Mastrofini Fabrizio
Due viaggi per costruire ponti
2015/6, p. 22
Nel mese di luglio il Papa sarà in Ecuador, Bolivia e Paraguay e in settembre a Cuba. Lo scopo di questi viaggi è di costruire ponti fra tutti gli uomini, così che ognuno possa trovare nell’altro non un nemico, non un concorrente, ma un fratello da accogliere e abbracciare!

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Prossimi viaggi apostolici del papa in America latina
DUE VIAGGI
PER COSTRUIRE PONTI
Nel mese di luglio il papa sarà in Ecuador, Bolivia e Paraguay e, in settembre, a Cuba. Lo scopo di questi viaggi è di costruire ponti fra tutti gli uomini, così che ognuno possa trovare nell’altro non un nemico, non un concorrente, ma un fratello da accogliere e abbracciare!
L’America Latina è la destinazione di papa Francesco ad inizio di luglio, toccando Ecuador, Bolivia e Paraguay. Tornerà nei Caraibi a settembre per visitare Cuba. Nella geopolitica di papa Francesco, l’America Latina non è importante per l’ovvia considerazione della sua provenienza geografica o perché qui troviamo oltre la metà dei cattolici del pianeta. Il continente latinoamericano è importante tanto quanto le altre aree – l’Asia ad esempio, destinazione nella mens della Compagnia di Gesù e nei viaggi di papa Bergoglio – per quel che rappresenta per la Chiesa. È il «banco di prova» di una visione ecclesiale originale che parte dal ruolo del pontefice e del papato fino ad arrivare alle realtà locali e da queste tornare alla Chiesa universale. Temi che si dipanano in diversi interventi del papa in questi anni.
Un progetto
ben preciso
Il ruolo del pontefice è “costruire ponti”. Lo ha sottolineato papa Francesco all’inizio del suo ministero, il 22 marzo 2013, incontrando il corpo diplomatico. «Uno dei titoli del vescovo di Roma è Pontefice, cioè colui che costruisce ponti, con Dio e tra gli uomini. Desidero proprio che il dialogo tra noi aiuti a costruire ponti fra tutti gli uomini, così che ognuno possa trovare nell’altro non un nemico, non un concorrente, ma un fratello da accogliere ed abbracciare! Le mie stesse origini poi mi spingono a lavorare per edificare ponti. Infatti, come sapete la mia famiglia è di origini italiane; e così in me è sempre vivo questo dialogo tra luoghi e culture fra loro distanti, tra un capo del mondo e l’altro, oggi sempre più vicini, interdipendenti, bisognosi di incontrarsi e di creare spazi reali di autentica fraternità».
La visione di principio è stata declinata in atti di governo ed iniziative diplomatiche. Un atto di governo è la nomina a segretario di stato del card. Pietro Parolin, già nunzio apostolico proprio in America Latina. Non è solo il ritorno formale alla tradizione diplomatica nella Segreteria di Stato; è l’indicazione di un’area alla quale si guarda in maniera specifica. Aspetto che emerge il 13 gennaio 2015 nel discorso al Corpo diplomatico. Qui il papa ha unito il tema del dialogo e della costruzione dei “ponti” all’area geografica specifica e l’ha allargata ad altri bacini, per tornare poi significativamente a Cuba e dunque ai Caraibi e ai rapporti con gli Usa.
«Un esempio a me molto caro di come il dialogo possa davvero edificare e costruire ponti viene dalla recente decisione degli Stati Uniti d’America e di Cuba di porre fine ad un silenzio reciproco durato oltre mezzo secolo e di riavvicinarsi per il bene dei rispettivi cittadini. In tale prospettiva rivolgo un pensiero anche al popolo del Burkina Faso, impegnato in un periodo di importanti trasformazioni politiche ed istituzionali (…). Rilevo, inoltre, con compiacimento la firma nel marzo scorso dell’accordo che pone fine a lunghi anni di tensioni nelle Filippine. Parimenti incoraggio l’impegno in favore di una pace stabile in Colombia, come pure le iniziative volte a ristabilire la concordia nella vita politica e sociale in Venezuela. (…) Accolgo, poi, con soddisfazione la volontà degli Stati Uniti di chiudere definitivamente il carcere di Guantánamo, rilevando la generosa disponibilità di alcuni paesi ad accogliere i detenuti. E questi paesi ringrazio di cuore».
La geopolitica
del dialogo e dei giovani
A rileggerlo oggi il discorso al Corpo diplomatico indica a parole i viaggi di papa Bergoglio nella realtà. Dall’America Latina agli altri contesti (Africa e Asia) per tornare all’America Latina e al fulcro Stati Uniti-Cuba. Sotto l’insegna di una “geopolitica del dialogo” che lascia spazio ai singoli episcopati e termina l’interventismo politico diretto della Santa Sede, come è molto evidente nel caso italiano. Un altro esempio applicativo è il Messico. Papa Francesco ha ricevuto i vescovi del paese il 19 maggio 2014 (visita ad limina). In alcuni passaggi del suo discorso troviamo la visione di evangelizzazione e promozione umana che spinge il papa e lo aiuta nelle sue valutazioni, qui declinata nello specifico della realtà del paese. «Attualmente le molteplici violenze che affliggono la società messicana, e in particolare i giovani, costituiscono un rinnovato appello a promuovere questo spirito di concordia attraverso la cultura dell’incontro, del dialogo e della pace. Non compete certamente ai pastori offrire soluzioni tecniche o adottare misure politiche, che trascendono l’ambito pastorale; essi non possono però smettere di annunciare a tutti la Buona Novella: che Dio, nella sua misericordia, si è fatto uomo e si è fatto povero (cfr. 2 Cor 8, 9), e ha voluto soffrire con quanti soffrono, per salvarci. La fedeltà a Gesù Cristo non si può vivere se non come solidarietà impegnata e vicina al popolo nei suoi bisogni, offrendo dal di dentro i valori del Vangelo». Conosco – ha aggiunto poi il papa – il «vostro impegno verso i più bisognosi, verso quanti sono privi di risorse, i disoccupati, quanti lavorano in condizioni inumane, quanti non hanno accesso ai servizi sociali, i migranti alla ricerca di condizioni di vita migliori, i contadini... So della vostra preoccupazione per le vittime del narcotraffico e per i gruppi sociali più vulnerabili, e del vostro impegno per la difesa dei diritti umani e lo sviluppo integrale della persona. Tutto ciò (…) senza dubbio contribuisce a dare credibilità alla Chiesa e rilevanza alla voce dei suoi Pastori». Impegno dei laici nella Chiesa e nell’animazione della società e attenzione ai giovani – ha proseguito il papa – sono compiti prioritari dei vescovi per far crescere «processi di evangelizzazione della cultura». Senza dimenticare la famiglia come cellula fondamentale per la socializzazione e la trasmissione della fede. «La famiglia, cellula fondamentale della società e primo centro di evangelizzazione (III Conferenza Generale dell’Episcopato Latinoamericano, Documento di Puebla, n. 617), è un mezzo privilegiato affinché il tesoro della fede passi dai genitori ai figli. (…) Vi incoraggio pertanto a intensificare la pastorale della famiglia — sicuramente il valore più caro ai nostri popoli — affinché, di fronte alla cultura disumanizzante della morte, diventi promotrice della cultura del rispetto per la vita in tutte le sue fasi, dal concepimento fino alla morte naturale. (…) Non smetterò mai di sottolineare l’importanza che ha la parrocchia per vivere la fede con coerenza e senza complessi nella società attuale. Essa è (…) l’ambito ecclesiale che assicura l’annuncio del Vangelo, la carità generosa e la celebrazione liturgica».
Aparecida,
il livello ecclesiale
Incontrando il comitato di coordinamento del Celam a Rio de Janeiro nel luglio 2013 papa Francesco – questa volta da papa – ha spiegato chiaramente le tappe che la Chiesa deve percorrere nel continente. Ha ripreso i contributi dati, da cardinale, alla Conferenza generale di Aparecida. Il discorso è da rileggere oggi per comprendere cosa spinge il pontefice nel cercare un complesso equilibrio tra fughe in avanti e spinte all’indietro. E infatti l’ampio discorso evidenzia le sfide e le tentazioni sbagliate, arrivando alla fine a delineare i criteri ecclesiologici di fondo da seguire. Quattro. Il primo è «il discepolato-missionario che Aparecida propose alle Chiese dell’America Latina e dei Caraibi, è il cammino che Dio vuole per questo “oggi”. (…) Nel passato Dio è stato presente e lasciò la sua orma: la memoria ci aiuta ad incontrarlo; nel futuro è solo promessa… e non è nei mille e uno “futuribili”. L’“oggi” è il più simile all’eternità; ancora di più: l’“oggi” è scintilla di eternità. Nell’“oggi” si gioca la vita eterna. (…) Per questo mi piace dire che la posizione del discepolo missionario non è una posizione di centro, bensì di periferie: vive in tensione verso le periferie… incluse quelle dell’eternità nell’incontro con Gesù Cristo. Nell’annuncio evangelico, parlare di “periferie esistenziali” decentra e abitualmente abbiamo paura di uscire dal centro. Il discepolo missionario è un “decentrato”: il centro è Gesù Cristo, che convoca e invia. Il discepolo è inviato alle periferie esistenziali».
Secondo: «la Chiesa è istituzione, ma quando si erige in “centro” si funzionalizza e, un poco alla volta, si trasforma in una ONG. Allora la Chiesa pretende di avere luce propria e smette di essere quel “misterium lunae” del quale ci parlano i Santi Padri. Diventa ogni volta più autoreferenziale e si indebolisce la sua necessità di essere missionaria. Da “Istituzione” si trasforma in “Opera”. Smette di essere sposa per finire con l’essere amministratrice; da Serva si trasforma in “Controllore”. Aparecida vuole una Chiesa Sposa, Madre, Serva, più facilitatrice della fede che controllore della fede».
Terzo: la vicinanza e l’incontro sono le due categorie pastorali che sorgono dalla stessa originalità del Vangelo e possono anche servirci da criterio per valutare il modo in cui viviamo ecclesialmente il discepolato missionario. «È il "Dio vicino" al suo popolo, vicinanza che raggiunge il punto massimo nell’incarnazione. È il Dio che esce incontro al suo popolo. Esistono in America Latina e nei Caraibi pastorali “lontane”, pastorali disciplinari che privilegiano i principi, le condotte, i procedimenti organizzativi... ovviamente senza vicinanza, senza tenerezza, senza carezza. Si ignora la “rivoluzione della tenerezza” che provocò l’incarnazione del Verbo. Vi sono pastorali impostate con una tale dose di distanza che sono incapaci di raggiungere l’incontro: incontro con Gesù Cristo, incontro con i fratelli. Da questo tipo di pastorali ci si può attendere al massimo una dimensione di proselitismo, ma mai portano a raggiungere né l’inserimento ecclesiale, né l’appartenenza ecclesiale. La vicinanza crea comunione e appartenenza, rende possibile l’incontro. La vicinanza acquisisce forma di dialogo e crea una cultura dell’incontro.
Una pietra di paragone per calibrare la vicinanza e la capacità d’incontro di una pastorale è l’omelia. Come sono le nostre omelie? Ci avvicinano all’esempio di nostro Signore, che “parlava come chi ha autorità” o sono meramente precettive, lontane, astratte?»
Quarto: il ruolo del vescovo, vero perno della pastorale. «Il vescovo deve condurre, che non è la stessa cosa che spadroneggiare. (…) Uomini che amano la povertà, tanto la povertà interiore come libertà davanti al Signore, quanto la povertà esteriore come semplicità e austerità di vita. Uomini che non abbiano “psicologia da príncipi”. Uomini che non siano ambiziosi e che siano sposi di una Chiesa senza stare in attesa di un’altra. Uomini capaci di vegliare sul gregge che è stato loro affidato e di avere cura di tutto ciò che lo tiene unito: vigilare sul loro popolo con attenzione sugli eventuali pericoli che lo minacciano ma soprattutto per accrescere la speranza: che abbiano sole e luce nei cuori. Uomini capaci di sostenere con amore e pazienza i passi di Dio nel suo popolo. E il posto del vescovo per stare col suo popolo è triplice: o davanti per indicare il cammino, o nel mezzo per mantenerlo unito e neutralizzare gli sbandamenti, o dietro per evitare che nessuno rimanga indietro, ma anche, e fondamentalmente, perché il gregge stesso ha il proprio fiuto per trovare nuove strade».
E così il viaggio di luglio e poi a settembre a Cuba e in Usa, saranno nuove tappe di un percorso ecclesiale e sociale di grande significato per la Chiesa.
Fabrizio Mastrofini