Crea Giuseppe
Dove ci sono i religiosi c'è gioia
2015/5, p. 18
Gli uomini non cercano, nel loro agire, come prima cosa la felicità ma un motivo per essere felici. Per i religiosi/e il motivo della felicità è la fedeltà all’amore verso Dio che si traduce nel servizio ai fratelli. È in lui che essi riscoprono il vero benessere, perché la loro vocazione diventi gioia per gli altri.

Accedi alla tua area riservata per visualizzare i contenuti.

Questo contenuto è riservato agli abbonati a
Testimoni
.
Percorsi di felicità per l’anno della vita consacrata
“DOVE CI SONO I RELIGIOSI
C’È GIOIA”
Gli uomini cercano, nel loro agire, un motivo per essere felici. Per i religiosi/e il motivo della felicità è la fedeltà all’amore verso Dio che si traduce nel servizio ai fratelli. È in lui che essi riscoprono il vero benessere, perché la loro vocazione diventi gioia per gli altri.
Qualche tempo fa alcuni giovani belgi sono riusciti in una impresa tutta particolare: hanno intervistato papa Francesco e gli hanno posto una domanda sulla felicità: “Lei è felice? E perché?”. Sembrava una domanda fatta un po’ a bruciapelo, al punto che il papa in un primo momento è rimasto un po’ interdetto. Ma poi si è subito ripreso.
«Assolutamente, assolutamente, sono felice. E sono felice perché… non so perché… forse perché ho un lavoro, non sono un disoccupato, ho un lavoro, un lavoro da pastore! Sono felice perché ho trovato la mia strada nella vita e fare questa strada mi fa felice. Ed è anche una felicità tranquilla, perché a questa età non è la stessa felicità di un giovane, c’è una differenza. Una certa pace interiore, una pace grande, una felicità che viene anche con l’età. E anche con un cammino che ha avuto sempre problemi; anche adesso ci sono i problemi, ma questa felicità non va via con i problemi, no: vede i problemi, li soffre e poi va avanti; fa qualcosa per risolverli e va avanti».
La risposta del papa offre molti spunti di riflessione sul senso di una vita felice, ma non è facile realizzarla. La felicità sembra qualcosa a cui tutti aspirano ma che spesso è difficile trovare veramente. Per questo è importante riscoprirne il senso lungo il processo di crescita della persona, per viverla giorno dopo giorno nelle proprie scelte concrete.
Felicità come crescita
umano-spirituale
Per millenni l’umanità si è dedicata a garantirsi la sopravvivenza e a procurarsi nuove possibilità di vita. La felicità consisteva nell’avere un rifugio, qualcosa da mangiare e qualcuno da amare e dal quale essere amati. Oppure in altri casi, quando anche questo non si poteva avere, si pensava alle promesse di una felicità futura.
Oggigiorno questo modo di intendere una vita felice sembra essere archiviato. La felicità è uno degli ingredienti fondamentali dell’esistenza. Ma cosa la caratterizza dal punto di vista psicologico?
Già Freud aveva parlato di felicità intesa come lotta contro il male e il dolore. Secondo il padre della psicoanalisi ciò che le persone cercano come scopo della loro vita è di realizzare qualcosa che li soddisfi. «Essi tendono alla felicità, vogliono diventare e rimanere felici. Questo desiderio ha due facce, una metà positiva e una metà negativa: mira da un lato all’assenza del dolore e del dispiacere, dall’altro all’accoglimento di sentimenti intensi di piacere».
Con una prospettiva totalmente diversa Frankl afferma che l’uomo non ricerca nel suo agire la felicità come piacere o potere, ma è alla ricerca di un motivo per essere felice. «Se vi è una ragione per essere felici, la felicità scaturisce, automaticamente e spontaneamente. È questo il motivo per cui non occorre cercare la felicità non occorre occuparsi per essa, una volta che vi è una ragione per essere felici». Quindi l’uomo può essere effettivamente felice, ovvero vivere in pienezza la sua esistenza, nella misura in cui è orientato verso qualcosa o verso qualcuno che è al di là di se stesso e che rappresenta un valore, un ideale, un progetto carico di senso.
Questa ricerca della felicità richiede una costante capacità a saper bilanciare le diverse aspirazioni umano-spirituali, così diverse ma anche così necessarie nel cammino di crescita della persona: «una condizione di equilibrio e corrispondenza fra desideri, aspirazioni della volontà e loro attuazione», che però non si accontenta dell’appagamento immediato ma proietta l’individuo verso Colui che dà senso alla sua esistenza.
Vivere la felicità
nel rapporto con gli altri
Se l’obiettivo finale di ogni vocazione è la comunione profonda con Dio, l’anelito a realizzare felicemente la propria vocazione porta a fare i conti con il senso più profondo della propria esistenza intesa come dono per gli altri.
«L’essere umano non ha una vocazione, ma è essenzialmente vocazione: essa rappresenta un elemento costitutivo della sua esistenza. Egli è chiamato ad essere e a maturare il dono della vita; è invitato ad uscire da sé per realizzare l’incontro con l’altro e partecipare attivamente nella creazione in un mondo nuovo».
Non c’è felicità vocazionale che non generi una nuova solidarietà e un nuovo modo di stare insieme, per rendere visibile l’amore di Dio nella convivenza con gli altri. Questo cammino educativo non si esaurisce in un benessere relazionale a proprio uso e consumo, casomai fatto di illusorie simpatie o di false cortesie. È invece co-partecipazione attiva e operosa alla creazione di Dio, a cui ogni creatura collabora attraverso questo senso di condivisione e di adesione al mondo dell’altro.
Si tratta quindi di un processo di apertura che spinge la persona a proiettarsi fuori di sé piuttosto che ripiegarsi su se stessa o sui propri bisogni autoreferenziali. Tale orientamento le permette di andare al di là delle cose, sostenuta dalla convinzione che solo schiudendosi alle necessità dei fratelli può trovare la risposta piena al suo desiderio di felicità.
Anche nella vita consacrata è importante puntare ad un benessere che va oltre le cose, perché centrato sull’amore a Dio e sul servizio ai fratelli. Questo desiderio porta ad intraprendere un cammino di conversione che educa ad essere vigilanti e attenti, per cogliere i germi di una felicità che non è solo apparente ma è concretamente riconoscibile nel proprio modo di vivere il rapporto con gli altri.
Cosa mi attendo
da questo Anno di VC?
È l’interrogativo che papa Francesco ha posto nella sua lettera ai consacrati, a cui lui stesso ha dato delle risposte che possono diventare un percorso di vita. Proviamo a rileggere quelle parole riferendole alle aspettative che caratterizzano la vita consacrata, e che orientano ciascuno a realizzare una vita felice radicata nelle proprie scelte vocazionali.
Anzitutto, «siamo chiamati a sperimentare e mostrare che Dio è capace di colmare il nostro cuore e di renderci felici». È la prima delle attese, ma è la più importante, potremmo dire: fare esperienza di comunione con Dio e vedere che solo in lui trova compimento ogni aspirazione di benessere. Non c’è bisogno di cercare la felicità in false illusioni o in mode transitorie; occorre saper guardare a Colui che può veramente colmare questo bisogno di infinito e scegliere ciò che veramente è essenziale nella vita di ogni giorno.
In secondo luogo, è urgente riscoprire il carattere profetico della propria consacrazione. Perché solo la forza della profezia può scuotere dal rischio di false felicità a basso prezzo. Oggi più che mai i consacrati e le consacrate sono chiamati a non accontentarsi di facili compromessi o di una vita fatta di false etichette spirituali. La profezia implica la capacità a dare un nuovo impulso alle proprie scelte di vita, perché siano coerenti con l’opzione di base della propria vocazione.
Terzo, occorre realizzare una spiritualità di comunione fatta di amore più che di belle intenzioni. In quanto “esperti di comunione”, ci attendiamo che la convivenza sia vissuta come una opportunità di crescita e non come un fardello da sopportare. Di conseguenza, “critiche, pettegolezzi, invidie, gelosie, antagonismi sono atteggiamenti che non hanno diritto di abitare nelle nostre case”. Dio solo sa quanto c’è da fare per realizzare questo, motivo per cui è urgente che l’amore fraterno diventi una realtà tangibile nelle comunità religiose.
Quarto, aspettiamoci di essere sempre più il volto visibile di una chiesa in uscita, capaci cioè di andare verso le periferie del mondo, quelle “periferie esistenziali” che esigono una testimonianza efficace e autentica. Non è una aspettativa facilmente realizzabile perché è più rassicurante rinchiudersi nei propri schemi e nelle proprie certezze spirituali piuttosto che affrontare l’incertezza dell’incontro con l’altro, in modo particolare con i poveri e gli ultimi.
Quinto, «mi aspetto che ogni forma di vita consacrata si interroghi su quello che Dio e l’umanità di oggi domandano». È importante sapersi mettere in discussione, interrogandosi sul senso dell’essere consacrati oggi. Forse è l’aspettativa più insidiosa, perché richiede un atteggiamento di costante apertura verso le novità che Dio mette a disposizione attraverso le tante situazioni di nuova evangelizzazione che i consacrati e le consacrate vivono in giro per il mondo.
Se c’è un motivo
per esser felici…
Gli uomini non cercano, nel loro agire, come prima cosa la felicità sotto le forme del piacere o del potere, ma un motivo per essere felici. Il motivo della felicità dei religiosi e delle religiose è la fedeltà all’amore verso Dio che si traduce nel servizio ai fratelli. È in lui che essi riscoprono il vero benessere, perché la loro vocazione diventi gioia per gli altri. «La loro esistenza rende testimonianza di amore a Cristo quando s’incamminano alla sua sequela come viene proposta nel Vangelo», contenti di assumere lo stesso stile di vita che Egli scelse per sé.
L’unicità della loro vocazione rende la loro ricerca di felicità un compito coinvolgente che li spinge a ricominciare ogni giorno daccapo per dare una prospettiva continuativa a tutta la loro esistenza. Il segreto per riuscirci è quello di lasciare sempre socchiusa la porta alle tante opportunità che lo Spirito offre lungo il viaggio della vita. Se c’è uno spiraglio, la felicità sgorgherà non tanto come un premio meritato, ma come dono inaspettato.
La sete di autenticità emersa da più parti in questo anno dedicato alla vita consacrata, invita a passare dalle tante parole ai fatti concreti, perché è nella vita reale che le persone sono chiamate a dare testimonianza di una vita felicemente consacrata al Signore. Solo così impareranno a vivere le scelte quotidiane con sentimenti di vera gioia, contenti di realizzare un progetto di vita che va oltre la soddisfazione di un momento ma ha come obiettivo ultimo quello di una felicità aperta al trascendente.
Crea Giuseppe, Mccj
psicologo, psicoterapeuta