Mastrofini Fabrizio
Una fede che sia solidale
2015/9, p. 5
Papa Francesco ha illustrato il suo pensiero con esempi vivi tratti dalla vita concreta di un pastore a contatto con le persone. E allo stesso tempo il messaggio ecclesiale si è intrecciato con quello politico e sociale. I suoi incontri con le persone consacrate.
Il papa in Ecuador, Bolivia e Paraguay
UNA FEDE
CHE SIA SOLIDALE
Papa Francesco ha illustrato il suo pensiero con esempi vivi tratti dalla vita concreta di un pastore a contatto con le persone. E allo stesso tempo il messaggio ecclesiale si è intrecciato con quello politico e sociale. I suoi incontri con le persone consacrate.
Il dramma della “coscienza isolata”, l’appello a non cadere “nell’Alzheimer spirituale” e una visione realistica (anche “umoristica”) del rapporto da tenere con il popolo di Dio, sono i temi dei discorsi ai religiosi e alle religiose e al clero in Ecuador, Bolivia, Paraguay (il viaggio si è svolto dal 5 al 12 luglio).
Primo: conservate salute,
radici, memoria
In Ecuador, parlando a braccio, di fronte al clero secolare e regolare e alle religiose, ha ribadito l’importanza di «non cadere in una malattia, una malattia che è abbastanza pericolosa, o molto pericolosa per quelli che il Signore ha chiamato gratuitamente a seguirlo e a servirlo. Non cadete nell’ “alzheimer spirituale”, non perdete la memoria, soprattutto la memoria del posto da cui siete stati tratti». Non dimenticatevi da dove siete stati tratti. Non rinnegate le radici!, ha esclamato. «San Paolo si vede che intuiva questo pericolo di perdere la memoria e al suo figlio più amato, il vescovo Timoteo, che aveva ordinato, dà consigli pastorali, ma ce n’è uno che tocca il cuore: “Non dimenticarti della fede che avevano tua nonna e tua madre!”, cioè: “Non dimenticarti da dove sei stato tratto, non dimenticarti delle tue radici, non sentirti promosso!”. La gratuità è una grazia che non può convivere con la promozione, e quando un sacerdote, un seminarista, un religioso, una religiosa entra “in carriera” – intendo in carriera umana –, incomincia ad ammalarsi di alzheimer spirituale e comincia a perdere la memoria del posto da cui è stato tratto».
Un tema ripreso in Bolivia – sempre davanti a religiosi, religiose, sacerdoti. «In Ecuador, mi sono permesso di dire ai preti – ma c’erano anche le religiose – che, per favore, chiedessero tutti i giorni la grazia della memoria, di non dimenticarsi del luogo da cui sono stati tratti: da dietro il gregge. Non dimenticartelo mai, non creartelo, non rinnegare le tue radici, non rinnegare la cultura che hai imparato dalla tua gente perché adesso hai una cultura più sofisticata, più importante. Ci sono sacerdoti che si vergognano di parlare la loro lingua nativa e allora si dimenticano del loro quechua, del loro aymara, del loro guaraní, “perché no, no, adesso parlo in modo fine…”. La grazia di non perdere la memoria del popolo fedele. Ed è una grazia. Nel libro del Deuteronomio, quante volte Dio dice al suo popolo: “Non dimenticarti, non dimenticarti, non dimenticarti…”. E Paolo, al suo discepolo prediletto, che lui stesso ha consacrato vescovo, Timoteo, dice: “E ricordati di tua madre e di tua nonna!”».
Secondo:
il servizio
Da questa premessa deriva l’appello forte a mettersi sempre a servizio del popolo di Dio. Un argomento affrontato con due esempi toccanti e concreti, che se, da un lato, hanno scatenato il sorriso nell’uditorio, il primo in Bolivia, il secondo in Ecuador, dall’altro hanno offerto una ulteriore occasione per riflettere. «Dunque: servizio, servire, servire. E non fare altre cose, e servire quando siamo stanchi e servire quando la gente ci dà fastidio. Mi diceva un vecchio prete, che fu per tutta la vita professore in scuole e università, insegnava letteratura, lettere – un genio – quando andò in pensione chiese al provinciale che lo mandasse in un quartiere povero, di quei quartieri che si formano con la gente che viene, che emigrano cercando lavoro, gente molto semplice. E questo religioso una volta alla settimana andava nella sua comunità e parlava, era molto intelligente; e la comunità era una comunità di facoltà di teologia; parlava con gli altri preti di teologia allo stesso livello, ma un giorno dice a uno: “Voi che siete… Chi insegna il trattato sulla Chiesa qui?”. Il professore alza la mano: “Io”. “Ti mancano due tesi”. “Quali?” “Il santo popolo fedele di Dio è essenzialmente olimpico – cioè fa quello che vuole – e ontologicamente molesto”. E questo contiene molta sapienza, perché chi prende la strada del servizio deve lasciarsi molestare senza perdere la pazienza, perché è al servizio, nessun momento gli appartiene, nessun momento gli appartiene. Sono qui per servire: servire in ciò che devo fare, servire davanti al Tabernacolo, pregando per il mio popolo, pregando per il mio lavoro, per la gente che Dio mi ha affidato».
Terzo: il dramma
della coscienza isolata
Appartiene a quei sacerdoti e consacrate «che pensano che la vita di Gesù sia solo per quelli che si credono adatti. Alla base c’è un profondo disprezzo per il santo popolo fedele di Dio». In questo modo – ha notato papa Francesco in Bolivia – l’identità «è una questione di superiorità. Questa identità che è appartenenza, si fa superiore; non sono più pastori ma capisquadra». Puntuale anche in questo caso è arrivato l’aneddoto strappa sorrisi e tuttavia occasione di grande autocritica e riflessione per tutti. «Mi permetto un aneddoto che ho vissuto… intorno all’anno ’75… nella tua diocesi [indica un Vescovo presente]. Avevo fatto una promessa al Señor y Virgen del Milagro di andare tutti gli anni a Salta in pellegrinaggio per il miracolo se mandava 40 novizi. Ne mandò 41. Bene. Dopo una concelebrazione – perché là è come in ogni gran santuario, una Messa dopo l’altra, confessioni senza sosta… - io stavo parlando con un prete che mi accompagnava, che era venuto con me, e si avvicina una signora, ormai all’uscita, con alcuni santini, una signora molto semplice, non so se fosse di Salta o venuta da chissà dove, che a volte ci mettono giorni a venire nella capitale per la festa del Miracolo: “Padre, me li benedice?”, dice al prete che mi accompagnava. “Signora, lei è stata a Messa?” – “Sì, padre” – “Bene, c’è la benedizione di Dio, la presenza di Dio benedice tutto, tutto…” – “Sì, padre, sì, padre” – “E poi la benedizione finale benedice tutto…” – “Sì padre, sì, padre” – In quel momento arriva un altro prete amico di questo, ma che non si erano visti… “Ah! sei qui!” Si girano e la signora, che non so come si chiamava, diciamo la signora “sì, padre”, mi guarda e mi dice: “Padre, me li benedice lei?...”». Ed ecco la conclusione: «Quelli che mettono sempre barriere al popolo di Dio, lo separano. Ascoltano, ma non odono. Gli fanno una predica. Vedono ma non guardano. La necessità di differenziarsi ha bloccato loro il cuore. Il bisogno – consapevole o meno – di dirsi: “Io non sono come lui, non sono come loro”, li ha allontanati, non solo dal grido della loro gente, o dal loro pianto, ma soprattutto dai motivi di gioia. Ridere con chi ride, piangere con chi piange, ecco una parte del mistero del cuore sacerdotale e del cuore consacrato».
No allo
zapping!
Un giorno – ha insistito papa Francesco sempre in Bolivia – Gesù ci ha visto sul bordo della strada, seduti sui nostri dolori, sulle nostre miserie, sulle nostre indifferenze. Ciascuno conosce la sua storia antica. E Gesù ci costringe ad uscire da noi stessi, a concretizzare la nostra esperienza, a farla finita con lo zapping. «Non ha messo a tacere il nostro grido, ma si è fermato, si è avvicinato e ci ha chiesto che cosa poteva fare per noi. E grazie a tanti testimoni che ci hanno detto: “Coraggio, alzati!”, a poco a poco siamo stati toccati da questo amore misericordioso, quell'amore trasformante, che ci ha permesso di vedere la luce. Non siamo testimoni di un’ideologia, non siamo testimoni di una ricetta, o di un modo di fare teologia. Non siamo testimoni di questo. Siamo testimoni dell’amore risanante e misericordioso di Gesù. Siamo testimoni del suo agire nella vita delle nostre comunità». E questa è la pedagogia del Maestro, questa è la pedagogia di Dio con il suo popolo. «Passare dall’indifferenza dello zapping al “Coraggio! Alzati, [il Maestro] ti chiama!” (Mc 10,49). Non perché siamo speciali, non perché siamo migliori, non perché siamo i funzionari di Dio, ma solo perché siamo testimoni grati della misericordia che ci trasforma. E quando si vive così, c’è gioia e allegria, e possiamo consentire alla testimonianza della suora, che nella sua vita ha fatto suo il consiglio di sant’Agostino: “Canta e cammina!”. Quella gioia che viene dalla testimonianza della gioia che trasforma».
Essenziale, infine, il messaggio ad Asunción, in Paraguay, ultima tappa del viaggio, a svolgere la missione in comunione. «Sempre è bene crescere in questa coscienza di lavoro apostolico in comunione. È bello vedervi collaborare pastoralmente, sempre a partire dalla natura e dalla funzione ecclesiale di ogni vocazione e ogni carisma. Desidero esortare tutti voi, sacerdoti, religiosi e religiose, laici e seminaristi, vescovi, ad impegnarvi in questa collaborazione ecclesiale, specialmente intorno ai piani pastorali delle diocesi e alla missione continentale, cooperando con tutta la vostra disponibilità al bene comune. Se la divisione tra noi provoca sterilità, non c’è dubbio che dalla comunione e dall’armonia nasca la fecondità, perché sono profondamente consonanti con lo Spirito Santo».
La geopolitica
di papa Francesco
Con il primo “vero” viaggio di papa Francesco in America Latina – quello del 2013 era per la Gmg in Brasile, un evento specifico – abbiamo potuto comprendere meglio la “geopolitica” generale ed ecclesiale del pontificato. A livello politico-sociale, il papa ha evidenziato i limiti strutturali di un sistema di sviluppo fondato sul profitto e non sulla persona umana; ha dialogato con i “movimenti” (fenomeno caratteristico di dinamiche continentali scomparse in Europa) che si battono per una società “inclusiva”, dialogica e tollerante. A livello ecclesiale la “geopolitica” di papa Francesco fa perno sulla famiglia – collante “geopolitico” tra Chiesa e società – sulla conversione, sull’efficacia della testimonianza, su una “Chiesa in uscita” che punti prima di tutto sull’impegno e sulla ricerca di coerenza di ogni singolo credente. A riassumere il messaggio ecclesiale e sociale, si può utilizzare un passaggio del discorso alla popolazione del Bañado Norde, baraccopoli di Asunción, parte preparato e parte a braccio. «La fede ci rende prossimi, ci fa prossimi alla vita degli altri. Ci avvicina alla vita degli altri. (…)Una fede che non si fa solidarietà, è una fede morta o una fede bugiarda. ”Oh, io sono molto cattolico, io sono molto cattolica…Vado a messa tutte le domeniche…” “Però, mi dica signore, signora, che succede agli abitanti del Bañado?” “Ah, non lo so. Sì… non lo so. Sì, so che c’è della gente lì, ma non so“. Nonostante tutte le messe della domenica, se non hai un cuore solidale, se non sai quello che succede al tuo popolo, la tua fede è molto debole: o è malata o è morta. È una fede senza Cristo. La fede senza solidarietà è una fede senza Cristo, è una fede senza Dio, è una fede senza fratelli. (…) E Gesù non ha avuto nessun problema di scendere, umiliarsi, abbassarsi fino a morire per ciascuno di noi, per questa solidarietà di fratello, solidarietà che nasce dall’amore che aveva per suo Padre e dall’amore che aveva per noi. Ricordatevi: quando una fede non è solidale o è debole o è malata o è morta, non è la fede di Gesù. (…) Facendovi sostegno delle giovani famiglie e di coloro che stanno attraversando momenti di difficoltà, forse il messaggio più forte che voi potete dare all’esterno è questa fede solidale. Il diavolo vuole che litighiate tra di voi, perché così divide e vi sconfigge e vi deruba della fede. Solidarietà da fratelli per difendere la fede. Inoltre che questa fede solidale sia messaggio per tutta la città». Dove «Bañado Norde» e «città» di Asunción possono venire sostituite dai luoghi in cui vive ognuno di noi.
Fabrizio Mastrofini