Pizzighini Mauro
Perfectae Caritatis 50 anni dopo
2015/5, p. 14
Interrogativi che riguardano l’atteggiamento di fondo da tenere nel diffuso e auspicato “desiderio di cambiamento” nella Chiesa come nella vita consacrata: «un vero e proprio “spirito di riforma”. Le opportunità dell’Anno della vita consacrata.

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Libro di mons. Bertolone vescovo di Catanzaro
PERFECTÆ CARITATIS
50 ANNI DOPO
Nel decreto conciliare ci sono ancora dimensioni da riscoprire e da riformare, per una vera ripresa della VC. Tra queste: la dimensione profetica, la vita fraterna in comunità, le conseguenze della crisi numerica, il celibato, l’obbedienza e, per i monaci, il voto di stabilità.
Il rinnovamento, auspicato dal concilio ecumenico Vaticano II e incoraggiato da tanti documenti, spesso si è ridotto a dei fatti esterni, invece che puntare, come si dovrebbe, a un rinnovamento interiore, condotto dallo Spirito Santo, che conduce ad un’assimilazione del cuore a Cristo vergine, povero e obbediente; rinnovamento che non può che tradursi in un austero stile di vita, che diventi testimonianza visibile nell’attualità della Chiesa e della società in cui viviamo». Così scrive don Gianfranco Ghirlanda, docente di diritto canonico alla Gregoriana, nella prefazione al libro dell’arcivescovo metropolita di Catanzaro-Squillace, Vincenzo Bertolone, dal titolo Perfectae caritatis, cinquant’anni dopo.
In riferimento all’Anno della vita consacrata, lo stesso Ghirlanda aggiunge che «quest’anno “speciale” dovrebbe essere, innanzitutto per i consacrati stessi, un anno di presa di coscienza più profonda di quello che significa la consacrazione che di tali persone ha fatto Dio, nonché della risposta di consacrazione di se stessi che essi hanno liberamente fatto a Dio nella Chiesa».Nello stesso tempo, quest’anno «dovrebbe essere propizio anche per i vescovi, affinché facciano proprio l’insegnamento della Lumen gentium, chiarificato ed esplicitato dall’esortazione apostolica Vita consecrata, quindi considerino e valorizzino la vita consacrata per quello che è nella Chiesa, ovvero per la sua “essenzialità” alla Chiesa, e non solo per quel vantaggio che viene alla diocesi per ciò che gli istituti in essa operano… Sarebbe molto deludente se tale anno si riducesse ad atti celebrativi, cioè a convegni e giornate di studio, dove vari organismi fanno a gara a chi, per primo, li programma e li realizza, oppure a qualche altro documento ufficiale che, anche ben fatto, si aggiungerebbe nella vita».
Alcuni
interrogativi
Il testo di mons. Bertolone rilancia, nella prima parte, alcuni interrogativi che riguardano l’atteggiamento di fondo da tenere nel diffuso e auspicato “desiderio di cambiamento” nella Chiesa come nella vita consacrata: «un vero e proprio “spirito di riforma” che, peraltro, percorre da decenni la Chiesa postconciliare, sollecitata dai suoi pontefici e vescovi a non temere, anche di fronte a cambiamenti vertiginosi, rapidi, che caratterizzano comunque la vita contemporanea e che, a volte, segnano il tramonto accelerato di valori consolidati e di prassi ritenute perenni».
Papa Francesco, parlando alla plenaria della Congregazione per gli istituti di vita consacrata e le società di vita apostolica, del 27 novembre 2014, ribadiva che occorre l’audacia del “vino nuovo in otri nuovi”. E, nell’omelia della messa nella Chiesa del Gesù, il 3 gennaio 2014, rilanciava alcuni interrogativi: «Se una fede autentica implica sempre un profondo desiderio di cambiare il mondo, abbiamo anche noi grandi visioni e slancio? Siamo anche noi audaci? Il nostro sogno vola alto? Lo zelo ci divora (cf. Sal 69,10), oppure siamo mediocri e ci accontentiamo delle nostre programmazioni apostoliche di laboratorio?».
L’arcivescovo autore del volume, invitando ad un serio discernimento spirituale, «quasi un’autocritica della vita consacrata», si domanda: «A che punto è la qualità del “vino nuovo”, prodotto nel corso della lunga trafila della vita consacrata? Come fare per valutare la “tenuta” degli otri – rappresentati dalle tante forme istituzionali presenti, oggi, nella vita consacrata – che dovranno contenere e portare a maturazione un tal vino? Come verificare che gli otri siano davvero adeguati a contenere il “vino nuovo”, a favorirne la migliore stagionatura, perché sia posto a vantaggio di chi ne vorrà bere?».
Dimensioni
da riformare
Interessante è la riflessione conciliare sulla vita consacrata, partendo dall’analisi del decreto Perfectae caritatis, a 50 anni dalla sua promulgazione, che lascia aperte alcune «dimensioni ancora da riscoprire e riformare».
In primo luogo, il vescovo afferma che la “dimensione profetica” della vita consacrata dovrebbe “circoscrivere” teologicamente la figura stessa del “consacrato”: «Probabilmente, in questo senso serve una maggior attenzione e riflessione sulla relazione tra Spirito Santo e vita consacrata o, se si vuole, tra carisma e istituzionalizzazione».
«La vita fraterna in seno a una comunità è un secondo elemento costitutivo e distintivo della vita consacrata che dovrebbe essere ripensato, in linea col Vaticano II, in ordine alla forma celebrativa dell’eucaristia, dove la comunità convocata da Cristo offre come vittima al Padre l’Agnello immolato, ricevendone in dono il perdono e la riconciliazione e, soprattutto, il nutrimento che cambia radicalmente la vita»; in altre parole, «non c’è vita consacrata fuori della vita comunitaria».
In terzo luogo, occorre interrogarsi «anche sul numero di coloro che vivono da consacrati nella stessa casa religiosa, o nelle case religiose in certe zone del mondo». Da qui l’interrogativo: «la crisi numerica evidente in alcuni istituti – particolarmente in Occidente – non richiederebbe, forse, decisioni di federazione, accorpamento, collegamento, fusione, pur nella consapevolezza che l’incidenza della vita consacrata non è mai del tutto dipendente da fattori numerici o fisici?».
In quarto luogo, fa notare che «il celibato/nubilato verginale resta un tratto distintivo del consacrato»: a fronte delle fragilità delle persone ordinate e consacrate, il presule afferma che «bisognerebbe piuttosto chiedersi come ridefinire il senso di tale rinuncia definitiva»; in altre parole, «più che di una rinuncia ad una dimensione bella dell’esistenza corporea, si tratta per i consacrati di lasciarsi abitare da un’autentica passione per Dio, che implica senza dubbio una passione per l’uomo, ma non fino al punto da coinvolgere inevitabilmente le pulsioni biologiche e le manifestazioni genitali». Da qui l’interrogativo: «Come far interagire, pur senza far prevalere nella valutazione e identificazione delle vocazioni, le scienze antropologiche, psicologiche e relazionali?».
In quinto luogo, sottolinea che il tema “delicato” dell’obbedienza è «fonte di confusione». «Per il consacrato non c’è altra obbedienza tipica se non quella vissuta da Gesù: l’obbedienza filiale al Padre, obbedienza da figlio, che va di pari passo con una vera libertà interiore». Generalmente – a detta di mons. Bertolone – nella vita consacrata «tale dimensione non viene presentata, perché si preferisce asserire che “si deve obbedire al superiore”, la cui volontà manifesta la volontà di Dio».
Infine, per quanto riguarda il monaco che fa professione di “stabilità”, il vescovo evidenzia «l’importanza della comunità cui uno appartiene e della quale deve sentirsi membro pieno e in relazione stabile (anche dal punto di vista dei tempi, oltre che dei luoghi)». La “conversione” richiesta al monaco è quella di «non conformarsi al mondo nel modo di vivere le proprie appartenenze»: egli «deve stare nel mondo, incontrare il mondo (anche attraverso le forme di collaborazione pastorale con le Chiese particolari), pur senza mai perdere il legame stabile con la comunità di riferimento».
Una sorta
di “bilancio”?
L’ultima parte del volume è dedicata a una sorta di “bilancio” della vita consacrata nella prospettiva della “ripresa”. Il 27 settembre 2005, in occasione della plenaria della Congregazione per gli istituti di vita consacrata e le società di vita apostolica, Benedetto XVI auspicava «un’autentica ripresa», che «non si può avere se non cercando di condurre un’esistenza pienamente evangelica, senza nulla anteporre all’unico Amore, ma trovando in Cristo e nella sua Parola l’essenza più profonda di ogni carisma del Fondatore o della Fondatrice». Quindi, a fronte della crisi della vita consacrata – aggiunge mons. Bertolone –, «c’è da imparare a morire in questo mondo, ovvero c’è da ritornare con frequenza a quello che è, per ogni forma di vita consacrata, il fondamento imprescindibile, il mistero pasquale di Gesù: morire per risorgere».
Per quanto riguarda il dialogo del vescovo con la vita consacrata, le diverse forme della vita religiosa e le diverse appartenenze dei ministri ordinati sono «chiamate a confrontarsi, ad aiutarsi, a correggersi a vicenda». In particolare, gli istituti di vita consacrata «potranno offrire pratiche esemplari di vita fraterna, esperienze di preghiera, ordine della vita e pratica dell’obbedienza amorevole che edificano anche il presbiterio diocesano».
Occorre poi rilevare sempre più e meglio «il legame tra crisi nella società odierna e nelle famiglie coniugali e crisi di relazioni interumane che spesso è presente nelle famiglie religiose: l’una potrebbe generare l’altra, ovvero esserne in qualche modo lo specchio». «Ciò che mina le relazioni della coniugalità potrebbe minare anche le relazioni fraterne e filiali delle comunità religiose».
Da ultimo, nel volume dell’arcivescovo calabrese si sottolinea che la vita consacrata è una «vera risorsa educativa all’interno del popolo di Dio», perché «addita a tutte le “categorie” di cristiani “la meta ultima della storia in quella speranza che sola può animare ogni autentico processo educativo”».
Nella postfazione, il vescovo ausiliare di Milano, Paolo Martinelli, aggiunge che «il rapporto tra vocazione battesimale e professione dei consigli evangelici segna la questione fondamentale del dibattito teologico postconciliare circa la teologia della vita consacrata». Inoltre, a detta del vescovo milanese, sulla scia di Perfectae caritatis la difficoltà più grande si riscontra nel tenere insieme i due criteri di rinnovamento della vita consacrata: quello del «ritorno alle sorgenti del proprio carisma, realizzando al contempo il necessario adattamento della propria forma di vita alle mutate condizioni». In ogni caso, questo processo «è possibile solo alla luce della Parola evangelica, sentita come norma fondamentale per tutti i consacrati e le consacrate», come anche il nesso tra vocazione battesimale e chiamata alla sequela di Cristo secondo i consigli evangelici ha la medesima origine: l’autocomunicazione della vita trinitaria nella storia».
L’auspicio contenuto nel libro di mons. Bertolone è che l’Anno della vita consacrata sia l’occasione per un esame di coscienza «sul chi stiamo cercando nel rinnovamento auspicato della vita consacrata e nelle società di vita apostolica e, soprattutto, sul senso del cercare il Signore in una condizione così speciale di vita qual è quella consacrata». Inoltre, quest’Anno speciale vuole essere l’occasione per avviare una “revisione di vita” «anche per un ritorno meditato ad alcuni gangli storici delle molteplici modalità con cui la comunità cristiana ha articolato la propria esigenza di dar luogo a stati di vita radicalmente votati al Cristo, sempre vergine, povero e obbediente». Sempre alla ricerca non soltanto di “nodi”, ma di “snodi” «con cui la vita della Chiesa ha risposto storicamente alla mozione dello Spirito Santo, generando dal suo seno sempre nuove forme di vita religiosa».
Mauro Pizzighini