodo sperimentato a Buenos Aires. Io credo che quello che alcuni descrivono come stato di grazia nuovo, inedito, sia in realtà una scelta fredda, razionale, pensata. E forse, quando lui crederà di aver raggiunto il giro di boa che rimette le cose nel corso normale della storia, di per sé sempre molto dinamico, farà un passo indietro. In qualche modo ci sta dicendo: sì, io sono il papa, ma sono stato eletto per fare questo, quindi a un certo punto posso anche non farlo più».
– Il ministero petrino è un tesoro della Chiesa, non del singolo.
«Appunto. Quindi io lo immagino che si dimette, si congeda e prende l’aereo per Buenos Aires per finire i suoi giorni. Non lo vedo sepolto nelle Grotte Vaticane».
– Provo a immedesimarmi in Jorge Mario B.: «Va bene, ci sto. Mi prendo questo ruolo, mi metto in gioco perché questo è il kàiros, il tempo propizio, e sono il vescovo di Roma. Lo faccio anche con la dovuta distanza critica, quindi non pensiate di incastrarmi con il culto della personalità. E soprattutto lo faccio perché alla fine il vangelo dei poveri torni al centro della scena».
«Siamo al problema, al nocciolo della questione. Secondo me, a un certo punto della sua vita è arrivato a una conclusione: la Chiesa è in crisi. E non per tutte le ragioni che si sono date in questi ultimi cinquant’anni: perché il Concilio era troppo spinto, perché è stato tradito, perché non è stato applicato, perché si sono scoperti molti preti pedofili… No, la Chiesa è in crisi perché ha abbandonato e tradito il vangelo. La Chiesa stessa, la religione più in generale, sono diventate potere. Quindi finché sono potere saranno sempre in crisi e verranno usate o scartate, secondo convenienza, dai potenti. Per Francesco la vera crisi è il tradimento, il mettere in secondo piano Cristo e il suo vangelo. Perciò lui ritiene che l’unico modo per riportare la Chiesa a quello che dovrebbe essere è tirarla fuori da questa mutazione genetica».
—Oltreil potere
– Recentemente Enzo Bianchi ha usato una formula efficace: Francesco non si presenta come il sostituto di un assente. Mentre troppe volte con gli uomini di Chiesa l’impressione è esattamente questa. Bergoglio ha la stoffa del profeta che oggi si trova a capo dell’istituzione. Ma questo crea un attrito.
«Credo che anche in questo caso vadano prese alla lettera le sue parole. La Chiesa ha bisogno di una banca, di una struttura burocratica, perché non si può annunciare il vangelo in modo bucolico, disincarnato. Ma al tempo stesso lui dice: tutto questo mastodonte, questo dinosauro non serve perché ha tradito la Chiesa, il suo messaggio. Dobbiamo ridurre, dobbiamo ridimensionare. Io immagino che nella sua testa – ma è sempre un esercizio mio – pensi a una Chiesa bonsai, domestica, dove si può fare tutto con le minime risorse possibili e la minor quantità possibile di regole. Il suo progetto di riforma è ridimensionare il mastodonte che abbiamo creato man a mano che la Chiesa si associava sempre più a forme di potere. Così come lui ha poca fiducia nella politica perché ormai ostaggio della finanza, immagino che in un qualche modo ritenga la Chiesa stessa presa in ostaggio da un sistema che la vede come uno stato, una struttura, un ente erogatore di servizi, un magistero funzionale che si può citare per fare i comodi propri.
Lo abbiamo visto in questi giorni, in Italia, a proposito del dibattito sull’accoglienza dei migranti. Molti, tra cui politici sino a ieri cattolicissimi, hanno scoperto – ma non lo dicono – che il vangelo preso sul serio e non per raccattare voti, è scomodo ed esigente. Allora hanno fatto come era prevedibile: scaricare la loro presunta fede. Quel che lui va dicendo in giro è molto dirompente ma proprio in quanto dirompente e per certi versi sovversivo, in alcuni ambienti, viene ignorato. I destinatari dei messaggi del papa, a volte destinatari unici delle sue parole, fanno finta di niente. D’altronde in questi due anni e mezzo non ho mai trovato una critica dottrinale a Bergoglio, e dire che le ho cercate in maniera spasmodica. Ci sono state critiche dottrinali persino a Benedetto XVI e non poche a Giovanni Paolo II, ma a Francesco no. Sul sesso, sulla famiglia, sulla Dottrina sociale della Chiesa: nulla. D’altronde se si va a rileggere i suoi testi, soprattutto quelli dell’ultimo viaggio in America Latina, sono ripresi dalla dottrina tradizionale che lui riporta con piccole modifiche senza usare le virgolette. Ecco perché sull’aereo di ritorno a chi gli fa una domanda sulla dottrina sociale risponde: «non è la Chiesa che segue Bergoglio, è Bergoglio che segue la Chiesa». Anche riguardo alla Laudato si’ tutte le critiche sono di tipo pastorale o sociologico o scientifico ma non c’è una sola critica dottrinale. Il silenzio del potere dimostra che è spiazzato. Quello che dice Francesco è inattaccabile: per attaccare lui dovrebbe attaccare Cristo stesso».
– Insomma Francesco non ha avversari all’altezza.
«Anche perché non ha mai offerto il fianco a una critica dottrinale. È impeccabile, non c’è alcuna fessura. Io credo che lui sia molto attento a questo perché sa benissimo che la forza del suo messaggio sta proprio in questa fedeltà. Poi ci sono le sue caratteristiche personali: un uomo di dialogo, aperto, senza paura, curioso, che sa ascoltare, che applica – come direbbe Totò – la livella ma non ai morti, ai vivi, e quindi per lui è interessante tanto il sovrano quanto la vecchietta. In questo la sua biografia è determinante: la sua famiglia, il fatto di essere un migrante, le sofferenze, le difficoltà. La sua vita non è stata facile e poi si è formato ed è cresciuto in una cultura diversa. È il primo papa non europeo dopo dodici secoli, non è figlio della guerra fredda, in lui non ci sono quelle categorie. Guerra fredda che noi latinoamericani abbiamo vissuto di riflesso e in un modo piuttosto singolare perché è quel clima che spiega le dittature militari. Grazie a Francesco l’America Latina sta rileggendo la propria storia e da fuori la si vede con un altro occhio».
—Imperoceleste
– Finalmente è finito il Novecento anche per voi.
«Secondo me sì. E prossimamente finiranno anche altre cose».
– Forse, a pensarci bene, l’unico avversario di Francesco sulla faccia della terra è l’imperatore della Cina, in quanto portavoce del confucianesimo, anzi di quel neoconfucianesimo con cui – lo ha spiegato bene lo storico Paolo Prodi – bisogna fare i conti. E chissà se Xi Jinping è consapevole fino in fondo del suo ruolo…
«Penso che in Bergoglio ci sia una particolare attenzione alla Cina. Alcuni sono andati in avanscoperta per conto del papa, altri andranno. È un’area privilegiata sulla quale il papa è molto attento, così come il suo segretario di Stato. La Santa Sede ha una strategia di avvicinamento, con alcune caute risposte cinesi. Una prima tappa tipicamente bergogliana, che ha già avuto successo in altre occasioni, è il rapporto personale che il papa sa coltivare in modo geniale. E anche molto sincero, con tutti i rischi che questo comporta. Comunque Francesco ha scritto al presidente cinese e una risposta c’è stata. Poi c’è tutto il tema della cosiddetta Chiesa patriottica che è un ostacolo alla normalizzazione dei rapporti con la Cina, come lo è Taiwan – anche se su questo secondo aspetto c’è già la soluzione con la Santa Sede disposta a chiudere i rapporti diplomatici con Taipei in cambio di quelli con Pechino. Penso che lo scopo fondamentale del papa sia proteggere i cattolici cinesi, fedeli o no a Roma, con una formulazione giuridica sulla libertà religiosa. Non mi sembra che ci siano strade non percorribili in partenza, la diplomazia vaticana nei confronti della Cina è quanto mai flessibile. Non tanto perché la Cina sarà la prossima prima superpotenza ma perché ritiene che il cattolicesimo in Asia senza una normalizzazione dei rapporti con la Cina difficilmente potrà decollare. Resta un ostacolo: il fatto che il Vaticano sia uno stato, sia pure minuscolo. I cinesi identificano il papato e lo stesso cattolicesimo con lo Stato Vaticano e quindi ritengono, nei documenti privati e pubblici, che la nomina di un vescovo in Cina di fatto sia l’ingerenza di un altro stato».
– D’altronde il confucianesimo è questo, identificazione tra religione e stato.
«Qui forse c’è il problema più grosso nell’intendersi. Subentrano tradizioni, cultura, paradigmi…».
– Inculturazioni non riuscite…
«Esatto. È un problema di percezione culturale. Forse un domani la Chiesa in Cina avrà uno status diverso rispetto a quello che ha in altre nazioni, specie per quanto riguarda la nomina dei vescovi: non una Chiesa istituzionalmente autocefala ma episcopalmente autonoma, legata alla sede di Pietro dal punto di vista del magistero ma con pochi legami dal punto di vista canonico, disciplinare. E penso che la flessibilità con cui la Santa Sede tratta la questione sia dovuta a questa consapevolezza: nessun cinese, nemmeno cattolico, sopporterebbe una Chiesa sinonimo di occidente. Tutto quello che la Chiesa fa per scongiurare questa identificazione, faciliterà l’accordo».
—Il popoloe il suo odore
– Mi pare ci sia trepidazione per l’impresa evangelica di Francesco. Il popolo di Dio si stringe attorno al pastore e gli dice: «Dai che ce la fai, siamo con te, ti sosteniamo nella tua azione».
«Anzitutto faccio notare che c’è un modo di leggere il papato e tutto quello che gli sta attorno molto italiano. Questo ha a che fare con il conclave e la scelta di Bergoglio. In quel momento molti cardinali si sono lamentati dell’‘italianizzazione’ della Chiesa, ovvero identificare l’annuncio del vangelo con una struttura di potere. Visto invece con gli occhi del resto del mondo, la trepidazione di cui si parlava c’è, c’è il timore che non possa farcela o perché troppo vecchio o perché malato o perché lascia. Questo spiega la morbosa attenzione alla salute del papa. Anche nel recente viaggio in America Latina certe manifestazioni di massa lasciano intravvedere questo: noi siamo qua, non mollare, non sei solo, potrai avere nemici ma non temere. Poi, per quanto riguarda i presunti nemici del papa dentro le gerarchie, tipo quelli che scrivono libri e cose del genere, io ho un’opinione un po’ particolare: in realtà non esistono nemici del papa, cioè non ci sono persone in grado di creare un’opposizione a Francesco né tra i cardinali né tra gli episcopati».
– Non ci sono personalità forti?
«È così. Tutti quelli che vengono presentati come avversari del papa sono una creazione esterna, mediatica, più che una opposizione interna vera e propria. Certo, Bergoglio non gode dell’unanimità: ci sono cardinali e vescovi più o meno critici o perplessi – d’altronde è già successo a Benedetto XVI e a Giovanni Paolo II e in forme ben più clamorose e organizzate – ma non hanno avuto una gran fortuna, in parte perché non sono personalità di grande calibro e in parte perché l’unico modo per costruire un’opposizione al papa, come insegna la storia, è sul piano dottrinale. Ma, come già dicevo, in questo Bergoglio è inattaccabile. E quindi anche alcuni di quelli indicati come nemici del papa, ad esempio il cardinale Burke o il cardinale Sarah, si sono affrettati a rifiutare questa etichetta. L’opposizione in realtà sta fuori e preme dall’esterno. Lo abbiamo già visto nel sinodo straordinario dello scorso anno e lo rivedremo tra poco per il sinodo ordinario: sbarcheranno molte testate che non sono mai venute in Vaticano, arriveranno giornalisti ben pagati che non sanno distinguere un cardinale da un chierichetto, avremo un gran cancan mediatico alimentato dai settori tradizionalisti e di destra in gran parte legati agli ambienti nordamericani del Tea party. Ma non troveranno trippa per gatti».
– I padri sinodali riusciranno a mantenere una certa serenità?
«Credo di sì, anche se non è del tutto sicuro perché queste operazioni verranno lanciate in grande stile e hanno come scopo quello di provare a condizionare i padri sinodali. Lo abbiamo già visto».
—Il sinodo
– Nella prima tappa del sinodo il lavoro ai fianchi qualche risultato l’ha dato. Alcuni uomini chiave sono partiti baldanzosi per finire quasi spaventati dalla risonanza mediatica dei loro interventi.
«In effetti questo lavoro di lobbying qualcosa ha ottenuto. La Sala Stampa aveva provato ad opporsi imponendo l’anonimato agli interventi ma la cosa non è facilmente risolvibile. I padri sinodali non sono completamente isolati: almeno qualche giornale lo leggono, poi c’è internet, il passaparola. Non mi faccio illusioni su questo, ma in senso più generale sono fiducioso perché il papa ha un’idea precisa sullo svolgimento del sinodo che, in fondo, ci sta già comunicando con le catechesi del mercoledì sulla famiglia. E comunque credo che lui sia arrivato alla conclusione che adesso non è possibile raggiungere tutti gli scopi che aveva fissato. Francesco è realista: si potrà raggiungerne solo una parte. Certo non farà alcuna marcia indietro, anzi ci sarà qualche passo in avanti, ma non più di quello».
– Per salvaguardare l’unità?
«Certo Bergoglio non vorrà mai associare il suo nome a uno scisma ma lui crede anche che un’accelerazione nel cambio di mentalità sia già avvenuta grazie al suo magistero itinerante. I viaggi sono decisivi, sono il momento massimo di visibilità e di attenzione alle sue parole, ecco perché è così attento alla scelta dei luoghi in cui parlare e dei temi sui cui pronunciarsi: sceglie ciò che gli permette di parlare di povertà, giustizia sociale, famiglia, immigrazione, pace, traffico d’armi. Il viaggio lo organizza lui mentalmente a partire da quello che vuole andare a dire. Bergoglio usa la geografia, lo spazio, per dare il palcoscenico alla Parola così come usa se stesso per mostrare il vangelo».
– Perciò, tornando al sinodo, non si fa prendere dalla fretta perché sta già guadagnando sul campo la maturazione ecclesiale necessaria.
«Esatto. E contrariamente a quello che si va scrivendo, il prossimo sinodo non chiuderà affatto i lavori sulla famiglia. Questo è un tema che non avrà mai fine nel pontificato di Bergoglio».
– Questo toglie ansia all’evento e lo riconduce a una logica raffinata. La logica di un imprevedibile, geniale pianificatore quale si sta dimostrando il gesuita Bergoglio.
«Anche perché io credo che abbia individuato nella famiglia l’argomento chiave. Da lì si può arrivare ovunque, dalla giustizia sociale alla guerra all’immigrazione. E poi, a proposito di Bergoglio improvvisatore, faccio notare che è finita l’epoca di Vatileaks. Molti vaticanisti che hanno costruito la loro fortuna sulle veline sono in crisi perché non hanno più gole profonde, non sanno più cosa raccontare. Bergoglio è ritenuto un grande improvvisatore semplicemente perché in realtà non comunica le sue iniziative. L’anno santo della Misericordia l’ha meditato per mesi eppure lo ha comunicato solo all’ultimo momento. Bergoglio fa come Che Guevara e gli altri guerriglieri sudamericani: dividere per compartimenti, non dire mai tutto a uno solo di quelli che ti stanno intorno. La lezione di Buenos Aires, ai tempi della dittatura, non l’ha dimenticata. È un meccanismo di difesa naturale, fa così con la curia e anche con il suo entourage».
– C’è chi impugna questo stile e ne fa una lettura politica. Molto italiana.
«Sì, ma a costui io risponderei soltanto: ma scusa, perché non dovrebbe farlo?».
a cura di Marco Burini