Cencini Amedeo
Ciotole di terracotta
2015/5, p. 27
Vi sarà futuro per la VC non se avremo comunque vocazioni, ma solo se sapremo curare la reale crescita umana e spirituale di quei tanti o pochi che avremo, se faremo bene, con rigore di verità, il discernimento in ogni fase del cammino, se sapremo riconoscere e orientare diversamente i giovani d’oggi.

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Congresso mondiale sulla formazione alla VC
CIOTOLE
DI TERRACOTTA
Vi sarà futuro per la VC non se avremo comunque vocazioni, ma solo se sapremo curare la reale crescita umana e spirituale di quei tanti o pochi che avremo, se faremo bene, con rigore di verità, il discernimento in ogni fase del cammino, se sapremo riconoscere e orientare diversamente i giovani d’oggi.
È stata la prima volta. Strano, a ben pensarci, ma mai prima d’ora s’era organizzato nella Chiesa un Congresso mondiale sulla formazione alla vita consacrata (VC). Davvero, senza enfasi, un evento storico quel che s’è celebrato all’Ergife di Roma dall’8 all’11 aprile scorso. E che si sia trattato di qualcosa di straordinario è detto anche dai numeri: 1389 partecipanti (ma avrebbero potuto esser molti di più), in rappresentanza di 416 istituti di diritto pontificio, provenienti da 106 paesi (30 africani, 25 dall’America, 23 asiatici, 24 europei, 4 dall’Oceania).
Imponente e subito simbolica la prima istantanea del Congresso il mattino dell’8, con la massa di persone, consacrate e consacrati (finalmente un convegno ecclesiale con buona presenza maschile!), strette e pigiate nell’unica via di accesso al grande salone sotterraneo per l’inizio dei lavori: inevitabile pensare al cammino faticoso della VC, come Israele nel deserto, alla ricerca della strada buona, quella che conduce alla Terra promessa, ma passando per la terra nascosta del proprio cuore, come tappa obbligata.
Nel tempo
di papa Francesco
Al di là dell’udienza in San Pietro si è molto sentita al Congresso la presenza di papa Francesco, il suo invito a esser veri e autentici, e dunque anche coraggiosi e creativi, ad andare alla sostanza delle cose.
Cos’ha detto, infatti, il Congresso alla VC? In tempi in cui abbondano le analisi e troppi punti di domanda, persino circa il domani della VC (se ci sarà e come sarà), restano senza risposta, questo simposio ha detto qualcosa di molto chiaro e su cui immediato è stato l’accordo. Avremo futuro anzitutto se la pianteremo una buona volta con l’angoscia vocazionale, che produce solo angoscia e non vocazioni. E vi sarà futuro per noi non se avremo comunque vocazioni, ma solo se sapremo curare la reale crescita umana e spirituale di quei tanti o pochi che avremo, ovvero se faremo bene, con rigore di verità, il discernimento in ogni fase del cammino, senza sconti e compromessi; se sapremo riconoscere e orientare diversamente quei giovani d’oggi problematici “che inconsciamente cercano strutture forti che li proteggano, per proteggersi”. E ancora niente futuro se daremo attenzione solo al versante esteriore del soggetto, ma solo se cercheremo di formare il cuore, la sensibilità profonda. E nemmeno se daremo appena una buona formazione iniziale, ma se creeremo le condizioni per una formazione che duri tutta la vita e che sappia valorizzare la cultura del singolo. Vi sarà un domani per noi non se renderemo facile il cammino formativo, ma solo se avremo il coraggio di accompagnare i nostri giovani lungo la via che porta a Gerusalemme.
Basta, allora, con le solite lagne per i soliti motivi (le poche vocazioni, la poca generosità dei giovani, il contesto culturale contrario…). Se i giovani in formazione sono pochi, questo è motivo in più semmai perché sia una formazione personalizzata, dando tempo e risorse per il lavoro sulla persona singola; e quanto ai giovani mediocri – ci ha ricordato il Papa – “non è vero che i giovani di oggi siano mediocri e non generosi; semmai hanno bisogno di sperimentare che «si è più beati nel dare che nel ricevere!» (At 20,35), che c’è grande libertà in una vita obbediente, grande fecondità in un cuore vergine, grande ricchezza nel non possedere nulla”. Circa la cultura odierna e le sue provocazioni, infine, essa in ogni caso rappresenta il luogo ove il giovane, “cittadino del mondo”, deve imparare a dare la propria testimonianza, amando le persone e cercando di entrare nel loro mondo con la luce dell’evangelo, senza atteggiamenti difensivi o, al contrario, ostili, ma con l’intelligenza del cuore.
Basta, allora, anche con quei progetti formativi che chiudono il soggetto entro disegni di perfezione soggettiva, di attenzione autoreferenziale a se stessi o alla propria realtà di appartenenza, disegni che tanto male han fatto alla VC del passato, per educare invece il giovane consacrato al vero senso missionario ed ecclesiale. Se la VC è nata nelle periferie essa solo lì ritrova la sua vita e criterio e slancio formativi.
Formazione
dei formatori
I formatori rappresentano una categoria di persone che, in genere, constatano ogni giorno la propria povertà, a volte persino l’impotenza, e sono spesso esposti a delusioni dolorose, quando non addirittura a giudizi sommari da parte di chi li vorrebbe responsabili ultimi di tutte le crisi e problemi (scandali sessuali compresi).
Per questo è emerso con insistenza, non solo nelle relazioni ufficiali, il tema della formazione dei formatori stessi. Non è più una novità oggi (anche se non ovunque è ben attuata), ma è stato significativo sentirlo ripetere in continuazione: se un tempo fare il formatore era un compito come gli altri, anche se poi il formatore era scelto tra i buoni e obbedienti, pii e casti, oggi nessun superiore dovrebbe poter dare questo incarico se non provvede prima alla formazione specifica della persona incaricata. E possibilmente senza darle altri 10 incarichi.
Contenuti
del Congresso
Il Congresso ha seguito un nesso logico, già evidente nel suo titolo: “Vivere in Cristo secondo la forma di vita del Vangelo”, che le sei relazioni hanno cercato di declinare sul piano formativo nei tre giorni. Il primo con la relazione teologica di M.Tenace, che ha riproposto il concetto di formazione indicato da Vita consecrata (65 ss.), come azione del Padre che plasma in noi il cuore del Figlio per la potenza dello Spirito Santo. La formazione, dunque, come azione teologico-trinitaria, non come semplice processo psicopedagogico. E allora, proprio perché azione del Padre, la formazione è destinata ad abbracciare tutta la persona e dunque anche tutta la vita. È la vita, infatti, che forma, non il noviziato, il quale – semmai – dovrà formare la persona a lasciarsi formare dalla vita per tutta la vita (la docibilitas), come ha sottolineato la relazione di A.Cencini.
Il secondo giorno è stato dedicato alla pedagogia della formazione: i formatori hanno bisogno, giustamente, di sapere il come, di avere un metodo. La relazione di R.Volo ha presentato il metodo adottato da Gesù coi suoi discepoli, sottolineando che anche in quel gruppo non tutto è andato bene. Mentre C. Pena y Lillo ha offerto un’analisi di alcuni modelli formativi adottati negli ultimi decenni, indicando nel modello della integrazione quello più adeguato oggi per favorire in ogni chiamato l’azione del Padre, il vero e unico Padre Maestro.
Infine, il terzo giorno è stato dedicato alla riflessione su alcune urgenze della formazione. Ne sono state scelte due: la formazione alla maturità affettivo-sessuale nel tempo degli scandali (L. Arrieta), e la formazione dei formatori (M. McGuire).
Ad arricchire ulteriormente la proposta di contenuti vi sono pure stati un Forum sul tema della formazione vista nell’ottica di tre Dicasteri vaticani: la Congregazione per il Clero (card. Stella), quella per l’Educazione Cattolica (mons. Zani), e la CIVCSVA (mons. Carballo). Oltre al Forum un pomeriggio è stato dedicato a una Tavola rotonda, con diverse esperienze specifiche a confronto, dall’interculturalità al rapporto con la secolarità nella formazione, dal cammino formativo nell’ambito ecumenico all’educazione alla dimensione contemplativa.
Dinamica
dei lavori
Come spesso succede in questo tipo di incontri non sono solo le relazioni ufficiali a offrire stimoli e luci nuove, ma anche - e forse soprattutto- gli scambi informali, le comunicazioni di esperienze tra persone che prima non si conoscevano e che scoprono di avere molto in comune e da condividere. È quello che è avvenuto anche al nostro Congresso, specie con la dinamica delle cosiddette comunità dei tavoli. La disposizione circolare dei partecipanti attorno a dei tavoli ha favorito infatti proprio questo tipo di scambi, che ha costituito come il filo rosso, sul piano metodologico, di tutto il convegno. Ogni relazione era regolarmente seguita, dopo una decina di minuti di assoluto silenzio, dalla condivisione attorno al tavolo. Che normalmente andava oltre il tempo stabilito. Sempre da questa condivisione sono venute poi le domande poste ai singoli relatori. Siamo sicuri che sono nate diverse amicizie grazie a questa condivisione, come sempre accade quando si condivide la fede e ciò che è essenziale nella vita.
Altra dinamica sperimentata sono stati i laboratori, una ventina circa, in cui sono state affrontate tematiche specifiche significative e oggi particolarmente importanti (dall’omosessualità alla crisi dei formatori, dai poveri quali agenti della formazione al ruolo formativo della comunità), temi che avrebbero rischiato di restare fuori della discussione congressuale. Tali laboratori hanno occupato un pomeriggio intero del Congresso, dando un po’ a tutti la possibilità d’intervenire personalmente nella discussione.
Verso
il futuro
Dicevamo prima della domanda inquietante sul futuro della VC. Papa Francesco quando ci ha visti così tanti nell’aula Paolo VI ha commentato: «Al vedervi così numerosi non si direbbe che ci sia crisi vocazionale!... Ma sono anche convinto che non c’è crisi vocazionale là dove ci sono consacrati capaci di trasmettere, con la propria testimonianza, la bellezza della consacrazione».
E allora, invece di farci domande che ci deprimono su qualcosa che non possiamo prevedere, pensiamo a costruire il futuro più vicino a noi, per esempio raccogliendo la provocazione che viene da questo incontro mondiale a organizzare incontri simili a livello continentale e d’istituto, per applicare a ogni contesto locale quanto emerso nel Congresso e continuare a condividere davvero la bellezza di questo ministero. Quella dell’acculturazione dei carismi è questione che resta centrale e ancora irrisolta per il futuro della VC.
Le beatitudini
del formatore
Il Congresso ha voluto inviare a formatori e formatrici un messaggio conclusivo intitolato proprio così: «Le beatitudini del formatore. Per rileggere e declinare le otto beatitudini del vangelo di Matteo nella vita del formatore, chiamato a esser povero di spirito, misericordioso, costruttore di pace….» Ne riportiamo una, quella sui miti:
“Beati voi, se sapete attendere con pazienza i tempi di maturazione del buon seme gettato con costanza e fiducia, senza imporre nulla con la forza o l’astuzia, senza pretendere di esser voi a gestire il raccolto.
Beati i formatori-seminatori, che continuano a seminare in ogni caso, in ogni momento, in ogni cuore, ben sapendo che il seme ha una sua forza ed efficacia. Beati voi se agite senza mai fare alcuna violenza, sottile e nascosta, nemmeno per ottenere il bene, perché Dio vi darà la terra promessa dei cuori.
Beati i formatori che con la loro mitezza ricordano a chi è in formazione che l’unica cosa davvero necessaria è farsi come ciotole di terracotta, in cui altri possano bere a piccoli sorsi il cielo”.
Mi sembra che questa immagine finale, “ciotole di terracotta in cui altri possano bere a piccoli sorsi il cielo”, dica quel che il formatore è chiamato a essere, quel che ogni giovane in formazione deve imparare a essere, quel che la VC dev’essere per il mondo e la Chiesa.
Amedeo Cencini