Ferrari Gabriele
Liberi dai vecchi schemi
2015/9, p. 19
Le linee che papa Francesco offre in Evangelii gaudium tracciano una spiritualità missionaria che egli ritiene possano dare alla Chiesa un “rinnovato impulso missionario”, vissuto nella gioia e con un entusiasmo contagioso e, soprattutto, con un’umile audacia.
La spiritualità missionaria nella Evangelii gaudium
LIBERI
DAI VECCHI SCHEMI
Le linee che papa Francesco offre in Evangelii gaudium tracciano una spiritualità missionaria che egli ritiene possano dare alla Chiesa un “rinnovato impulso missionario”, vissuto nella gioia e con un entusiasmo contagioso e, soprattutto, con un’umile audacia.
Da qualche tempo ormai gli istituti missionari vivono una situazione inedita, interessante e consolante: sta crescendo il numero dei confratelli originari delle comunità cristiane in cui hanno lavorato i missionari. La loro presenza nell’istituto è insieme il frutto dell’evangelizzazione e la prova che il carisma missionario dell’istituto si è radicato nella nuova comunità cristiana. Questo felice compimento della missione, che si accompagna all’irreversibile riduzione del numero dei missionari provenienti dall’occidente, annunzia interessanti sviluppi nella vita dell’istituto e nella sua maniera di vivere la missione.
Una situazione
nuova
Sono questi nuovi confratelli coloro che guideranno la missione nel prossimo futuro imprimendole, si spera, uno stile nuovo.
Come in ogni comunità composta di generazioni e culture diverse, anche nella comunità missionaria si pongono problemi di convivenza, problemi normali ma che possono diventare delicati. C’è il rischio che i giovani missionari siano semplicemente la fotocopia dei loro predecessori oppure il rischio opposto che prendano un cammino autonomo, parallelo o divergente, rispetto alle generazioni passate. Ma da essi si può anche attendersi che aiutino l’intero istituto ad attualizzare con creatività il carisma affidatogli dal Fondatore. Provenendo dall’ambiente culturale locale, i nuovi missionari hanno una sensibilità che i loro predecessori non potevano avere e sono quindi in grado di elaborare una spiritualità missionaria nuova, legata al carisma dell’Istituto, ma rispondente alle nuove situazioni della missione.
Sono ormai molti anni che si afferma che la missione è cambiata. Le sue motivazioni teologiche sono state rinnovate dal Concilio e gli obiettivi della missione ampliati. Mai come oggi si sente che il contesto culturale è un luogo obbligato dell’elaborazione della spiritualità missionaria e, se è più che comprensibile che i missionari anziani non riescano a liberarsi dai vecchi schemi, ai giovani missionari tocca di farsi catalizzatori di nuove sintesi della spiritualità missionaria. Lo saranno se troveranno nei confratelli anziani fiducia e comprensione.
Una nuova
spiritualità missionaria
Alla contestualizzazione della spiritualità missionaria contribuisce papa Francesco con la sua esortazione apostolica Evangelii gaudium nella quale chiede alla chiesa una «conversione pastorale e missionaria che non può lasciare le cose come stanno» (25). Egli sollecita la chiesa a rinnovare la sua identità di “popolo di Dio pellegrino”(111) che esce verso le periferie esistenziali del mondo. Per questo ha aggiunto alla sua esortazione apostolica un capitolo che ha significativamente intitolato “Evangelizzatori con spirito” (259-288).
Con molta modestia, il papa dice che non si tratta di una nuova spiritualità missionaria per la quale rimanda all’ultimo capitolo di Redemptoris missio, l’enciclica missionaria di papa Woytjla che offre già una spiritualità missionaria completa, articolata in tre punti: la docilità allo Spirito, la comunione intima con Cristo e la carità apostolica. Ciononostante le linee che papa Francesco offre in Evangelii gaudium tracciano di fatto una spiritualità missionaria che egli ritiene possano dare alla chiesa un “rinnovato impulso missionario” (262). Lo richiede la nuova situazione del mondo globalizzato affinché la missione si svolga nella gioia, con un entusiasmo contagioso e, soprattutto, con un’umile audacia richiesta dalla novità del contesto in cui oggi la Chiesa agisce, coniugando lo zelo dei “vecchi” missionari con la creatività e la sensibilità dei giovani missionari di oggi.
Sfide e tentazioni
della missione oggi
Per dare qualche linea di spiritualità missionaria adatta al momento attuale, il papa inizia presentando le sfide della missione legate alla cultura attuale globalizzata (cf. 52-57): l’esclusione della maggioranza della popolazione dai processi economici, la globalizzazione dell’indifferenza, la cultura dello scarto, l’idolatria del denaro e la violenza, l’importanza della città, fenomeni nati nel mondo occidentale ma estesi oggi ovunque dalla globalizzazione. Passa poi a presentare “le tentazioni” degli operatori pastorali che riguardano tutti, perché «tutti siamo sotto l’influsso della cultura attuale globalizzata» (77). Esse possono essere: la ricerca del successo personale, dell’apparenza di religiosità, del benessere personale e della sicurezza che, a un attento discernimento, si rivelano forme di una malsana autoreferenzialità tipica della cultura attuale e di quella “mondanità spirituale” dalle quali il papa mette in guardia perché le ritiene «una tremenda corruzione con apparenza di bene» (97).
Le tentazioni possono essere sintetizzate «nell’individualismo autoreferenziale, nella crisi di identità e nel calo del fervore missionario» (78). La conclusione dell’analisi del papa potrebbe indurre allo scoraggiamento: annunciare il Vangelo in questo contesto è un’impresa sia per i destinatari dell’evangelizzazione come per gli evangelizzatori chiamati a vivere in questo mondo in modo diverso per essere veramente testimoni del vangelo. Le linee della spiritualità proposte dal papa intendono vincere tale scoraggiamento e possono essere ricondotte a quattro punti.
1. Essere testimoni di Gesù e del Vangelo
Davanti al quadro delle sfide e delle tentazioni è importante – anche se sembra ovvio – rimettere al primo posto una vita missionaria che sia prima di tutto una gioiosa e convinta testimonianza personale e comunitaria di Gesù. Prima di preoccuparsi di fare per gli altri, il missionario cercherà di diventare ed essere un discepolo. Alla scuola di Gesù e del vangelo vissuto semplicemente e, quanto possibile, sine glossa, la spiritualità che il papa propone, collega la missione all’incontro personale con Gesù, all’«amore di Gesù che abbiamo ricevuto, all’esperienza di essere salvati da Lui che ci spinge ad amarlo sempre di più» (264). Solo così il missionario sarà testimone di Gesù e gli sarà possibile evangelizzare con umiltà e rispetto le culture, senza sentirsi padrone della verità né ritenersi migliore dei suoi destinatari. Si sentirà anch’egli un mendicante di Dio, alla ricerca del suo volto e le religioni non cristiane non saranno più delle concorrenti da vincere, ma dei cammini sui quali scoprire, insieme agli altri cercatori di Dio, il bene e il vero che Dio ha positivamente seminato nelle culture e nella storia per indicare al missionario la strada da percorrere.
La centralità di Gesù e l’incontro vivo e personale con lui è oggi più che mai il primo punto della spiritualità missionaria. Alla luce del suo incontro con Gesù il missionario sentirà «le necessità più profonde delle persone» (265) e «il piacere spirituale di essere popolo, la passione per il suo popolo» (268).
2. Una missione vicina al popolo
«Quanto bene ci fa, scrive il papa, vedere [Gesù] vicino a tutti … aperto all’incontro … quando mangia e beve con i peccatori, senza curarsi che lo trattino da mangione e beone … disponibile quando lascia che una prostituta unga i suoi piedi o quando riceve di notte Nicodemo» (269). La missione sarà prima di tutto una forza d’attrazione o d’irradiazione perché mostrerà la bellezza di essere cristiani insieme con gli altri. Dalla contemplazione di Gesù e dalla lettura del vangelo viene l’esigenza di una missione vicina al popolo, in mezzo ai poveri, di una missione in cui l’evangelizzatore non è più preoccupato di fare grandi opere che abbagliano la gente e rischiano, senza volerlo, di fare del proselitismo, ma una missione che porta il missionario a incarnarsi nel popolo abbandonando ogni residuo complesso di superiorità e d’inconsapevole dominio: «Condividiamo la vita con tutti, ascoltiamo le loro preoccupazioni, collaboriamo materialmente e spiritualmente nelle loro necessità, ci rallegriamo con coloro che sono nella gioia, piangiamo con quelli che piangono e ci impegniamo nella costruzione di un mondo nuovo, gomito a gomito con gli altri» (269), attuando quella «rivoluzione della tenerezza» (88) e «offrendo la misericordia», esperimentata nell’incontro con Gesù (24) come primo annuncio della nostra fede cristiana.
In questo modo il discepolo-missionario (120), preso dall’amore di Cristo, riuscirà a vincere l’attrattiva dei valori mondani, il rischio di ricercare se stesso e di vivere «uno stile di vita che porta ad attaccarsi a sicurezze economiche o a spazi di potere e di gloria umana che ci si procura in qualsiasi modo, invece di dare la vita per gli altri nella missione» (80). In assenza di questo fondamento spirituale, cristologico ed ecclesiale, che è alla base della spiritualità, è facile che la missione sia pensata come un’impresa e che il dono di sé si mescoli con atteggiamenti che il papa denuncia come quella pericolosa “mondanità spirituale” da cui ripetutamente mette in guardia.
3. In dialogo con la cultura del popolo
La semplicità di vita evangelica che caratterizza la missione, fatta di mezzi poveri, di prossimità e solidarietà, in contatto costante con il popolo, permette all’evangelizzatore di proporre un vangelo non incrostato di potenza economica, ma nella sua semplice bellezza e di avviare così quel dialogo con la cultura locale necessario alla missione. La proposta evangelica non s’imporrà con la forza dell’efficienza né con l’insistenza inopportuna (35), ma sarà un fermento che fa crescere la cultura e permette al messaggio evangelico di integrarsi nella vita del popolo e alla vita del popolo di arricchire la vita della chiesa con i valori culturali (115-116) e con la pietà popolare (122). Nel dialogo con la cultura il missionario affinerà la sua capacità di riconoscere i germi di bene e di verità, le espressioni della risurrezione della vita, “i semi del Verbo”(68) che lo Spirito di Dio ha lasciato nella storia come appelli all’evangelizzazione e indicazioni di cammino per la missione.
Questa capacità di leggere i “segni dei tempi” nella storia è importante per la missione della Chiesa soprattutto in epoche di crisi e di cambiamenti epocali, come quello che stiamo vivendo, e permetterà al missionario di essere un portatore di speranza e non uno di quei mercanti di “disincanto” (79) e di «scontentezza cronica e di accidia che inaridisce l’anima» (277) di cui oggi non c’è proprio bisogno. Capacità di cogliere il bene nascosto in mezzo ai drammi umani, un bene che è pronto a germogliare, questo è spiritualità pasquale e missionaria; essere portatori di un messaggio di gioia, perché «il Regno di Dio è già presente nel mondo e si sta sviluppando qua e là in diversi modi» (278). La spiritualità missionaria non è tale se non è fonte di ottimismo e di speranza.
4. Una missione con i poveri
«Desidero una chiesa povera per i poveri» (198), ama ripetere il papa. La sua insistenza sulla povertà, sulla difesa dei poveri, sull’equa distribuzione dei beni, sulla salvaguardia del sistema ecologico, su «un’adeguata amministrazione della casa comune» (206) e sull’interconnessione che caratterizza il mondo d’oggi, sono elementi della spiritualità missionaria ormai per sé acquisiti. Con Evangelii gaudium essi entrano però con più urgenza nell’agenda del missionario e devono integrarsi nella sua spiritualità per evitare ogni possibile deriva ideologica o spiritualistica della missione della chiesa. La globalizzazione economica che esclude una gran parte dell’umanità e trasforma i poveri in esuberi da scartare (53), che distrugge il creato che Dio ci ha consegnato da «coltivare e custodire», facendone pagare il prezzo soprattutto ai poveri, richiede agli istituti missionari e ai singoli missionari di vivere pienamente l’opzione preferenziale dei poveri, rientrata con Francesco nella piena cittadinanza della Chiesa, e soprattutto un nuovo stile di vita sobrio, responsabile e rispettoso del creato, coerente con il momento attuale. I poveri non sono più solo dei fratelli/sorelle da aiutare, ma dei maestri da ascoltare (198) che aiutano anzitutto la Chiesa a trovare il giusto passo della missione nel mondo di oggi, ma anche il mondo a riprendere la giusta relazione con la creazione. Su questi temi così presenti in Evangelii gaudium il papa è recentemente ritornato nella sua enciclica Laudato si’ che è sicuramente un’enciclica “ecologica”, ma più ancora una lunga riflessione sull’antropologia cristiana e sulle sue conseguenze etiche.
Gabriele Ferrari s.x.