Rocchetta Carlo; Manes Rosalba
Venite a me, voi tutti
2015/6, p. 38
Il Padre è l'unum necessarium al quale è consacrata tutta l'esistenza di Gesù fino all'autoconsegna di sé sulla croce. A lui e al suo volere egli si abbandona con fiducia e dedizione totale. Solo cercando di attingere a questo «segreto» si è in grado di intuire qualcosa del contenuto ineffabile dell'amore di tenerezza che riempie l'animo di Gesù.
VOCE DELLO SPIRITO
Venite a me, voi tutti
Il Padre è l'unum necessarium al quale è consacrata tutta l'esistenza di Gesù fino all'autoconsegna di sé sulla croce. A lui e al suo volere egli si abbandona con fiducia e dedizione totale. Solo cercando di attingere a questo «segreto» si è in grado di intuire qualcosa del contenuto ineffabile dell'amore di tenerezza che riempie l'animo di Gesù.
È da questo centro vitale che scaturisce la tenerezza di Gesù come «essere con» ed «essere per» gli altri. Sotto entrambi gli aspetti, essa si presenta di un genere unico, oltre i canoni abituali: non muove infatti da quanto è umanamente forte, ma da quanto è debole e apparentemente insignificante. “Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore e troverete ristoro per la vostra vita. Il mio giogo infatti è dolce e il mio peso leggero”. (Mt 11,28-30) A differenza dei farisei e degli scribi che avevano costruito attorno alla legge una fitta serie di prescrizioni e imponevano un cumulo insostenibile di osservanze, Gesù afferma che l'essenziale, d'ora in avanti, sarà di imitarlo nella sua scelta di “mitezza” e “umiltà di cuore”, nella linea di quanto aveva già proclamato nelle beatitudini (Mt 5,3-12). Il suo insegnamento appare irriducibile rispetto a qualsiasi moralismo. «Imparate da me» significa «diventate miei discepoli». Diventare suoi discepoli, aderendo a lui, come a un maestro non violento né altero, imitandolo sulla strada dell'amore compassionevole e misericordioso. Gesù sa, fin dal principio, di essere venuto a «dare la sua vita per i propri amici» (Gv 15,13). La croce non s'impone a lui come una fatalità imprevista, ma come la via del suo “sì”, della sua risposta di tenerezza filiale al Padre. La sua è un'opzione libera e responsabile. E infatti va incontro alla croce in piena autonomia, come spiega egli stesso: «Per questo il Padre mi ama: perché io do la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. Nessuno me la toglie: io la do da me stesso. Ho il potere di darla e il potere di riprenderla di nuovo» (Gv 10,17-18). Il Figlio fatto uomo costituisce la tenerezza di Dio resa visibile per noi. «Dio, nessuno lo ha mai visto: il Figlio unigenito, che è Dio ed è nel seno del Padre, è lui che lo ha rivelato» (Gv 1,18). Il volto della tenerezza di YHWH rivelata lungo il Primo Testamento, la teofania della tenerezza trinitaria manifestata nel battesimo al Giordano, la tenerezza filiale che riempie di gioia l'animo di Gesù, s'identifica con il suo stesso io, così come la redenzione si compie quale atto di obbedienza filiale al Padre nello Spirito. La rivoluzione della tenerezza attuata dal NT non è semplicemente una rivoluzione etica, ma teo-logica e, più specificamente, pasquale. Ed è in quanto tale che la tenerezza del Crocifisso si trasforma in tenerezza che salva, sorgente di grazia per ogni uomo che crede e icona di tenerezza per il futuro del mondo. Ciò che accade sulla croce narra un Dio di com-passione che si fa vicino al dolore umano, facendosene carico per redimerlo. In luogo di «un cuore ripiegato su se stesso», come direbbe Agostino, o di un “cuore contratto”, come si esprimevano gli scolastici, l'Unigenito incarnato apre il suo cuore al mondo e lo lascia trafiggere, perché diventi spazio accogliente per tutti (cf. Gv 19,34).
Carlo Rocchetta – Rosalba Manes
da La tenerezza grembo di Dio amore
EDB, Bologna 2015