Incontrare Dio nel cuore della città
2015/5, p. 34
La gestione delle aree urbane è diventata una delle più importanti sfide dello sviluppo del 21° secolo. È anche uno dei grandi “segni dei tempi” che la Chiesa deve saper leggere correttamente. Papa Francesco indica proprio nella pastorale urbana la sfida cruciale per la nuova evangelizzazione della Chiesa.
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27ª Plenaria del Pontificio Consiglio per i Laici
INCONTRARE DIO
NEL CUORE DELLA CITTÀ
La gestione delle aree urbane è diventata una delle più importanti sfide dello sviluppo del 21° secolo. Papa Francesco indica proprio nella pastorale urbana la sfida cruciale per la nuova evangelizzazione della Chiesa.
Un recente Rapporto Onu mostra che il 54% della popolazione mondiale vive oggi in aree urbane, una percentuale che arriverà al 66% entro il 2050. La popolazione urbana del mondo è cresciuta rapidamente da 746 milioni nel 1950 a 3,9 miliardi nel 2014. Il sorpasso degli abitanti di aree urbane rispetto a quelli di aree rurali è avvenuto nel 2007. L’Asia ospita il 53% della popolazione urbana mondiale, seguita dall’Europa con il 14% e dall’America Latina-Caraibi con il 13%. La popolazione urbana mondiale, supererà i sei miliardi entro il 2045. Nel 1990 vi erano già 10 mega-città (10mln di abitanti o più) in cui vivevano 153mln di persone (il 7% della popolazione urbana mondiale in quel momento). Nel 2014 ci sono 28 megalopoli, che ospitano 453mln di persone (il 12% degli abitanti delle città del pianeta): sedici sono in Asia, quattro in America Latina, tre in Africa e in Europa, e due in Nord America. Nel 2030 si prevedono 41 megalopoli. Nel contempo, la popolazione rurale globale, che oggi conta circa 3,4miliardi di persone, dovrebbe scendere a 3,1mld entro il 2050 (il 90% si trova in Africa e Asia).
Lo sguardo di Dio
sulle culture urbane
La gestione delle aree urbane è dunque diventata una delle più importanti sfide dello sviluppo del 21° secolo. Papa Francesco, proveniente da una Buenos Aires che conta circa 14mln di abitanti, indica proprio nella pastorale urbana la sfida cruciale anche per la nuova evangelizzazione della Chiesa. Nell’agosto del 2011, nel primo Congresso di pastorale urbana (tema: “Dio vive nella città”) – rivolto agli operatori pastorali che prestano il loro servizio nelle 11 diocesi che formano la regione pastorale di cui fa parte la capitale argentina – l’allora arcivescovo Bergoglio esortava a non avere timore di “uscire fuori” a evangelizzare la città, proponendo una pastorale basata sull’incontro, sull’accompagnamento e sulla partecipazione, in un’epoca caratterizzata dalla mancanza di attenzione verso chi è in difficoltà, verso chi non è visto più come una persona, ma come «parte della sporcizia e dell’abbandono del paesaggio urbano, della cultura dello scarto». Per il futuro pontefice avere uno sguardo di fede sulla città significa includere senza relativizzare. La fede, infatti, migliora la città «nel senso che solo essa ci libera dalle generalizzazioni e dalle astrazioni» e «la vicinanza, il coinvolgimento, il sentire come il fenomeno faccia lievitare la massa, portano la fede a desiderare di migliorare se stessa, lo specifico cristiano». Per poter vedere l’altro, il prossimo, senza dividere, e senza escludere, la fede ha bisogno di “vedere Gesù”. La città attuale, diceva Bergoglio, è relativista: «Tutto è permesso, e si può cadere nella tentazione che, per non discriminare, per includere tutti si senta a volte la necessità di “relativizzare” la verità». Invece, il Dio nostro che vive nella città e partecipa alla sua vita quotidiana non discrimina né relativizza, perchè è misericordioso. Dio vive nella città, ma anche la Chiesa vive nella città, e la missione evangelizzatrice non contrasta con il fatto di poter imparare dalla città, dalla sua cultura, dai suoi cambiamenti.
Con questo spirito, che ha spinto papa Francesco a inserire le sfide delle culture urbane nella sua esortazione Evangelii gaudium (nn.71-75), il Pontificio Consiglio per i Laici ha dedicato la sua 27ª Plenaria al tema “Incontrare Dio nel cuore della città: scenari dell’evangelizzazione per il terzo millennio” (5-7 febbraio 2015). Il presidente, card. S. Rylko, ha ricordato, come già con l’Octogesima adveniens, Paolo VI affermava: «L’urbanesimo sconvolge i modi di vita e le strutture abituali dell’esistenza: la famiglia, il vicinato, i quadri stessi della comunità cristiana. L’uomo sperimenta una nuova solitudine, non di fronte ad una natura ostile, per dominare la quale ci sono voluti dei secoli, ma nella folla anonima che lo circonda e in mezzo alla quale egli si sente come straniero». L’urbanesimo, tappa irreversibile nello sviluppo delle società umane, pone difficili problemi: «come dominarne la crescita, regolarne l’organizzazione, ottenerne l’animazione per il bene di tutti? In questa crescita disordinata nascono, infatti, nuovi proletariati. Essi si installano nel cuore della città, talora abbandonato dai ricchi; si accampano nelle periferie, cintura di miseria che già assedia in una protesta ancora silenziosa il lusso troppo sfacciato delle città consumistiche e sovente scialacquatrici. Invece di favorire l’incontro fraterno e l’aiuto vicendevole, la città sviluppa le discriminazioni e anche l’indifferenza; fomenta nuove forme di sfruttamento e di dominio [...] Dietro le facciate si celano molte miserie, ignote anche ai più vicini; altre si ostentano dove intristisce la dignità dell’uomo: delinquenza, criminalità, droga, erotismo».
Su questa scia si è messa anche la Redemptoris missio di Giovanni Paolo II: «Le terre di missione ad gentes – ha affermato il card. Rylko – sono a portata di mano per ciascuno di noi e sono proprio le nostre città con le loro periferie. Pensiamo, ad esempio, alle popolose città europee, sempre più multiculturali e multi-religiose a causa del crescente fenomeno migratorio, con le periferie che vivono sempre più nel degrado e nell’abbandono; le città in cui i cristiani diventano sempre più “invisibili”, un’esigua e irrilevante minoranza; le città in cui spesso i segni della fede cristiana, in nome di una tolleranza “politicamente corretta”, vengono eliminati dagli ambienti pubblici per non urtare la sensibilità dei non credenti o dei credenti in maniera diversa, negando così il concetto stesso di tolleranza (“tolleranza negativa” di cui ha parlato tanto Benedetto XVI); le città in cui la pastorale della Chiesa presenta segni di stanchezza, di scoraggiamento e di rassegnazione di fronte alle gravi sfide della cultura urbana fortemente secolarizzata e secolarizzante; le città nelle quali la rete parrocchiale e la struttura stessa della parrocchia tradizionale risultano sempre meno adatte ai nuovi bisogni della popolazione urbana».
Orizzonti della nuova
pastorale urbana
Per papa Bergoglio, la crescita vertiginosa delle città è uno dei grandi “segni dei tempi” che la Chiesa deve saper leggere correttamente: «Le letture ideologiche o parziali non servono, alimentano solamente l’illusione e la disillusione. Leggere la realtà, ma anche vivere questa realtà, senza paure, senza fughe e senza catastrofismi. Ogni crisi, anche quella attuale, è un passaggio, un travaglio di un parto che comporta fatica, difficoltà, sofferenza, ma che porta in sé l’orizzonte della vita, di un rinnovamento, porta la forza della speranza. E questa non è una crisi di “cambio”: è una crisi di “cambio di epoca”». (Discorso al mondo della cultura, Cagliari 2013). Perciò è necessario che cambi il nostro atteggiamento pastorale di base, perché «una cultura inedita palpita e si progetta nella città» (EG 73). Portando la sua personale testimonianza di pastore della complessa megalopoli di Buenos Aires, la tredicesima del mondo, ai partecipanti al Congresso internazionale della pastorale delle grandi città (Barcellona, 24-26 novembre 2014), il pontefice ha indicato proprio nel cambiamento di mentalità pastorale il primo di quattro orizzonti che sfidano la Chiesa nelle città. «Nella città abbiamo bisogno di altre “mappe”, altri paradigmi, che ci aiutino a riposizionare i nostri pensieri e i nostri atteggiamenti. Non possiamo rimanere disorientati, perché tale sconcerto ci porta a sbagliare strada, anzitutto noi stessi, ma poi confonde il popolo di Dio e quelli che cercano con cuore sincero la vita, la verità e il senso. Veniamo da una pratica pastorale secolare, in cui la Chiesa era l’unico referente della cultura. È vero, è la nostra eredità. Come autentica maestra, essa ha sentito la responsabilità di delineare e di imporre, non solo le forme culturali, ma anche i valori, e più profondamente di tracciare l’immaginario personale e collettivo, vale a dire le storie, i cardini a cui le persone si appoggiano per trovare i significati ultimi e le risposte alle loro domande vitali. Ma non siamo più in quell’epoca. È passata. Non siamo nella cristianità, non più. Oggi non siamo più gli unici che producono cultura, né i primi, né i più ascoltati. Abbiamo pertanto bisogno di un cambiamento di mentalità pastorale, ma non di una “pastorale relativista”, che, per voler esser presente nella “cucina culturale”, perde l’orizzonte evangelico, lasciando l’uomo affidato a se stesso ed emancipato dalla mano di Dio... Occorre avere il coraggio di fare una pastorale evangelizzatrice audace e senza timori, perché l’uomo, la donna, le famiglie e i vari gruppi che abitano la città aspettano da noi, e ne hanno bisogno per la loro vita, la buona notizia che è Gesù e il suo vangelo. Tante volte sento dire che si prova vergogna ad esporsi. Dobbiamo lavorare per non avere vergogna o ritrosia nell’annunciare Gesù Cristo; cercare il come».
Il secondo orizzonte, secondo papa Francesco, è quello del dialogo con la multiculturalità: «Abbiamo bisogno di un atteggiamento contemplativo, che senza rifiutare l’apporto delle diverse scienze per conoscere il fenomeno urbano cerca di scoprire il fondamento delle culture, che nel loro nucleo più profondo sono sempre aperte e assetate di Dio. Ci aiuterà molto conoscere gli immaginari e le città invisibili, cioè i gruppi o i territori umani che si identificano nei loro simboli, linguaggi, riti e forme per raccontare la vita».
Il terzo aspetto è la religiosità del popolo: Dio abita nella città e bisogna andare a cercarlo: «... dobbiamo scoprire, nella religiosità dei nostri popoli, l’autentico substrato religioso, che in molti casi è cristiano e cattolico. Non in tutti: ci sono religiosità non cristiane. Ma occorre andare lì, al nucleo. Non possiamo misconoscere né disprezzare tale esperienza di Dio che, pur essendo a volte dispersa o mescolata, chiede di essere scoperta e non costruita.Non possiamo misconoscere né disprezzare tale esperienza di Dio che, pur essendo a volte dispersa o mescolata, chiede di essere scoperta e non costruita. Lì ci sono i semina Verbi seminati dallo Spirito del Signore. Non è bene fare valutazioni affrettate e generiche del tipo: “Questa è solo un’espressione di religiosità naturale”. No, questo non si può dire! Da lì possiamo cominciare il dialogo evangelizzatore, come fece Gesù con la Samaritana e sicuramente con molti altri al di là della Galilea. E per il dialogo evangelizzatore è necessaria la coscienza della propria identità cristiana e anche l’empatia con l’altra persona». Proprio la Chiesa in America Latina, da alcuni decenni, si è resa conto della forza religiosa, seppur mescolata con elementi del pensiero magico e immanentista, che proviene dalle maggioranze povere e che rappresenta un potenziale enorme per l’evangelizzazione delle aree urbane.
Il quarto e ultimo orizzonte riguarda i poveri urbani, che nell’EG sono chiamati anche “non cittadini”, “cittadini a metà” o “avanzi urbani”. «La città, insieme con la molteplicità di offerte preziose per la vita, ha un risvolto che non si può nascondere e che in molte città è sempre più evidente: i poveri, gli esclusi, gli scartati. Oggi possiamo parlare di scartati. La Chiesa non può ignorare il loro grido, né entrare nel gioco dei sistemi ingiusti, meschini e interessati che cercano di renderli invisibili. Tanti poveri, vittime di antiche e nuove povertà.... Povertà che emarginano e scartano persone, figli di Dio. Nella città, il futuro dei poveri è più povertà. Andare lì!».
Lo stile
per animare la città
Dietro questa visione della città si intravede la teologia del popolo e la “mistica popolare” di Bergoglio. Il suo progetto per la città è quello di trasformare l’insieme dei cittadini in un popolo, e ciò non ha niente a che fare con il populismo. «In ogni nazione gli abitanti sviluppano la dimensione sociale della loro vita configurandosi come cittadini responsabili in seno a un popolo, non come massa trascinata dalle forze dominanti […] Ma diventare un popolo è qualcosa di più, e richiede un costante processo nel quale ogni nuova generazione si vede coinvolta. È un lavoro lento e arduo che esige di volersi integrare e di imparare a farlo fino a sviluppare una cultura dell’incontro in una pluriforme armonia» (EG 220). Gli abitanti delle megalopoli possono sembrare una massa amorfa, ma sono in realtà un soggetto collettivo in grado di generare processi storici propri.
Questo sguardo pieno di speranza sulla realtà urbana dei nostri tempi alimenta uno stile di presenza, ricco di contenuti, atteggiamenti e gesti. Papa Francesco avanza due proposte concrete: “uscire e facilitare” l’incontro con il Signore e divenire una “Chiesa samaritana. Esserci”. «Uscire per incontrare Dio che abita nella città e nei poveri. Uscire per incontrarsi, per ascoltare, per benedire, per camminare con la gente. E facilitare l’incontro con il Signore. Rendere accessibile il sacramento del battesimo. Chiese aperte. Segreterie con orari per le persone che lavorano. Catechesi adatte nei contenuti e negli orari della città. Ci riesce più facile far crescere la fede che aiutarla a nascere... ci occorre imparare a risvegliare nei nostri interlocutori la curiosità e l’interesse per Gesù Cristo. Questa curiosità ha un santo patrono: è Zaccheo. Chiediamo a lui che ci aiuti a risvegliarla. E poi invitare ad aderire a lui e a seguirlo. Dobbiamo imparare a suscitare la fede». Tutto ciò è possibile se diamo testimonianza di una Chiesa che evangelizza per attrazione. «Attraverso la testimonianza, la Chiesa semina il granello di senape, ma lo fa nel cuore stesso delle culture che si stanno generando nelle città. La testimonianza concreta di misericordia e tenerezza che cerca di essere presente nelle periferie esistenziali e povere, agisce direttamente sugli immaginari sociali, generando orientamento e senso per la vita della città. Così come cristiani contribuiamo a costruire una città nella giustizia, nella solidarietà e nella pace. Con la pastorale sociale, con la Caritas, con diverse organizzazioni, come sempre ha fatto la Chiesa nel corso dei secoli, possiamo farci carico dei più poveri con azioni significative, azioni che rendano presente il regno di Dio, manifestandolo e dilatandolo. Anche imparando a lavorare insieme a quanti già stanno facendo cose molto efficaci in favore dei più poveri». Si costruisce in questo modo lo spazio propizio della “pastorale ecumenica caritativa” e si rilancia il protagonismo dei laici perché ciò che ci imprigiona, «che non fa spalancare le porte, è la malattia del clericalismo».
Mario Chiaro