Prezzi Lorenzo
Abusi: i religiosi chierici e gli altri
2015/6, p. 21

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Testimoni
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Abusi: i religiosi chierici e gli altri
Egregio direttore,
sono un salesiano e nella tesi che ho conseguito in diritto canonico mi sono occupato di diritto dei minori, affrontando anche lo studio del M.P. Sacramentorum Sanctitatis Tutela. Nel suo articolo apparso sul numero di aprile 2015 Gli abusi e i religiosi (cf. Testimoni 4/2015 p. 1) si dice a p. 3, riferendosi al delitto di abuso: «Si parla qui di sacerdoti, ma per quanto riguarda i religiosi e le religiose, anche di novizi/e, di professi/e e di fratelli non chierici. Per tutti valgono le norme promulgate dalla CDF nel 2001 e nel 2010».
Ciò che è affermato è scorretto in quanto la normativa della CDF è a sua volta dipendente dal § 2 del can. 1395. Esso rientra nel Titolo V dedicato all’analisi dei «Delitti contro gli obblighi speciali» e per la sua configurazione fa parte della categoria del delitto proprio, la quale necessita di una determinata qualità del reo, differenziandosi dal delitto comune, che può essere invece commesso da ogni fedele (C. Papale, I delitti contro la morale, 55. Si veda anche G. Ghirlanda, Doveri e diritti implicati nei casi di abusi sessuali perpetrati da chierici). Il soggetto attivo del delitto deve infatti essere un chierico, sia esso secolare o religioso, senza possibilità di estendere il delitto ai laici, anche nel caso vi sia stata cooperazione (V. De Paolis, «Delitti contro il sesto comandamento», 305-306). Così pure sono esclusi i religiosi, nonostante si fosse pensato di inserire anche questi tra i soggetti attivi (C. Scicluna, «Procedure and Praxis of the CDF»). L'articolo mi è stato fatto notare da una suora, che proprio sollevava questi dubbi e forse meriterebbe una rettifica.
La saluto cordialmente.
D. Giorgio Degiorgi sdb
Ringrazio don Degiorgi per l’opportuna puntualizzazione. Per ulteriore chiarezza riprendo due passaggi dallo studio citato dell’area giuridica della CISM (Questioni attuali per la vita e il governo degli istituti di vita consacrata, EDB, Bologna 2015 pp. 5-52).
«In questa nota tratteremo in particolare dell’abuso come delitto contro il sesto comandamento del Decalogo commesso da un religioso sacerdote con un minore al di sotto dei 18 anni di età. Ovviamente molte delle cose che verranno dette possono applicarsi, mutatis mutandis, ai novizi, agli studenti professi e ai religiosi fratelli» (p. 18).
In merito alle dimissioni dell’istituto si dice: «La dimissione dall’istituto per un religioso che non sia chierico. Nel caso l’accusa di abuso di un minore sia rivolta a un religioso che non sia anche chierico, sostanzialmente la procedura non cambia. Il delitto, infatti, rientra comunque nella violazione del can. 1396, paragrafo 2, che rimanda al canone 695, paragrafo 1, il quale, come già visto stabilisce che sia obbligatoriamente avviata la procedura per la dimissione. Il fatto che il religioso coinvolto non sia anche chierico consente al superiore maggiore di non dover notificare la conoscenza del presunto reato alla Congregazione per la dottrina della fede, ma non lo esime dal dover avviare l’indagine previa per raccogliere gli elementi utili a formulare un giudizio in merito. Anche in queste circostanze il superiore maggiore, valutate le prove ed emesso il giudizio, ha la facoltà di non procedere alla richiesta di dimissioni qualora ritenga che il reo possa essere corretto in altro modo e la reintegrazione della giustizia e la riparazione dello scandalo siano ugualmente tutelate. Vista la delicatezza della materia, è assai consigliabile che il superiore maggiore usi tale facoltà di non procedere in via eccezionale. In caso di dubbio, è sempre possibile la consultazione con l’autorità suprema dell’istituto» (p. 37).
Lorenzo Prezzi