Dall'Osto Antonio
L'esempio di Teresa d'Avila
2015/6, p. 15
La gioia nella vita dei consacrati non è un’idea astratta e semplicemente proclamata, ma è uno dei frutti più preziosi dello Spirito che abita in essi e nelle loro comunità. Teresa d’Ávila non si è mai stancata di ripeterlo e di darne l’esempio.
La vita consacrata luogo della gioia
L’ESEMPIO
DI TERESA D’ÁVILA
La gioia nella vita dei consacrati non è un’idea astratta e semplicemente proclamata, ma è uno dei frutti più preziosi dello Spirito che abita in essi e nelle loro comunità. Teresa d’Ávila non si è mai stancata di ripeterlo e di darne l’esempio.
Nella lettera per l’Anno della vita consacrata, papa Francesco, ricordando la sua precedente affermazione “dove ci sono i religiosi c’è gioia”, scrive: «Siamo chiamati a sperimentare e mostrare che Dio è capace di colmare il nostro cuore e di renderci felici, senza bisogno di cercare altrove la nostra felicità... Che tra di noi non si vedano volti tristi, persone scontente e insoddisfatte, perché “una sequela triste è una triste sequela”».
Ne sono mirabile esempio i santi. Tra questi ci piace ricordare in particolare Teresa d’Ávila, anche perché quest’anno si celebra il V centenario della sua nascita. Teresa era una persona piena di gioia e di umorismo, amava le feste e le piaceva molto scherzare. Non tollerava la tristezza e la melanconia. Diceva: «Un’anima angosciata non può servire bene il Signore». E voleva che i suoi monasteri fossero luoghi di gioia. «Io diceva, voglio la gioia nella comunità carmelitana e nel cuore delle carmelitane”.
In quest’anno dedicato alla vita consacrata, ci sembra interessante guardare a Teresa d’Ávila e trovare nel suo esempio la gioia di appartenere al Signore quale condizione anche per ogni rinnovamento.
Ci può aiutare un articolo che p. José Maria Arnaiz, sm ha scritto per la rivista dei religiosi del Cile, in un quaderno tutto dedicato a questa grande santa e maestra.
Una gioia
sopra ogni altra cosa
Teresa più che un pensiero – sottolinea il padre – ci offre un’esperienza; e questa ci porta a assumere determinati atteggiamenti spirituali e un modo concreto di procedere: la sua parola sulla gioia viene dalla esperienza mistica, dal suo buonumore di base.
Per esprimere questo atteggiamento si serve di una varietà di termini: piacere, contentezza, giubilo, godimento, felicità, gusto, riso, humour, festa, regalo, consolazione, cielo...
Nei suoi scritti, in particolare nell’autobiografia (Vita) e nelle lettere ci si imbatte continuamente su questo tema. Scrive, per esempio: «Non mi è possibile esprimere tutto ciò che si prova quando Dio ci partecipa i suoi segreti e le sue meraviglie. Si sente una gioia superiore a qualsiasi umana immaginazione, una gioia che ispira un così profondo orrore per tutti i diletti della terra, da sentire disgusto anche solo a paragonarli con quelli perché non sono che bassezza anche se durassero per sempre. Eppure non è che una piccola goccia, caduta da quel rigonfio torrente di delizie che ci sta preparando nei cieli” (V 27.12). “Mi sembrava impossibile, senza il soccorso di Dio, che potessi sopportare tanti mali così lietamente” (V 6.2). “Per un monastero di tanta povertà e orazione (il monastero S. Giuseppe), non avrei potuto desiderar le monache più perfette, e vi stanno con tanta gioia e allegrezza da riconoscersi indegne di aver meritato di venirci, specialmente quelle che Dio ha chiamato dalle vanità e dalle pompe mondane, fra le quali, secondo le massime del secolo, avrebbero potuto essere felici: vi godono tanta abbondanza di gioia da sentirsi pienamente convinte che il Signore dia loro il cento per uno di quello che hanno lasciato, per cui non cessano di ringraziarlo» (V 35.12). E nel Cammino di Perfezione 13,7: “Se sulla terra vi può essere il paradiso, esso è in questa casa. Vita felicissima vi conducono infatti le anime che, disprezzando ogni propria soddisfazione, non pensano che a contentare il Signore. Ma quelle che qui cercassero altra cosa, non solo non la troverebbero, ma perderebbero tutto”
E nelle lettere scrive: “Dio dà loro (alle monache) una contentezza e una gioia così ordinaria da sembrare un paradiso sulla terra” (Epistolario 11,1). “Essendo così contente non finiscono di ringraziare vostra signoria come suo principio” (Ep. 81.2). “Alcune volte rido di me stessa e così conosco la mia miseria”.
Per una VC
gioiosa e felice
Della sua vita e del suo carattere – sottolinea p. Arnaiz – ci resta soprattutto lo stimolo e l’invito che viene da una donna, molto sveglia, determinata, colta e vanitosa fino a lamentarsi quando non la ritraggono o dipingono secondo il suo gusto. Intelligente come era, possedeva un senso spiccato di umorismo...
La vita spirituale e la preghiera per lei non sono realtà per chiudersi in se stessi, ma il contrario. Il volto corrucciato, il gesto serio, l’affettazione, la poca gioia, il non poter burlarsi di sé ... tutto questo, per lei, non è espressione di una sana spiritualità.
Al contrario, per Teresa, l’umorismo e la capacità di ridere e di gioire fanno parte della santità. Lo dice con chiarezza in un momento in cui si trova davanti a qualcosa di molto spiacevole. Si erano diffuse delle calunnie nei riguardi di p. Gracián, per il suo modo di fare con alcune carmelitane. Dirà a Maria di San Giuseppe che “sono assurdità; la cosa migliore è di ridersela di loro e lasciarli dire”.
Per Teresa, l’umorismo era un segno di salute umana e spirituale e aiuta a prendere le distanze dalla vita quotidiana perché questa non assorba completamente tutta l’energia... L’umorismo è equilibrio e maturità. Se la ride del falso applauso della gente... è ingannevole, qualcosa di vuoto e senza verità». Scrive: “Ero solita affliggermi molto nel vedere tanta cecità in queste lodi e io me la rido come se vedessi parlare un pazzo”.
Tipico della sua vita è di saper fondere bene il divino e l’umano, la mistica più sublime con la realtà più ordinaria. Trova la gioia anche in mezzo alla sofferenza che per lei è una “croce florida”.
La gioia è stata il filo conduttore della sua esistenza. Teresa è educata alla gioia nella sua famiglia. Coltiva con cura, , “le grazie di natura che il Signore mi aveva dato che – come mi dicevano – erano tante”. Le costa la disciplina severa delle religiose agostiniane dove la mette suo padre come interna. Quando emette il voto di fare ciò che è più perfetto si sente pervasa di un’immensa felicità. Vive la grande gioia di veder trionfare la riforma e l’inizio di un nuovo monastero dove le monache “sono felici come pazze” e festeggiano con gioia l’invasione dei pidocchi e soprattutto la povertà.
Non minore fu la gioia di cominciare a chiamarsi “Teresa di Gesù”. Conosce i tempi duri in cui si trovano la Chiesa e la vita religiosa: “In questi tempi ci vogliono degli amici forti di Dio”. “vivevamo l’utopia di essere felici facendo affidamento solo in Dio... e cercavamo la gioia sulla via austera del Crocifisso per amore”.
Provarono gioia quando nel luglio 1553 Teresa toglie le scarpe e comincia ad andare scalza. Le piacevano gli stornelli nelle feste: “camminiamo verso il cielo, monache del Carmelo”. Quando si tratta di cominciare la riforma, afferma di avere già per questa fondazione “un frate e mezzo”. La storia delle fondazioni è piena di aneddoti e di umorismo. Sono sue frasi come queste: “ Che dice lei che indovina il futuro”, “magari ci facesse un piccolo miracolo”; “Dicono che lei parla come gli angeli”; “Prendiamo case povere così faranno meno rumore cadendo”; Dio ti perdoni, Giovanni, che mi hai ritratta così brutta e cisposa” (Siviglia 1575)..
Nel 1577, l’anno più duro della sua vita, davanti all’accusa dell’Inquisizione, le capita di commentare che tra i mori ci sarebbe stata più pietà che ad Ávila e in mezzo a tanta persecuzione trova il tempo per scrivere con un tono gioioso il Castello interiore o Mansioni. «La nostra anima, osserva, è come un cielo dove ci sono molte dimore».
Le riusciva facile vedere il lato comico delle situazioni e, soprattutto, leggerle in questo registro. Paragona quei tempi difficili alla primavera. Quando le dicono di bruciare alcune sue opere, lei le brucia “senza scomporsi”. Quando le moltiplicano gli attacchi, si lamenta perché non “si finisce mai di morire»”. E scaturisce dal suo cuore il celebre «Niente ti turbi, niente ti spaventi, tutto passa. Dio non cambia, con la pazienza tutto ottieni. Niente ti manca se hai Dio nel cuore. Dio solo basta!»
Il 4 ottobre 1582 può chiamare dolce perfino la morte che arriva: «Guarda che l’amore è forte: guarda come l'amore è forte; guarda che sol mi resta di perderti per guadagnarti. Venga subito la dolce morte, venga leggero il morir, che muoio perché non muoio». Ha nei suoi occhi un sorriso contagioso che conservava sempre fresco.
L’esempio di Teresa
per noi oggi
Una vita religiosa riformata nel momento attuale, all’inizio del sec. XXI – osserva p. Arnaiz – presuppone una vita caratterizzata dalla gioia. Santa Teresa pone infatti la gioia a fondamento della riforma da lei operata. È una gioia che pervade le strutture, gli orari, lo stile formativo. Per lei, le fonti della gioia nella vita consacrata sono: la povertà evangelica, l’accoglienza del povero, la fraternità comunitaria, le grazie mistiche.
La vita consacrata oggi deve essere un’eco della vita di Teresa e assumere la sua esperienza evangelica di felicità. La mancanza di gioia e di felicità è all’origine di una vita religiosa che non è né feconda né rivitalizzata. Sono enormi le conseguenze di una vita religiosa triste e manifestamente infelice. Ciò che maggiormente ci interpella nelle parole e nella testimonianza di Teresa è che se non riusciamo a essere felici nella vita consacrata, bisogna o cambiare la vita consacrata o abbandonarla. La gioia rivela in essa e in noi una splendida maturità... In Teresa è forte l’esigenza e l’ispirazione di vivere una vita gioiosa. Teresa ci insegna a:
A favorire le espressioni del buon umore: Se abbiamo la possibilità di visitare i musei dove sono esposte le reliquie della Santa, avremo la sorpresa di trovare delle nacchere, dei tamburi e dei flauti. Teresa amava molto la festa, le piaceva comporre canzoni, animava tutti, viveva contenta. Non sopportava musi lunghi, né drammi gratuiti; non c’era spazio né per la tristezza né per la melanconia nella sua comunità, nel suo ambiente. Teresa fece del buon umore un atteggiamento di vita. Quando scrive le sue lettere, si diverte a raccontare dettagli molto umani, molto graziosi. L’umorismo era uno dei suoi grandi alleati.
Ad essere gioviali ed esercitarsi in una giovialità attraente. Teresa aveva sempre a portata di mano la saliera del buon umore. E lo utilizzava con dosi convenienti: nelle correzioni non è male usare un po’ di ironia: “ Se mi stanco a leggere le regole, che farei se dovessi osservarle...?”. Negli scoraggiamenti ci sta molto bene una schietta risata: “se ti fai delle croci per un nulla, vivrai crocifissa”. Davanti ai problemi, un sorriso negli occhi. “Niente ti turbi, niente ti spaventi, tutto passa...”. Con le persone importanti non perdeva la sua serena allegria: “Che me ne importa dei re e dei signori? Non cerco le loro rendite né di farli contenti.
Davanti alle persone prive di stima, apriva loro il suo cuore. Usava il buonumore perfino con Dio. Ricordiamo quell’episodio quando, pulendo la cappella, cadde per terra. Le faceva molto male il braccio che si era fratturato. Allora volge lo sguardo al tabernacolo e domanda al Signore: “Perché ti comporti così, Gesù?”.
A cantare e fare festa. Tutti sappiamo che cantare è proprio degli innamorati. Sarebbe interminabile la lista se dovessimo contare coloro che hanno espresso i propri sentimenti attraverso la musica. Ci pare che la chitarra – che ha un’anima femminile – simboleggi molto bene la gioia, la presenza d’animo con cui Teresa di Gesù faceva fronte alla vita, non solo con serenità, ma anche con buon umore e contentezza.
A vivere la gioia come un dono. La gioia per la Santa non era conquistata con la forza, né con grandi concetti. Era uno stile, che considerava un frutto dello Spirito, conseguenza di sentirsi gratuitamente amata dal Signore. Scoprì il tesoro – Gesù – e comprò con gioia il campo. Teresa di Gesù se la ride, critica, corregge, scherza sempre con un pizzico di comprensione, di amabilità. Grazie al suo buon umore conquistava la gente, usciva dai problemi più duri e si sentiva libera di fronte ai giudizi negativi, se la rideva anche dei contrattempi incontrati come fondatrice. Ci insegna soavemente che non c’è cosa tanto seria, né notizia tanto dura che non possa essere detta con un sorriso...
Vivere felici è un’urgenza oggi nella vita consacrata, conclude p. Arnaiz. Teresa è una stupenda maestra e una buona interceditrice. La invochiamo e le chiediamo il dono della gioia, indispensabile per essere religiosi appassionati in questo inizio del secolo XXI.
a cura di Antonio Dall’Osto