Arturo Paoli: l'uomo che sempre aspettava l'avvento di Dio.
2015/9, p. 15
Pregava la Madonna immaginando come faceva la ninna nanna a Gesù, come lavava nel secchio i pannolini sporchi e come cucinava pasti forti per il marito falegname, il buon Giuseppe. E gioiva interiormente con quelle considerazioni perché così doveva
essere pensata l’incarnazione del Figlio di Dio, nella linea di papa Francesco, non come fredda dottrina, ma come fatto concreto. Sentiva e viveva tali cose nella forma
della commozione del cuore. E piangeva spesso di gioia spirituale. Dovunque arrivava, creava sempre attorno a sé una piccola comunità.
Arturo Paoli: l’uomo che
sempre aspettava l’avvento di Dio
Ha fatto di tutto nella vita. In gioventù fu ateo e materialista. Ma all’improvviso si convertì. Fu ordinato prete durante la guerra. Subito entrò nella Resistenza contro i nazisti. Nel 1949 lo fecero assistente della gioventù di Azione Cattolica. Ma i suoi metodi libertari non erano graditi allo status quo ecclesiastico e lo mandarono ad accompagnare gli emigranti italiani che venivano via mare in Argentina. Nel viaggio incontrò un piccolo fratello di Gesù, discepolo di Charles de Foucauld, il cui carisma è vivere nel mondo tra i più poveri. Iniziò la formazione in Algeria, nel deserto, ed entrò nella lotta di liberazione contro la dominazione francese. Poi fu inviato in Argentina. Per anni lavorò come operaio con i falegnami. Andò nel Cile di Pinochet. Ma presto il suo nome era nella lista “chi incontra uno di questi lo può eliminare”. Per un po’ di tempo visse in Venezuela. Ma finì per stabilirsi in Brasile, a Foz de Iguaçu, dove mise in atto varie iniziative per i poveri, con le erbe medicinali, una fattoria didattica per giovani disagiati e altre organizzazioni popolari che tutt’oggi continuano a esistere.
Ebbe molti riconoscimenti, che quasi sempre rifiutava. Ma il più importante fu il 29 novembre del 1999 a Brasilia, quando l’ambasciatore israeliano gli conferì la maggiore onorificenza per un non ebreo: “giusto tra le nazioni”. Durante la guerra creò, con altri, una rete clandestina che salvò 800 ebrei.
Divenne monaco senza fuggire dal mondo, ma sempre dentro il mondo dei feriti e degli umiliati. Tutto il tempo libero lo dedicava alla preghiera e alla meditazione. Durante il giorno recitava mantra e giaculatorie. Fu una delle figure più impressionanti che attraversarono la mia vita, con una retorica da risuscitare i morti. Eravamo amici-fratelli.
Stranamente aveva una dote del tutto personale per la preghiera. Fu lui a raccontarmelo. Pensava: «se Dio si è fatto uomo in Gesù, allora è stato come noi: faceva la pipì, la cacca, piagnucolava chiedendo la tetta, faceva lo schizzinoso con ciò che gli dava fastidio, come il pannolino bagnato.
All’inizio Gesù avrà goduto più di Maria, poi più di Giuseppe, cose che ci spiegano anche Freud e Winnicott. E continuò a crescere come i nostri bambini, giocando con le formiche, correndo dietro ai cagnolini e, furbetto, rubando frutta dall’orto del vicino».
Questo strano mistico pregava la Madonna immaginando come faceva la ninna nanna a Gesù, come lavava nel secchio i pannolini sporchi e come cucinava pasti forti per il marito falegname, il buon Giuseppe. E gioiva interiormente con quelle considerazioni perché così doveva essere pensata l’incarnazione del Figlio di Dio, nella linea di papa Francesco, non come fredda dottrina, ma come fatto concreto. Sentiva e viveva tali cose nella forma della commozione del cuore. E piangeva spesso di gioia spirituale.
Dovunque arrivava, creava sempre attorno a sé una piccola comunità, anche nella peggior favela della città. Aveva pochi discepoli. Appena tre, che finirono tutti per andarsene via. Trovavano troppo dura quella vita che li chiamava a meditare durante tutto il giorno, nel lavoro, nella strada, nella visita alle casupole più malmesse.
Rimasto solo, si unì allora a una parrocchia che faceva lavoro popolare. Lavorava con i sem-terra (senza-terra) e con i sem-teto (senza-tetto). Coraggioso, organizzava manifestazioni pubbliche di fronte alla prefettura e spingeva per l’occupazione di terreni incolti. E quando i sem-terra e i sem-teto riuscivano a stabilirsi, faceva sempre “mistiche” ecumeniche, come fa sempre il MST (Movimento dei lavoratori rurali Sem-Terra).
Ma tutti i giorni, verso le dieci di sera, si infilava nella chiesa buia, appena la lampadina lanciava lampi titubanti di luce, trasformando le statue morte in fantasmi vivi e le colonne diritte in strane streghe. E là restava fino alle 23.00. Ogni sera. Impassibile, gli occhi fissi nel tabernacolo.
Un giorno andai a cercarlo in chiesa. Gli chiesi bruscamente: «Fratel Arturo, tu senti Dio quando, dopo il lavoro, ti metti a pregare qui in chiesa? Ti dice qualcosa Lui?». Con calma assoluta, come chi si sveglia da un sonno profondo, mi disse semplicemente: «Io non sento niente. È da molto tempo che non sento la sua voce. L’ho sentita un giorno, era affascinante. Riempiva i miei giorni di musica e di luce. Oggi non sento più nulla. Soffro di questa oscurità. Forse Dio non vuole parlarmi più».
«E allora – replicai io – perché continui tutte le sere a stare qui, nella sacra oscurità della chiesa?». «Continuo – rispose – perché voglio essere sempre disponibile. Se Lui vuole manifestarsi, uscire dal suo silenzio e parlare, io sono qui per ascoltare. E se magari Lui vuole parlare e io non sono qui? E poi, ogni volta, Lui viene come fosse l’unica volta. Come fece tempo fa».
Sono uscito dalla chiesa meravigliato e meditabondo per tanta disponibilità. È a causa di queste persone, mistici anonimi, che la Casa Comune, per dirla con papa Francesco, non è distrutta e Dio continua a manifestare la sua misericordia sulla perversità umana. Esse vigilano e aspettano, contro ogni speranza, l’avvento di Dio che forse non accadrà mai. Ma sono i parafulmini divini che raccolgono la grazia che, silenziosamente, si diffonde per l’universo e fa sì che Dio continui a darci il sole e tutte le stelle e penetri a fondo nel cuore di tutti quelli che vivono nella Casa Comune. E se Dio apparirà ci sarà gente disponibile per sentirlo. E piangeranno di gioia.
Arturo Paoli, con i suoi 102 anni, è andato finalmente a vedere e ascoltare Dio, che gli parlerà per tutta l’eternità, il giorno 13 luglio del 2015 nel luogo in cui viveva, san Martino in Vignale, sulle colline di Lucca, in Italia.
Leonardo Boff