Papa Francesco
Giornata mondiale delle comunicazioni sociali
2015/6, p. 10
Per la Giornata mondiale delle comunicazioni sociali, del 24 maggio scorso, il papa nel suo Messaggio ha scelto come tema : Comunicare la famiglia: ambiente privilegiato dell’incontro nella gratuità dell’amore. È un argomento che si collega con il sinodo dei vescovi sulla famiglia che si celebrerà il prossimo mese di ottobre.

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Giornata mondiale delle comunicazioni sociali
Per la Giornata mondiale delle comunicazioni sociali, del 24 maggio scorso, il papa nel suo Messaggio ha scelto come tema : Comunicare la famiglia: ambiente privilegiato dell’incontro nella gratuità dell’amore. È un argomento che si collega con il sinodo dei vescovi sulla famiglia che si celebrerà il prossimo mese di ottobre.
Il messaggio prende lo spunto dalla visita di Maria a Elisabetta: «Questo episodio – scrive il papa – ci mostra la comunicazione come un dialogo che si intreccia con il linguaggio del corpo. La prima risposta al saluto di Maria la dà infatti il bambino, sussultando gioiosamente nel grembo di Elisabetta. Esultare per la gioia dell’incontro è in un certo senso l’archetipo e il simbolo di ogni altra comunicazione, che impariamo ancora prima di venire al mondo. Il grembo che ci ospita è la prima “scuola” di comunicazione, fatta di ascolto e di contatto corporeo, dove cominciamo a familiarizzare col mondo esterno in un ambiente protetto e al suono rassicurante del battito del cuore della mamma...
Anche dopo essere venuti al mondo restiamo in un certo senso in un “grembo”, che è la famiglia. Un grembo fatto di persone diverse, in relazione: la famiglia è il “luogo dove si impara a convivere nella differenza” (Evangelii gaudium, 66). Differenze di generi e di generazioni, che comunicano prima di tutto perché si accolgono a vicenda, perché tra loro esiste un vincolo. E più largo è il ventaglio di queste relazioni, più sono diverse le età, e più ricco è il nostro ambiente di vita. È il legame che sta a fondamento della parola, che a sua volta rinsalda il legame. Le parole non le inventiamo: le possiamo usare perché le abbiamo ricevute. È in famiglia che si impara a parlare nella “lingua materna”, cioè la lingua dei nostri antenati (cfr 2 Mac 7,25.27). In famiglia si percepisce che altri ci hanno preceduto, ci hanno messo nella condizione di esistere e di potere a nostra volta generare vita e fare qualcosa di buono e di bello...
L’esperienza del legame che ci “precede” fa sì che la famiglia sia anche il contesto in cui si trasmette quella forma fondamentale di comunicazione che è la preghiera. Quando la mamma e il papà fanno addormentare i loro bambini appena nati, molto spesso li affidano a Dio, perché vegli su di essi; e quando sono un po’ più grandi recitano insieme con loro semplici preghiere, ricordando con affetto anche altre persone, i nonni, altri parenti, i malati e i sofferenti, tutti coloro che hanno più bisogno dell’aiuto di Dio. Così, in famiglia, la maggior parte di noi ha imparato la dimensione religiosa della comunicazione, che nel cristianesimo è tutta impregnata di amore, l’amore di Dio che si dona a noi e che noi offriamo agli altri.
Nella famiglia è soprattutto la capacità di abbracciarsi, sostenersi, accompagnarsi, decifrare gli sguardi e i silenzi, ridere e piangere insieme, tra persone che non si sono scelte e tuttavia sono così importanti l’una per l’altra, a farci capire che cosa è veramente la comunicazione come scoperta e costruzione di prossimità. Ridurre le distanze, venendosi incontro a vicenda e accogliendosi, è motivo di gratitudine e gioia... La famiglia è viva se respira aprendosi oltre se stessa, e le famiglie che fanno questo possono comunicare il loro messaggio di vita e di comunione, possono dare conforto e speranza alle famiglie più ferite, e far crescere la Chiesa stessa, che è famiglia di famiglie.
La famiglia è più di ogni altro il luogo in cui, vivendo insieme nella quotidianità, si sperimentano i limiti propri e altrui, i piccoli e grandi problemi della coesistenza, dell’andare d’accordo. Non esiste la famiglia perfetta, ma non bisogna avere paura dell’imperfezione, della fragilità, nemmeno dei conflitti; bisogna imparare ad affrontarli in maniera costruttiva. Per questo la famiglia in cui, con i propri limiti e peccati, ci si vuole bene, diventa una scuola di perdono...
A proposito di limiti e comunicazione, hanno tanto da insegnarci le famiglie con figli segnati da una o più disabilità. Il deficit motorio, sensoriale o intellettivo è sempre una tentazione a chiudersi; ma può diventare, grazie all’amore dei genitori, dei fratelli e di altre persone amiche, uno stimolo ad aprirsi, a condividere, a comunicare in modo inclusivo; e può aiutare la scuola, la parrocchia, le associazioni a diventare più accoglienti verso tutti, a non escludere nessuno.
In un mondo, poi, dove così spesso si maledice, si parla male, si semina zizzania, si inquina con le chiacchiere il nostro ambiente umano, la famiglia può essere una scuola di comunicazione come benedizione. E questo anche là dove sembra prevalere l’inevitabilità dell’odio e della violenza, quando le famiglie sono separate tra loro da muri di pietra o dai muri non meno impenetrabili del pregiudizio e del risentimento, quando sembrano esserci buone ragioni per dire “adesso basta”; in realtà, benedire anziché maledire, visitare anziché respingere, accogliere anziché combattere è l’unico modo per spezzare la spirale del male, per testimoniare che il bene è sempre possibile, per educare i figli alla fratellanza.
Oggi i media più moderni, che soprattutto per i più giovani sono ormai irrinunciabili, possono sia ostacolare che aiutare la comunicazione in famiglia e tra famiglie. La possono ostacolare se diventano un modo di sottrarsi all’ascolto, di isolarsi dalla compresenza fisica, con la saturazione di ogni momento di silenzio e di attesa disimparando che «il silenzio è parte integrante della comunicazione e senza di esso non esistono parole dense di contenuto» (Benedetto XVI, Messaggio per la 46ª G.M. delle Comunicazioni Sociali, 24.1.2012). La possono favorire se aiutano a raccontare e condividere, a restare in contatto con i lontani, a ringraziare e chiedere perdono, a rendere sempre di nuovo possibile l’incontro. Riscoprendo quotidianamente questo centro vitale che è l’incontro, questo “inizio vivo”, noi sapremo orientare il nostro rapporto con le tecnologie, invece che farci guidare da esse...
La sfida che oggi ci si presenta è, dunque, reimparare a raccontare, non semplicemente a produrre e consumare informazione. È questa la direzione verso cui ci spingono i potenti e preziosi mezzi della comunicazione contemporanea. L’informazione è importante ma non basta, perché troppo spesso semplifica, contrappone le differenze e le visioni diverse sollecitando a schierarsi per l’una o l’altra, anziché favorire uno sguardo d’insieme...
La famiglia più bella, protagonista e non problema, è quella che sa comunicare, partendo dalla testimonianza, la bellezza e la ricchezza del rapporto tra uomo e donna, e di quello tra genitori e figli. Non lottiamo per difendere il passato, ma lavoriamo con pazienza e fiducia, in tutti gli ambienti che quotidianamente abitiamo, per costruire il futuro».