Incontro del papa con i religiosi/e di Roma
2015/6, p. 6
Nell’ambito dell’Anno per la vita consacrata, il Papa ha voluto incontrare i religiosi/e di Roma in un stile gioioso insieme e confidenziale, in forma di dialogo. Gli sono state proposte quattro domande che hanno toccato punti sensibili della vita consacrata.
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Incontro del Papa con i religiosi/e di Roma
Nell’ambito dell’Anno per la vita consacrata, il papa ha voluto incontrare i religiosi/e di Roma in uno stile gioioso insieme e confidenziale, in forma di dialogo. Gli sono state proposte quattro domande che hanno toccato punti sensibili della vita consacrata.
La prima domanda gli è stata posta da sr. Fulvia Sieni, agostiniana del Monastero dei Santi Quattro Coronati e riguardava il delicato equilibrio tra nascondimento e visibilità, clausura e coinvolgimento nella vita diocesana, silenzio orante e parola che annuncia.
Più che di equilibrio, ha risposto il papa, si tratta di «tensione fra nascondimento e visibilità», fra l’atteggiamento di cercare il Signore e nascondersi nel Signore e la chiamata a dare un segno. Ma, ha risposto il papa, le mura del monastero non sono sufficienti per dare il segno. Si tratta quindi di vivere bene queste due chiamate: quella di Dio verso la vita nascosta e quella di Dio di farsi visibili in qualche modo.
Il monastero perciò non deve essere un rifugio. A volte la grata assomiglia più a un muro, certe volte impenetrabile e sordo al resto dell’umanità che vive fuori il perimetro del convento. Un altro sbaglio è «di non voler sentire niente, non vedere niente». Ma le notizie possono entrare in monastero?. «Devono! – ha risposto il papa. Ma non le notizie – diciamo – dei media “chiacchieroni”; le notizie di che cosa succede nel mondo, le notizie – per esempio – delle guerre, delle malattie, di quanto soffre la gente... è sempre importante il collegamento col mondo: sapere che cosa succede. Perché la vostra vocazione non è un rifugio; è andare proprio in campo di battaglia, è lotta, è bussare al cuore del Signore per quella città. È come Mosè che teneva le mani in alto, pregando, mentre il popolo combatteva» (cfr Es 17,8-13).
La seconda domanda gli è stata posta da Iwona Langa, dell’Ordo virginum, Casa-famiglia Ain Karim. Riguardava il rapporto tra il matrimonio e la verginità cristiana come due modi per realizzare la vocazione all’amore.
Dopo aver sottolineato la complementarietà di queste due vocazioni, il papa ha insistito molto soprattutto sull’aspetto sponsale della vita consacrata femminile e sulla maternità spirituale della donna consacrata. «C’è nella consacrazione femminile una dimensione sponsale. Questa dimensione femminile nelle donne è molto importante. Le suore sono l’icona della Chiesa e della Madonna. Non dimenticare che la Chiesa è femminile: non è il Chiesa, è la Chiesa. E per questo la Chiesa è sposa di Gesù. Tante volte lo dimentichiamo; e dimentichiamo questo amore materno della suora, perché materno è l’amore della Chiesa; questo amore materno della suora, perché materno è l’amore della Madonna... Una donna che non entra per consacrarsi su questa strada, alla fine sbaglia».
Il suo deve essere però un amore concreto, non campato in aria. In che modo? La concretezza, ha detto il papa, si può trovare in due brani del Vangelo. Nelle Beatitudini: ti dicono che cosa devi fare. Gesù, il programma di Gesù, è concreto. Tante volte io penso che le Beatitudini sono la prima enciclica della Chiesa. E poi la concretezza la trovi nel protocollo sul quale tutti noi saremo giudicati: Matteo 25 (giudizio finale). La concretezza della donna consacrata è lì. Con questi due brani tu puoi vivere tutta la vita consacrata; e facendo queste cose concrete tu puoi arrivare anche ad un grado, ad un’altezza di santità e di preghiera molto grande.”
La terza domanda gli è stata rivolta da p. Gaetano Saracino, missionario scalabriniano, parroco del SS. Redentore, che chiedeva come mettere in comune e far fruttificare i doni di cui sono portatori i diversi carismi in questa Chiesa locale così ricca di talenti?... A volte, poi, noi consacrati ci sentiamo come “tappabuchi”. Come “camminare insieme”?
«È vero», ha risposto il papa, «l’unità fra i diversi carismi, l’unità del presbiterio, l’unità col vescovo… E questo non è facile trovarlo. Non è facile il rapporto dei religiosi con il vescovo, con la diocesi o con i sacerdoti non religiosi. Ma bisogna impegnarsi per il lavoro comune... Il vescovo non deve usare i religiosi come tappabuchi, ma i religiosi non devono usare il vescovo come fosse il padrone di una ditta che dà un lavoro».
Nella domanda del p. Saracino c’era anche un accenno al problema della “festa”. La festa, ha affermato il papa, «è una delle cose che noi cristiani dimentichiamo. Ma la festa è una categoria teologica, c’è anche nella Bibbia... Non si può vivere la vita consacrata senza questa dimensione festosa. Si fa festa. Ma fare festa non è lo stesso di fare chiasso, rumore…È la gioia di ricordare tutto quello che il Signore ha fatto per noi; tutto quello che mi ha dato; anche quel frutto per il quale io ho lavorato e faccio festa. Nelle comunità, anche nelle parrocchie dove non si fa festa – quando capita di farla – manca qualcosa!.. Tutto ordinato: i bambini fanno la Comunione, bellissima, si insegna un bel catechismo... Ma manca qualcosa: manca chiasso, manca rumore, manca festa! Manca il cuore festoso di una comunità. La festa. Alcuni scrittori spirituali dicono che anche l’eucaristia, la celebrazione dell’eucaristia è una festa: sì, ha una dimensione festosa nel commemorare la morte e la risurrezione del Signore».
La quarta e ultima domanda gli è stata posta da p. Gaetano Greco, terziario cappuccino dell’Addolorata, (cappellano del carcere minorile di Casal del Marmo) e diceva: «La vita consacrata è un dono di Dio alla Chiesa, un dono di Dio al suo Popolo. Non sempre però questo dono è apprezzato e valorizzato nella sua identità e nella sua specificità. Spesso le comunità, soprattutto femminili, nella nostra Chiesa locale hanno difficoltà a trovare seri accompagnatori e accompagnatrici, formatori, direttori spirituali, confessori. Come riscoprire questa ricchezza? La vita consacrata per l’80% ha un volto femminile. Com’è possibile valorizzare la presenza della donna e in particolare della donna consacrata nella Chiesa?».
«La vita consacrata – ha risposto il papa – è un dono, un dono di Dio alla Chiesa. È vero. È un dono di Dio. ..Non sempre, però, questo dono è apprezzato e valorizzato nella sua identità e nella sua specificità. Questo è vero. C’è la tentazione di omologare i consacrati, come se fossero tutti la stessa cosa... è un dono con una identità particolare, che viene tramite il dono carismatico che Dio fa a un uomo o a una donna per formare una famiglia religiosa».
Un altro problema riguarda l’accompagnamento dei religiosi. «Spesso – ha sottolineato il papa – le comunità, soprattutto femminili, nella nostra Chiesa locale hanno difficoltà a trovare seri accompagnatori e accompagnatrici, formatori, padri spirituali e confessori... Non è facile accompagnare. Non è facile trovare un confessore, un padre spirituale... Io, nell’altra diocesi che avevo, consigliavo sempre alle suore: “Dimmi, nella tua comunità o nella tua congregazione, non c’è una suora saggia, una suora che viva il carisma bene, una buona suora di esperienza? Fai la direzione spirituale con lei!” – “Ma è donna!” – “Ma è un carisma dei laici!”. La direzione spirituale non è un carisma esclusivo dei presbiteri: è un carisma dei laici! Nel monachesimo primitivo i laici erano i grandi direttori... Una cosa è il direttore spirituale e un’altra è il confessore. Dal confessore io vado, dico i miei peccati... ma al direttore spirituale devo dire cosa succede nel mio cuore... Per la direzione spirituale devi fare un esame su cosa è successo nel cuore; quale mozione dello spirito, se ho avuto desolazione, se ho avuto consolazione, se sono stanco, perché sono triste: queste sono le cose di cui parlare con il direttore o la direttrice spirituale. Queste sono le cose. I superiori hanno la responsabilità di cercare chi in comunità, in congregazione, in provincia ha questo carisma, dare questa missione e formarli, aiutarli in questo».
Infine: come è possibile valorizzare la presenza della donna, e in particolare della donna consacrata, nella Chiesa? «L’essenziale del ruolo della donna, ha affermato il papa, sta nel fare in modo che lei esprima il genio femminile. Quando noi trattiamo un problema fra uomini arriviamo ad una conclusione, ma se trattiamo lo stesso problema con le donne, la conclusione sarà diversa. Andrà sulla stessa strada, ma più ricca, più forte, più intuitiva. Per questo la donna nella Chiesa deve avere questo ruolo; si deve esplicitare, aiutare ad esplicitare in tante maniere il genio femminile».