Vita Stefano
Una pro-vocazione alla comunione
2015/9, p. 25
Le nuove forme di vita consacrata, a partire in particolare dal postconcilio, hanno aperto e stanno aprendo nella Chiesa originali cammini di comunione, nei quali la stessa communio è ad un tempo la realtà da realizzare e la modalità con cui va realizzata.

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Testimoni
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Terzo incontro delle nuove forme di vita consacrata
UNA PRO-VOCAZIONE
ALLA COMUNIONE
Le nuove forme di vita consacrata, a partire in particolare dal postconcilio, hanno aperto e stanno aprendo nella Chiesa originali cammini di comunione, nei quali la stessa communio è ad un tempo la realtà da realizzare e la modalità con cui va realizzata.
Il Concilio Vaticano II ci insegna che la vita consacrata «appartiene saldamente (inconcusse) alla vita e alla santità della Chiesa» (LG 44, 4). Per esprimere questo concetto in un intervento all’assise conciliare, l'abate di Beuron paragonava i pilastri della Basilica di San Pietro agli apostoli e alla gerarchia; aggiungeva poi che nelle nicchie ricavate nei pilastri stessi sono collocate le statue dei fondatori di istituti religiosi. Questa sottolineatura l'abate la fece per evidenziare che la vita religiosa ha una presenza insostituibile nella vita della Chiesa. Alla luce di ciò, un commentatore della dottrina conciliare, L. Kaufmann, non ha esitato a scrivere che il «rinnovamento della Chiesa comincia sempre dal rinnovamento degli istituti religiosi».
Queste citazioni, che non vogliono avere la valenza di un’apologia della vita consacrata, né tanto meno di una sua esaltazione, ricordano la rilevanza ecclesiale dello stato di vita consacrata e quindi del dono insostituibile che essa costituisce e della responsabilità che a questo dono è connessa.
Per questa ragione nella vita consacrata, come in tutta la Chiesa, nel corso della storia si ripresentano costantemente alcuni interrogativi fondamentali: che cosa deve rimanere immutato, perché fondato nella natura stessa della vita consacrata? Che cosa può – e in alcuni casi – deve essere adeguato alle mutate circostanze storiche e geografiche, per il bene stesso di questo stato di vita e dell’intera Chiesa? In altre parole, come va vissuta in ogni epoca storica la relazione tra la perennità del contenuto teologico e la storicità della forma della vita consacrata?
Una risposta certamente significativa è data dagli incontri delle nuove forme di vita consacrata promossi da alcuni anni dalle Famiglie Ecclesiali Istituto di Cristo Redentore – Missionari e Missionarie Identes e Verbum Dei e giunto quest’anno alla III edizione. L’incontro si è svolto a Roma dal 29 al 30 maggio e ha avuto come titolo “Aprendo cammini: strutture di comunione e di governo”.
Si tratta di una risposta che ci dice che le nuove forme di vita consacrata sono una realtà, una sfida e una pro-vocazione.
Una realtà
grande e luminosa
Le nuove forme di vita consacrata sono una realtà, perché Ecclesia semper reformanda. Il rinnovamento nella Chiesa è una dimensione strutturale-ontologica, perché la Chiesa ha la sua scaturigine ultima nel mistero della SS. Trinità, mistero di Amore eterno che continuamente si rinnova e rinnova, e questa novità continuamente raggiunge la Chiesa nella sua storia per renderla più bella secondo la bellezza di Dio.“Colui che sedeva nel trono disse: «Ecco faccio nuove tutte le cose»” (Ap 21, 5). Pertanto non può non esserci nella Chiesa e quindi nella vita consacrata una continua dialettica tra la perennità del dato teologico e la storicità della forma, fermo restando il progresso dogmatico che segna il cammino di approfondimento dell’autocomprensione della Chiesa stessa e quindi della vita consacrata.
A questo fine, provvidenziale si rivela il can. 605 CIC, relativo alla nuove forme di vita consacrata, il quale, proprio per questa ragione, si può definire “una risposta provvidenziale”. Esso costituisce una norma aperta, flessibile e piena di accoglienza e speranza, perché dà voce ecclesiale a nuovi carismi nell’ambito di un adeguato discernimento con le competenti autorità ecclesiali. Si tratta infatti di una norma obbediente alla vita che sempre si rinnova, rispondendo a una grande e luminosa realtà di doni carismatici ecclesiali che hanno e stanno assumendo la forma di istituti di vita consacrata e associazioni. In tal modo lo Spirito Santo può manifestare la multiforme sapienza di Dio. Testimonianza di ciò sono stati i 110 rappresentanti di 36 istituti e associazioni di diritto pontificio e diocesano già approvati come nuova forma di vita consacrata o in via di approvazione, provenienti da 4 continenti, che hanno partecipato al citato incontro di maggio.
Durante i lavori, i partecipanti hanno studiato e condiviso sulle loro proprie strutture di comunione e di governo, con particolare riferimento ad una delle principali caratteristiche delle nuove forme di vita consacrata: la chiamata a riunire, nel seno di un’unica istituzione, uomini e donne e i differenti stati di vita. I relatori dell’incontro sono stati il prof. p. Carlos Andrade, CMF, docente presso l’Istituto di Teologia della vita consacrata Claretianum di Roma, che ha argomentato sulle strutture di comunione. Il secondo relatore, la canonista Maruja Serrano Vargas, ha invece affrontato il tema delle strutture di governo.
Una sfida
“urgente”
Alla luce di queste due relazioni possiamo fare alcune considerazioni che ci dicono che le nuove forme sono una sfida “urgente”.
Il professor Andrade ha evidenziato che la vita consacrata e, con una loro propria e specifica originalità, le nuove forme sono chiamate ad essere riflesso e traccia concreta della SS. Trinità, in quanto luoghi abitati dalla comunione trinitaria.
Una caratteristica propria e originale delle nuove forme di vita consacrata è la misteità. Giovanni Paolo II nella Esortazione post-sinodale Vita consecrata al n. 62 scrive che «l’originalità delle nuove comunità consiste spesso nel fatto che si tratta di gruppi composti da uomini e donne, da chierici e laici, da coniugati e celibi». Il Papa indica come primo elemento qualificante l’originalità delle nuove forme di vita consacrata la misteità e cioè che sono composte spesso da uomini e donne.
Le nuove forme di vita consacrata sono dunque caratterizzate dalla ricchezza del “maschio e femmina li creò” e cioè dalla profondità e ricchezza di umanità e grazia che sgorgano dalla complementarietà e reciprocità che vi è tra l’uomo e la donna vissute nella Verità. In virtù di ciò si può attuare tra loro quella collaborazione attiva necessaria per realizzare il progetto d’amore che Dio ha sull’umanità. La differenza vitale orientata alla comunione, infatti, che sussiste tra il maschile e il femminile appartiene ontologicamente al progetto originario creatore di Dio, e si manifesta luogo teologico attraverso il quale possiamo dire qualcosa di Dio Trinità, perché anche attraverso di esso Egli si rivela, e luogo antropologico mediante il quale possiamo trarre elementi per rispondere alla domanda chi è l’uomo.
Alla luce di ciò, le nuove forme sono certamente una coraggiosa ed entusiasmante sfida in questo contesto culturale relativistico, in cui la teoria del gender non riconosce il valore creazionale della diversità tra il maschile e femminile e in essa la via per essere pienamente persone umane, maschi e femmine, ma affida alla diversità sessuale semplicemente un valore culturale e psicologico a tal punto che nel profilo Facebook (2014) si parla di ben 54 nuovi generi sessuali.
La composizione e le strutture di comunione delle nuove forme di vita consacrata, costituiscono quindi una importante “opportunitas” per rivelare Dio Trinità e che l’uomo nella sua diversa articolazione sessuale costituisce una chiamata alla comunione, quale via per essere pienamente e veramente se stesso: umano e umanizzante.
Una pro-vocazione
alla comunione
Giovanni Paolo II in Vita consecrata al n. 54 afferma che «uno dei frutti della dottrina della Chiesa come comunione, in questi anni, è stata la presa di coscienza che le sue varie componenti possono e devono unire le loro forze, in atteggiamento di collaborazione e di scambio di doni per partecipare più efficacemente alla missione ecclesiale» e «dare un’immagine più articolata e completa della Chiesa stessa».
Un’attuazione di questa atteggiamento collaborativo e di reciprocità si realizza a livello costituzionale, in quanto appartenente alla loro stessa natura, nelle nuove forme di vita consacrata, anche sotto il profilo del governo, come ha evidenziato la canonista M. Serrano Vargas. Infatti, la communio realizzata dalla presenza dei tre stati fondamentali di vita e di tutte le componenti della comunità ecclesiale con uno stile di complementarietà e reciprocità, costituisce l’elemento caratterizzante la strutturalità di tutto il nuovo fenomeno aggregativo post-conciliare e, mutatis mutandis, delle nuove forme di vita consacrata. A tale proposito si rivelano significative le parole di alcuni autori. «La nozione di comunione, che è nota distintiva della Chiesa […] non riesce comprensibile se non si rende visibile nella stessa Chiesa viva. Proprio per far comprendere e sperimentare tale comunione sembrano essere nate queste nuove forme di comunione che superano le odierne strutture della Chiesa, in quanto contengono tutte le specie di persone, di ministeri e di attività apostoliche, e le elevano a testimonianza del mistero della carità divina, da cui la Chiesa riceve la sua dignità di comunione come popolo adunato nell’unità del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo». L’ecclesialità di tali nuove forme aggregative, pertanto, non è costituita solo dal perseguimento delle finalità della Chiesa, ma anche e in modo originale e unico dalla partecipazione costituzionale ad un unico carisma di tutte le diverse componenti del popolo di Dio, coinvolgendo nella loro vita e nella loro azione laici – uomini e donne – sacerdoti e religiosi. Pertanto le nuove forme sono una significativa pro-vocazione alla comunione.
Le nuove forme
e i pastori della Chiesa
A conclusione dell’incontro è intervenuto l’arcivescovo Segretario della CIVCSVA, Mons. José Rodriguez Carballo, il quale tra le altre cose ha affermato: «La vita consacrata è un vino eccellente. Eccellente! Tuttavia, molte volte sono gli otri a non essere adeguati e il vino si perde. Che pena se si perdesse il buon vino dei vostri carismi per mancanza di recipienti adeguati». La ricerca di “recipienti adeguati” per strutturare i nuovi carismi di vita consacrata si attua attraverso la collaborazione e il discernimento dei pastori della Chiesa con uno stile di reciprocità con i fondatori. Nella vita e nella evoluzione storica della vita consacrata infatti un ruolo fondamentale lo hanno i pastori. I vescovi che hanno partecipato al Sinodo sulla vita consacrata voluto da san Giovanni Paolo II, lo hanno più volte confermato con queste parole: “de re nostra agitur”, “è cosa che ci riguarda”, perché «la vita consacrata si pone nel cuore stesso della Chiesa come elemento essenziale per la sua missione». Conferma di ciò la troviamo nel citato canone 605 del C.I.C., dove il legislatore dispone che ai Pastori è affidato:
il discernimento dei nuovi doni di vita consacrata;
l'aiuto affinché questi nuovi doni esprimano al meglio le loro finalità;
la tutela di questi doni attraverso statuti adeguati.
Questi elementi ci dicono che il ruolo dei Pastori è decisivo nell’individuazione di un autentico dono dello Spirito Santo per la Chiesa e del suo sviluppo. Non solo, ma il verbo usato dal legislatore per esprimere l'atteggiamento con il quale agire, e cioè «si adoperino» è il latino satagant. Il verbo satagant inteso come satis agant esprime proprio il concetto di un lavoro attento e profondo, che va al di là dell’ordinario.
Tutto questo, a mio avviso, ci fa ritenere che questo ruolo rende i Pastori, senza voler forzare il significato dei termini, una sorta di cofondatori delle nuove forme di vita consacrata.
Aprendo cammini: strutture di comunione e di governo”: le nuove forme di vita consacrata, a partire in particolare dal postconcilio, hanno aperto e stanno aprendo nella Chiesa originali cammini di comunione, nei quali la stessa communio è ad un tempo la realtà da realizzare e la modalità con cui va realizzata. Questo cammino comunionale si attua attraverso la partecipazione di tutte le componenti ecclesiali ad un unico carisma, il quale, come dono dello Spirito Santo, dà origine all’Istituto, ne determina la natura, lo spirito e la stessa struttura. Il carisma di un Istituto infatti, quale “otre nuovo”, si manifesta nella Chiesa con tanta maggior efficacia e chiarezza, quanto più in esso, a partire dallo stesso fondatore, si identificano e si riconoscono la forma di governo, le caratteristiche della vita fraterna, la natura e il fine dell’apostolato.
fra Stefano Vita, FFB
Fraternità Francescana di Betania