Basso Aldo
Rinuncia e fatica di crescere
2015/5, p. 30
In un’epoca che tende a ridurre ovunque la fatica e ritiene che ogni cosa si può fare senza fatica, noi inganneremmo le persone in formazione se dessimo loro a credere che diventare uomini sia in definitiva facile e che basti seguire la natura.

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Interrogativi in campo educativo
RINUNCIA
E FATICA DI CRESCERE
In un’epoca che tende a ridurre ovunque la fatica e ritiene che ogni cosa si può fare senza fatica, noi inganneremmo le persone in formazione se dessimo loro a credere che diventare uomini sia in definitiva facile e che basti seguire la natura.
In un tempo come il nostro – spesso descritto come un tempo segnato dall’edonismo, dal culto di sé, dal desiderio del “tutto e subito e senza sforzo”, dal bisogno assoluto dell’autorealizzazione – non è fuori luogo che si richiami una verità molto antica e sempre attuale e che può essere descritta pressappoco così: la crescita e la maturazione come persone richiedono sempre la disponibilità e la capacità della rinuncia. Si tratta di un atteggiamento che può prendere nomi vari, a seconda delle diverse prospettive: mortificazione, frustrazione, sacrificio, ascesi, combattimento spirituale, penitenza, lotta.
Perché sono importanti questi atteggiamenti? A quali condizioni aiutano a crescere? Quando possono sfociare nella patologia? Nella breve riflessione che segue cerco di rispondere a questi interrogativi.
La persona
e i suoi bisogni
L’essere umano si presenta fin dall’inizio continuamente sollecitato dal bisogno, il quale con il trascorrere degli anni può assumere un’infinità di manifestazioni. L'esperienza dei diversi bisogni varia da uomo a uomo, come anche nello stesso individuo con il trascorrere del tempo. Per tutti noi esiste un minimo fisso di bisogni; non esiste invece un massimo fisso per ogni singolo individuo. Diversamente dagli animali, nell’uomo possono sorgere e moltiplicarsi imprevedibili bisogni e interessi di cui alcuni sono legati alla sua natura, mentre altri sono sollecitati dai mezzi di propaganda, dalla moda, dall'invidia, oppure sono aberrazioni di bisogni autentici. Non è affatto facile distinguere tra bisogni autentici e bisogni superficiali e, fraintendendo il capriccio per un'aspirazione autentica, esiste il rischio concreto che diventiamo vittime di pericolose tensioni. «Oggi si è portati a considerare i bisogni come se fossero sacri, come se in essi vi fosse la quintessenza dell'eternità. I bisogni sono i nostri dèi e noi non ci risparmiamo per appagarli. La soppressione di un desiderio viene giudicata un sacrilegio da scontare inevitabilmente in forma di disordine mentale. Né ci limitiamo a venerare un bisogno solo: veneriamo un intero pantheon di bisogni, fino al punto di vedere nelle norme morali e spirituali null'altro che desideri individuali mascherati».
Il nostro modo di vivere non può dipendere esclusivamente dai nostri bisogni e non è possibile soddisfare tutti i nostri bisogni, anche perché questi possono spingerci in direzioni divergenti (vogliamo ad esempio accontentare la nostra gola, ma nello stesso tempo vogliamo anche “mantenere la linea”). «Determinati come sono da temperamento, inclinazione, provenienza culturale e ambiente di ogni individuo e gruppo, i bisogni sono i nostri problemi, piuttosto che le nostre norme. Essi hanno bisogno di modelli, invece di esserne l'origine».
L’elogio
della fatica
In un’epoca che si impegna a ridurre ovunque la fatica e ricorre a mille stratagemmi e astuzie per convincerci che ogni cosa si può fare senza fatica, che ogni obiettivo è perseguibile in modo rapido, economico, gratificante, noi inganneremmo le persone in formazione se dessimo loro a credere che diventare uomini sia in definitiva facile e che basti seguire la natura. Parole come mortificazione, rinuncia, perseveranza, tenacia, forza di volontà dovrebbero essere inserite di nuovo nel lessico pedagogico: non è fuori luogo che, parlando di formazione – al matrimonio, come alla vita sacerdotale e religiosa – si faccia qualche volta l’elogio della fatica e del sacrificio. L’uomo si forma, infatti, attraverso la fatica della rinuncia e la disponibilità ad accettare l’esperienza della frustrazione. Ogni scelta comporta sempre una rinuncia e certe gioie possono essere assaporate solo accettando di pagare questo prezzo. Così è per la gioia di sperimentare che possediamo determinate abilità e che non siamo schiavi dei nostri impulsi; la gioia di sentire come nostra personale conquista il raggiungimento di una méta per noi importante; la gioia nel provare un senso di autoefficacia (cioè la convinzione che il “successo” dipende sostanzialmente dal nostro sforzo); la gioia di dare un senso alla nostra vita.
Naturalmente l’arte di colui che si assume il compito del formatore – come genitore, insegnante, educatore – lo guiderà a graduare le prove e a regolare gli sforzi, a rafforzare la sicurezza interiore e la stima di sé delle persone in formazione, ma rimane ferma la necessità di far comprendere che crescere in umanità e raggiungere obiettivi importanti nella propria vita è possibile solo accettando che diversi bisogni rimangano insoddisfatti e dando prova concreta che si è in grado di tollerare l’esperienza della frustrazione. Le vittorie ottenute nella fatica e con il minimo soccorso esterno saranno sentite come proprie e la persona, rassicurata interiormente, non avrà paura di sbagliare: la sosterranno il desiderio e il piacere di sentirsi realizzata, dando così significato alla propria vita.
Un formatore non può assumere la contentezza delle persone in formazione come criterio ultimo per il suo intervento educativo, poiché essa potrebbe derivare dal fatto che sono soddisfatti bisogni infantili o nevrotici (ad esempio: bisogno di dipendenza, di protezione). Al contrario, un formatore che abbia maturato in sé, per amore della verità e in vista della crescita autentica della persona, convinzioni profondamente radicate e sicure ha il dovere di manifestarle con franchezza. Tenendo insieme fermezza e comprensione, non si lascerà condizionare da eventuali resistenze dell’educando o da un vago senso di colpa per causargli sofferenza e fatica; nello stesso tempo, rimarrà comunque aperto anche alla possibilità che l’educando sviluppi proprie personali convinzioni e faccia scelte contrarie a quelle che gli vengono suggerite. Autorità dell’educatore e libertà dell’educando non potranno mai andare disgiunte.
Significato e valore
della frustrazione
Quanto richiamato finora non significa affatto far l’elogio della sofferenza o incoraggiare il masochismo o fare dell’agere contra (cioè andare costantemente contro le proprie inclinazioni) il criterio supremo del proprio agire; si tratta semplicemente invece di prendere atto delle leggi che regolano il processo di crescita. È opportuno a questo riguardo precisare il significato e il valore della frustrazione.
Si parla di frustrazione quando un bisogno non viene soddisfatto: come conseguenza, la persona avverte uno stato di disagio e tensione interna più o meno accentuati, a seconda di diverse variabili, come ad esempio il bisogno che non viene soddisfatto, la motivazione che la sostiene e la durata della frustrazione stessa.
Non sono le frustrazioni che rendono nevrotica una persona, ma la mancanza in esse di un significato (scopo) valido, chiaramente percepito e consapevolmente accettato dal soggetto: è questo il criterio in base al quale stabilire quali frustrazioni aiutano la persona a crescere e quali invece non sono accettabili sul piano educativo. Quando la rinuncia e la mortificazione sono scelte sotto la spinta di bisogni nevrotici – una spinta compulsiva a cercare la sofferenza (masochismo), un esagerato e incontrollabile senso di colpa, la diffidenza nei confronti del piacere – allora esse non sono più espressioni di un comportamento libero e non aiutano la crescita. In una visione corretta dell’ascesi, questa deve sempre nascere da una scelta libera e tendere a favorire la pienezza umana della persona.
Bisogni umani e scelta
di un piano di vita
Immaginare di poter soddisfare – per quanto è possibile! –- tutti i nostri bisogni può far pensare all’espressione di massima libertà, ma in realtà si tratta di un’illusione. La libertà, infatti, non consiste nel muoversi in qualsiasi direzione che ci appaia desiderabile e rispondente a ogni nostro desiderio, ma nella scoperta di valori che, realizzati e fatti propri, rispondono ai nostri bisogni più autentici e nell’impegnarci a perseguirli con tutte le nostre forze.
La maturità umana è strettamente legata alla possibilità di avere un piano di vita definito, che avviene attraverso decisioni fondamentali prese con chiarezza e vissute in modo coerente. Le decisioni fondamentali sono assunte sia in riferimento a settori o aspetti parziali sia, a livello più profondo, in riferimento all’insieme della nostra vita (ad esempio, la decisione di formare una famiglia o di scegliere la vita religiosa). Le decisioni fondamentali a cui perveniamo polarizzano a poco a poco tutto il comportamento della persona, contribuendo così a dare un significato e un senso alla sua vita. Esse comportano la soddisfazione ordinata delle proprie tendenze e dei bisogni collegati con il piano di vita scelto; nello stesso tempo richiedono la rinuncia cosciente alla soddisfazione di quei bisogni che non sono compatibili con esso.
Si vede, dunque, ancora una volta che la maturità umana presuppone la capacità di rinuncia anche a bisogni importanti, se si vuole dare senso alla propria vita e sentirsi realizzati. Se non si è capaci di rinuncia cosciente e libera, si va incontro a disagi e sofferenze anche profondi, che nascono da un senso di disintegrazione e confusione. È quanto può avvenire a coloro che hanno deciso di sposarsi o di abbracciare la vita consacrata senza una chiara rinuncia a soddisfare bisogni che sono incompatibili con il piano di vita scelto. È il caso, ad esempio, della persona sposata che non ha “lasciato” in modo consapevole la propria famiglia e mantiene legami di dipendenza di tipo infantile con le figure parentali, oppure della persona consacrata che più o meno consapevolmente ricerca delle soddisfazioni mascherate a bisogni ai quali avrebbe dovuto rinunciare perché la loro soddisfazione è incompatibile con il progetto di vita scelto (il bisogno di guidare in modo autonomo la propria vita, il bisogno di godere di relazioni affettive intime ed esclusive con un’altra persona, il bisogno di vivere la propria sessualità anche a livello genitale).
Diverse crisi di persone sposate o consacrate possono essere dovute a forme di immaturità che impediscono di pervenire a decisioni importanti e fondamentali, accettando consapevolmente e liberamente la rinuncia a bisogni incompatibili con il piano di vita scelto.
Lavorare
su di sé
Da quanto richiamato finora appare dunque che il progresso umano richiede la disponibilità e la capacità di “lavorare su di sé” con perseveranza, pazienza e fiducia. Così hanno sempre insegnato i maestri dello spirito. Valgano per tutti queste parole dall’Imitazione di Cristo: “Tanto progredirai, quanto ti sarai fatto violenza”; “Se non ti farai violenza, non vincerai il vizio”. Parole apparentemente piuttosto dure, ma a ben riflettere si deve concludere che in tutti i campi del vivere si richiede vigilanza, capacità di sacrificio, capacità di vivere sotto la tensione, autodisciplina: nel campo della salute come nell’impegno per arrivare ad amare le persone in modo autentico, nel campo professionale come nel progresso spirituale, nel campo educativo come nel governo delle passioni e nel superamento dei vizi. Applicazioni concrete e quotidiane di questo principio generale possono essere: la vigilanza nella custodia dei sensi; la temperanza nella ricerca del piacere; la capacità di restare soli con se stessi; la capacità di sottrarsi a quanto è chiassoso e invadente nella nostra vita; l’uso intelligente del tempo; la ricerca di ciò che è essenziale nella vita; la vigilanza nel parlare; l’amore alla lettura; il sapersi difendere dall’”inquinamento spirituale”; la lotta contro la “mondanità spirituale” (espressione chiave della riflessione e della predicazione di papa Francesco).
S. Agostino, che conosceva bene l’animo umano, ha richiamato nelle sue Confessioni una considerazione molto pertinente al tema che stiamo considerando e che sarà opportuno tenere sempre presente se vogliamo crescere in umanità: “Dalla volontà perversa si genera la passione, e l’ubbidienza alla passione genera l’abitudine, e l’acquiescenza all’abitudine genera la necessità”. Un esame sincero e onesto di quanto avviene nella vita di ciascuno di noi ci dice quanto ciò sia vero e quindi quanto sia importante la costante capacità di rinuncia e di mortificazione. Ciò non significa voler intristire la vita; anzi, il criterio per stabilire che il lavorare su di sé con una costante autodisciplina è realmente fattore di crescita consiste nel fatto che tale impegno è accompagnato da una sensazione di progressiva libertà, dalla serenità e dalla gioia interiore, dalla pace dell’anima. Siamo ben lontani quindi dall’impulso masochistico e dalla diffidenza verso il piacere o dall’incapacità di sperimentare gioie autentiche.
In definitiva, tutti siamo chiamati ad imparare un’arte che sarà una risorsa fondamentale per tutta la vita, sia che siamo persone consacrate o persone sposate: come afferma Dietrich Bonhoeffer, si tratta dell’arte di vivere da persone soddisfatte nonostante molti desideri insoddisfatti.
Aldo Basso