Garcìa Paredes Josè Cristo Rey
Il coraggio di saper innovare
2015/5, p. 40
Non basta rinnovare. Bisogna creare cose nuove, ossia innovare, e non lasciarsi paralizzare dalla paura. La paura è sempre una cattiva consigliera. Dalla capacità di intraprendere nuovi cammini dipenderà il futuro della vita consacrata.

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Testimoni
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Attese per l’anno della vita consacrata
IL CORAGGIO
DI SAPER INNOVARE
Non basta rinnovare. Bisogna creare cose nuove, ossia innovare, e non lasciarsi paralizzare dalla paura. La paura è sempre una cattiva consigliera. Dalla capacità di intraprendere nuovi cammini dipenderà il futuro della vita consacrata.
Nella lettera apostolica Testimoni della gioia (28 novembre 2014) papa Francesco esprime alcuni desideri che, oltre ad essere appropriati, possono tradursi in preghiera. Li chiama “attese” e si riassumono in cinque parole: gioia, svegliare, comunione, mondo-periferia, creatività-innovazione. Come premessa e su questo sfondo chiediamoci: Preferiamo una vita consacrata separata da questo mondo o piuttosto inviata a questo mondo e desiderosa di incarnarsi in esso, come Gesù?
Nella trasmissione della nostra fede e nella testimonianza vogliamo servirci del linguaggio del mondo culturale e intellettuale della gente d’oggi o pretendiamo che gli altri si adeguino al nostro linguaggio, imparino le sue chiavi, entrino nel nostro mondo concettuale?
Optiamo per andare controcorrente, per la denuncia e l’intransigenza – paurosi davanti a qualsiasi invenzione o innovazione – o ci sentiamo chiamati ad essere comprensivi, a rafforzare gli impulsi di rinnovamento della società e offrire ad essi il significato che lo Spirito continua a rivelare?
Quando ci attacchiamo troppo alla tradizione diventiamo irrilevanti, incapaci di trasformare la cultura; creiamo delle separazioni, diventiamo incapaci di discernere dove agisce lo Spirito di Dio; mostriamo un Dio-Chiesa e non un Dio della vita, compresa la Chiesa. Questo modello di Chiesa – e di vita consacrata in essa – non attira le nuove generazioni che vogliono uguaglianza, compassione, autenticità, che desiderano vedere delle alternative alle politiche vigenti fino ad oggi, che si sentono appassionate per le innovazioni tecnologiche, per le scoperte delle scienze, per l’avventure della libertà.
Papa Francesco si chiede: che cosa mi attendo in particolare da questo anno di grazia dalla vita consacrata? E risponde con cinque proposte, che io ridurrei a quattro:
che si realizzi il detto: “Dove ci sono i religiosi, lì c’è gioia”;
che “svegliate il mondo”;
che vi mostriate degli “esperti di comunione”;
che andiate in tutto il mondo, in particolare nelle periferie esistenziali e vi domandiate che cosa Dio e l’umanità ci chiedono oggi.
“Dove ci sono i religiosi, lì c’è gioia”
Alcuni mesi fa ho accompagnato un istituto religioso durante la fase di discernimento per eleggere il governo generale. Si tratta di un momento molto delicato. Una persona – molto considerata in quell’istituto nel campo della spiritualità e della formazione – mi disse: “nel nostro istituto... c’è molta gente triste”. Ma più che impressionarmi per questo fatto, mi chiesi: “capita solo in questo istituto o è un fenomeno generalizzato nella vita consacrata?”.
A Harvard, il corso che gode di maggiore popolarità e successo – più di quelli di economia – tenuti da grandi specialisti – è quello che riguarda la felicità. Si intitola “Maggiore felicità” ed è tenuto da Tal Ben Shahar. È un corso che attira 1.400 alunni ogni semestre, e il 20% dei laureati di Harvard sceglie di frequentarlo. Il professore paragona la vita a un’impresa che ha dei profitti e dei costi. L’impresa va bene se ci sono più profitti che costi. I nostri profitti sono le emozioni e i pensieri positivi; i costi sono le nostre emozioni e i pensieri negativi. Quando questi prevalgono nel bilancio finale, andiamo incontro alla bancarotta, ai numeri in rosso. “Solo sorridere, cambia lo stato d’animo”. “Essere felice è alla fine un accumulare un gran fondo di risparmio di esperienze significative. Povero quel tale che custodisce ciò che possiede là dove si corre il rischio di perdere tutto”.
La verità è che i livelli di soddisfazione nella vita consacrata non sono molto alti. Si vedono tra di noi dei “volti tristi, persone scontente, insoddisfatte…”.
Si possono portare molte ragioni: difficoltà, notti dello spirito, delusioni, malattie, perdita di energia; eccesso o difetto di un modo di governare, nella vita comunitaria, nella propria vita personale affettiva e spirituale…
Papa Francesco ci dice che:
siamo chiamati a esperimentare e a far vedere che la fonte della nostra gioia è Dio – capace di riempire il nostro cuore –; non dobbiamo cercarla da nessun’altra parte;
la fraternità autentica, vissuta nelle nostre comunità nutre la nostra gioia e ci realizza come persone; anche la nostra consegna totale al servizio della Chiesa (famiglie, giovani, anziani, poveri) dà significato e pienezza alla nostra vita;
non pregiudicano la nostra gioia interiore i patimenti, le sofferenze: attraverso di essi ci è dato di partecipare alle sofferenze di Gesù, che, per amore nostro, non rifiutò la croce;
la nostra gioia rende attraente alle nuove generazioni la vita consacrata. Non bastano le belle campagne vocazionali, né l’efficienza e la potenza dei nostri mezzi di evangelizzazione. Ad esse parla una vita «che lascia trasparire la gioia e la bellezza di vivere il Vangelo e seguire Cristo».
“Svegliate il mondo”
La perdita di forza profetica si manifesta nel distacco da Dio e dagli altri. È la tentazione della fuga, come Elia, come Giona. E, così, distaccati, cadiamo in un profondo sopore. Un sopore che ha molto a che vedere con quel peccato capitale dimenticato nella Chiesa d’Occidente, l’accidia.
Per i padri del deserto era il peggiore dei peccati capitali. Lo chiamavano anche il demonio meridiano. È il demonio della perdita di speranza, non solo nelle istituzioni, non solo nella comunità, non solo nel proprio ministero, ma – in ultima e prima istanza – in Dio. È un non confidare in Dio, nella sua Provvidenza.
Il profeta è colui che rimane vigile e cerca di far uscire dal loro sopore quelli che dormono. «La testimonianza profetica (...) si esprime nella denuncia di tutto ciò che è contrario alla volontà di Dio e nell’esplorazione di vie nuove per attuare il Vangelo nella storia, in vista del Regno di Dio» (VC 84).
Questa è stata la missione del profeta Elia nei riguardi del suo popolo: passione per la fedeltà all’Alleanza, difesa coraggiosa dei diritti dei poveri, trasmissione del suo spirito profetico alle nuove generazioni. Benché tentato, Elia non si lasciò mai prendere dalla disperazione: dopo un lungo tempo di siccità, gli fu concesso di vedere – mentre pregava piegato con la faccia tra le ginocchia – una «nuvoletta grande come la palma di una mano» che saliva dal mare (1 Re 18,42.44).
Noi lottiamo contro gli occhi oppressi dal sonno (Lc 9,32) per discernere i movimenti della nube e riconoscere i segni della Presenza: «Guidati dallo Spirito, mai rigidi, mai chiusi, sempre aperti alla voce di Dio che parla, che apre, che conduce, che ci invita ad andare verso l’orizzonte». Papa Francesco ci chiede di essere «sentinelle che vegliano nella notte e sanno quando giunge l’aurora (Is 21,11-12), e che stiamo, soprattutto, «dalla parte dei poveri e degli indifesi, perché Dio sta dalla loro parte».
Diceva Ernst Bloch che ci sono due tipi di sogni: i sogni notturni – che rimandano al passato – e i sogni diurni – che rinviano al futuro. Questi sogni non devono essere solo una nostra utopia, ma dei motori che portano a creare “altri luoghi” in cui vivere «la logica evangelica del dono, della fraternità, dell’accoglienza della diversità, dell’amore vicendevole». I nostri luoghi, gli spazi, le istituzioni devono tradursi in lievito di una società ispirata al vangelo, in città poste sul monte che proclamano la verità e il potere delle parole di Gesù. Se recuperiamo la nostra dimensione profetica sappiamo di “non dover avere paura”: «io sono con te per proteggerti» (Ger 1,8). La profezia ci rende innovatori. «L’innovazione è un processo attraverso il quale un sogno si traduce in realtà» (Ebraim Hemmatuia). La paura compromette l’innovazione, la profezia innovatrice. Non siamo – sia nella Chiesa, sia nella vita consacrata – molto propensi a parlare di “innovazione” o di “invenzione”. Ci sentiamo, piuttosto, depositari di una grande e ricca tradizione che celebriamo con assiduità e diligenza. A volte si sente dire: “lasciamo perdere le innovazioni!”, “si è sempre fatto così”. Ci dobbiamo chiedere se è la paura che impedisce tra noi l’innovazione: quando prolifera la paura, le nostre società cercano delle zone di sicurezza a costo di una supervigilanza esagerata. La Chiesa della paura – la vita consacrata della paura – non vuole correre rischi e, in definitiva, pensa più a salvare se stessa che non a salvare gli altri. Non le interessa l’innovazione, ma solo la tradizione. Ma “la paura è una cattiva consigliera”. Ha ragione la sapienza popolare, perché la paura ci de-vitalizza , ci impedisce di essere persone capaci di affrontare le tenebre, di vincere la nostra paura dell’oscurità , di affrontare i rischi, di cambiare. Sono molti coloro che seguono alla lettera i consigli della paura. E questa porta a una paralisi dell’attività creatrice, ad aggrapparsi a funi di sicurezza e cercare di salvarsi da un mondo che da ogni parte presenta minacce e pericoli. Scrive Luc Ferry che «se continuiamo ad ascoltare coloro che incutono paura nel corpo finiremo con l’ammalarci, con l’essere posti in un cassone di bambagia, avvolti in un gigantesco preservativo».
“Esperti di comunione”
Le esperienze che andiamo accumulando nelle nostre comunità, nelle relazioni vicendevoli, nel modo di affrontare i conflitti indicano che non è facile “essere esperti di comunione”. Abbiamo poca pazienza nei contrasti, nel dialogo con chi dissente. L’ira si impadronisce facilmente di noi e ci impedisce di continuare con pazienza. Nel contesto della missione della Chiesa vediamo che mai come oggi si è parlato dell’“ecclesiologia di comunione” e tuttavia constatiamo il deficit di dialogo che è esistito tra di noi. Come nella società, così anche noi giungiamo facilmente ai divorzi e agli aborti di progetti che non trovano un primo appoggio. Tuttavia, qui sta il sogno della lettera apostolica Novo Millennio ineunte di san Giovanni Paolo II: «fare della Chiesa la casa e la scuola di comunione».
Papa Francesco vuole che questo sogno diventi realtà – nel corso di quest’anno – nei nostri ordini e congregazioni, nelle nostre province, nelle nostre comunità:
«che l’ideale della fraternità, voluto dai nostri fondatori, cresca a tutti i livelli, come in circoli concentrici». E anche tra gli istituti, in rapporto alla Chiesa particolare e alla Chiesa mondiale.
Il cammino della carità: «Non mi stanco di ripetere che la critica, le chiacchiere, l’invidia, le gelosie, gli antagonismi sono atteggiamenti che non hanno diritto di vivere nelle nostre case. Il cammino della carità che si apre davanti a noi è quasi infinito: accettazione e attenzione reciproca, comunione di beni materiali e spirituali, correzione fraterna, rispetto dei più deboli, relazioni interculturali e accoglienza vicendevole... “La mistica di vivere uniti” fa della nostra vita “un santo pellegrinaggio”».
Comunione tra i membri di diversi istituti, cammino di speranza: «Uscire con maggior coraggio dai confini del proprio istituto per sviluppare insieme, sul piano locale e globale, progetti comuni di formazione, evangelizzazione e interventi sociali. Nessuno costruisce il futuro isolandosi, né solo con le proprie forze, ma riconoscendosi nella verità di una comunione che sempre si apre all’incontro, al dialogo, all’ascolto, all’aiuto vicendevole e ci preserva dalla malattia dell’autoreferenzialità».
È necessaria la sincera sinergia fra tutte le vocazioni: cominciando dai presbiteri e dai laici, così da «fomentare la spiritualità della comunione, anzitutto fra loro e inoltre nella stessa comunità ecclesiale e oltre i suoi confini».
Fino a tutto il mondo e alle sue periferie
La vita consacrata sta progettando – ora con maggiore serietà – la missione. La nostra congregazione l’ha programmata nel precedente capitolo generale quando si propose di «impostare la missione in chiave d’amore come missio Dei», “missio inter gentes” e “missione condivisa” Si sono tenuti diversi incontri che hanno approfondito il tema della missione. Il prossimo capitolo generale l’affronterà in maniera specifica. L’Evangelii gaudium ci ha esortato a intraprendere una seria “conversione pastorale e missionaria”.
Perciò, stiamo su questa linea!
Papa Francesco, nell’esortazione Evangelii gaudium, ci ha invitati
ad essere una Chiesa in uscita e ci ha indicato un luogo preferenziale: le periferie geografiche e culturali!
Ci chiede, inoltre, di lasciarci convertire dallo Spirito Santo per essere più pastorali e missionari in questa epoca, di integrarci nel grande movimento missionario, e che questa conversione rinnovi le nostre strutture, le istituzioni e le persone, e abbia effetti visibili nella nostra economia, nella gestione dei beni, nella vendita e destinazione degli immobili che ci vediamo obbligati ad abbandonare.
Ci ha chiesto di uscire dalle nostre zone di sicurezza e di comfort per annunciare il Vangelo ai poveri, a coloro che non appartengono alla nostra confessione cristiana o alla nostra religione, ma che sono figli e figlie di Dio e di seminare nelle culture la luce e il sale del Vangelo.
Se vogliamo essere una Chiesa più incarnata e messianica, più ospitale e accogliente, più aperta e dialogante, come rifiutare le invenzioni necessarie e l’innovazione che queste produrranno? Ci siamo domandati se nella nostra provincia, nella nostra comunità funziona la missione, vale a dire, se siamo «complici coraggiosi della missione dello Spirito Santo?».
Papa Francesco ci ricorda nella sua lettera che l’ultima parola di Gesù è stata “Andate in tutto il mondo” (II, 4) e anche di essere docili agli impulsi dello Spirito Santo per prendersi cura dei bisogni del mondo (II, 5). L’umanità intera ci attende. In questa umanità ci sono: persone senza speranza, famiglie in difficoltà, bambini abbandonati, giovani senza futuro, malati e anziani abbandonati, ricchi con il cuore vuoto, uomini e donne alla ricerca di significato, persone con la sete del divino (II, 4).
Tutti costoro ci attendono: per essi possiamo essere “Mebasser”, vale a dire profeti della gioia, evangelizzatori. Perciò ci vengono chiesti gesti concreti di accoglienza dei rifugiati, di sostegno ai cristiani perseguitati, di vicinanza ai poveri, la creatività nella catechesi e nell’annuncio del Vangelo, nell’iniziazione alla vita di preghiera, nell’accompagnamento di coloro che cercano una vita spirituale più intensa o hanno bisogno di un sostegno morale o materiale.
E si attende che si alleggeriscano le strutture, si riutilizzino le grandi case a favore di opere più conformi alle necessità attuali della evangelizzazione e della carità, si adeguino le opere ai nuovi bisogni.
Con risposte creative e innovatrici
Siamo invitati non solo ad un rinnovamento, ma ad un’autentica innovazione; questa rompe gli schemi, appiana le strade, offre nuove possibilità. Ci sono innovatori nel campo della medicina, dell’educazione, nella politica e nella società, nell’ingegneria, nei mezzi di comunicazione... Anche nell’ambito religioso, specialmente là dove viene permesso di sperimentare, di aprire nuove strade e cercare nuovi orizzonti. Gli innovatori corrono, mentre la maggioranza si accontenta solo di passeggiare. Gli innovatori ci introducono nell’ambito dello sconosciuto; per questo hanno cambiato il nostro modo di vedere, di sentire, di vivere. Pensiamo solo a Johannes Guttenberg, l’inventore della stampa. La sua innovazione portò i libri alle masse, rese possibile la riforma nel campo della religione, della politica e della società.
Dalla capacità di innovazione – noi crediamo che in collaborazione con lo Spirito creatore e pieno di fantasia – dipende il nostro futuro e quello delle prossime generazioni. Ci troviamo nella “società dell’innovazione”. Siamo in una società in cui “se non innovi, muori”.
Innovare non consiste nel far crescere ciò che già esiste e nel ripeterlo nella società. Non si innova per il semplice fatto di produrre di più e di favorire un maggior consumo. L’innovazione è l’invenzione del nuovo. Oggi, una nuova idea, un nuovo servizio, un nuovo prodotto possono provocare una cascata impressionante di cambiamenti collaterali che mobilitano la società come uno tsunami.
Clayton Christensen (1997) chiamò questo fenomeno: “distruptive innovation” (innovazione dirompente). Luc Ferry lo chiama “innovation destructiva” (“innovazione distruttrice”). Perché dirompente o distruttiva? Perché ci sono idee e prodotti che introducono una tale novità, da rendere obsolete e inutili le idee e i prodotti precedenti. Ciò che innova ha come effetto collaterale la distruzione progressiva di ciò che viene superato. L’innovazione mette fuori gioco chi la rifiuta.
L’innovazione riguarda non solo il settore tecnologico, ma anche quello etico e religioso. Si sono aperti nuovi dibattiti pubblici in cui dobbiamo intervenire come evangelizzatori. Vediamo che il sistema tradizionale di valori si è disgregato. Sono scomparsi progressivamente tutti i fondamenti della cultura “classica”.
Sono state messe in questione la raffigurazione nella pittura, la tonalità nella musica, le regole tradizionali del romanzo, del teatro, della danza e del cinema.
Con la scoperta del DNA, il cambiamento avvenuto nella genetica è stato spettacolare.
La società ha riscoperto il valore della sessualità in base a parametri diversi da quelli tradizionali: da una parte, “tolleranza zero” di fronte alla pederastia, l’abuso sessuale, la violenza domestica, la tratta delle persone... e, dall’altra, una maggiore liberalità nel libero esercizio della sessualità.
I partiti politici sentono il bisogno di ri-fondarsi per guadagnare adepti e votanti e raggiungere una maggiore presenza sociale. A questo scopo si ricorre a mille stratagemmi. I più efficaci – sembra – sono quelli che meglio si sintonizzano con le “passioni della gente”: l’indignazione, l’ira, l’invidia, il sesso. Per questo non c’è scrupolo a gettare in pasto al pubblico le miserie degli altri. Lo scandalo vende. L’indignazione mobilita. L’invidia crea inimicizie. Il sesso abbaglia. Le istituzioni su cui si basava la società fino ad oggi cominciano a cambiare.
Non c’è innovazione senza invenzione. Si perde il tempo a sognare l’innovazione se non si apportano dati concreti di invenzione.
L’innovazione non è qualcosa che facciamo, ma qualcosa che già stiamo facendo.
L’innovazione non sorge all’improvviso; è un traguardo a cui si giunge attraverso le invenzioni. Le invenzioni sono le componenti dell’innovazione. La storia dell’umanità ci sorprende di continuo con la comparsa di innovatori e di inventori. Grazie ad essi siamo progrediti. La rassegnazione, la pigrizia, la mancanza di creatività, l’abitudine ci porterebbero a vivere in maniera misera in un mondo pieno di risorse e possibilità.
Questa è la nostra ora, il nostro momento. Dobbiamo scendere in campo e giocare questa partita. Lo Spirito ci ha inseriti nella lista dei convocati e ci chiede di lasciare la panchina e di approfittare di questo gioco meraviglioso per vincerlo. Ma si attende che siamo “creativi” e non “fotocopie del passato”.
Il papa ci dice: «La fantasia dello Spirito ha creato forme di vita e opere tanto diverse che non possiamo facilmente catalogare o costringere entro schemi prefabbricati. Non mi è possibile, quindi, riferirmi a ciascuna delle forme carismatiche in particolare».
Forse non tutti abbiamo la capacità di innovazione, ma possiamo essere come Giovanni Battista: persone che appianano la strada o la preparano per la venuta del “novum”.
Il tema della Plenaria della CIVCSVA – che ebbe luogo dal 25 al 29 novembre 2014 – fu Vino nuovo in otri nuovi. In quell’occasione si constatò che il “vino nuovo” ci viene già dato; ma corriamo il pericolo o la tentazione di versarlo in “otri vecchi” e, pertanto, di adulterarlo. In un contesto del genere, il card. Kasper ebbe a dire nei riguardi della nuova evangelizzazione «ci chiedono pane e noi diamo loro pietre».
Papa Francesco ci incoraggia ad uscire verso questi nuovi scenari della missione, anche come terapia per noi stessi. «Non ripiegatevi su voi stessi, non lasciate che i piccoli litigi di casa vi asfissino, non rimanete prigionieri dei vostri problemi. Questi si risolveranno se andate fuori ad aiutare gli altri a risolvere i loro e ad annunciare la Buona Novella. Troverete la vita dando la vita, la speranza offrendo speranza, l’amore amando».
Il magistero attuale della Chiesa (in particolare di Benedetto XV e Francesco) ci invita a «rinnovare la comprensione e l’esercizio della nostra carità, così centrale nella definizione del missionario: un uomo acceso di carità» (Deus caritas est – 2005, Sacramentum caritatis, – 2007, Caritas in veritate – 2009; Evangelii gaudium cap. IV: Dimensione sociale dell’evangelizzazione).
La carità missionaria ci spinge all’innovazione attraverso le nuove tecnologie, terre inesplorate per narrare il Vangelo e a piantare tende leggere negli incroci dei sentieri inesplorati. La vita consacrata sarà capace di essere interlocutrice della ricerca di Dio che aleggia nel cuore umano?
Questi sono gli auguri non utopistici per l’Anno della vita consacrata. Sono un appello alla coscienza di quanti partecipano a questa forma di vita perché diventi realtà in noi l’espressione “anno nuovo – vita nuova”. Bisogna recuperare il coraggio e l’entusiasmo. Dobbiamo ripeterci molte volte: lo possiamo! Ma con la magica convinzione che «tutto possiamo in colui che ci dà la forza (Gesù)» (Fil 4,13) e nello Spirito che disegna il nostro futuro.
José Cristo Rey García Paredes(da Vida religiosa – marzo 2015)