Cabra Piergiordano
Le mie Ancelle
2015/5, p. 5
LE MIE ANCELLE
La mia casa natale era posta in via Dante Cusi 11. Dall’altro lato della strada si ergevano due bei edifici attigui: l’asilo infantile e il ricovero vecchi, intitolato a Dante Cusi, un concittadino emigrato in Messico dove si era fatto un nome e una posizione, senza dimenticare i vecchi del paese natio.
Quando mi affacciavo alla finestra, mi capitava di vedere delle suore Ancelle della Carità, nell’uno e nell’altro edificio, addette ad accompagnare l’inizio e la fine della vita. Questo accostamento mi ha sempre impressionato. La parabola della vita che va dall’asilo cinguettante e vociante, al ricovero silenzioso e mesto … Ma all’inizio e alla fine c’erano loro, queste suore che sembravano nate per oleare o agevolare questi passaggi.
Quelle dell’asilo mi apparivano più vivaci, anche se vestite di nero, mentre quelle del ricovero erano quasi invisibili e, quando si vedevano, erano vestite in bianco. Le poteva incontrare per strada chi andava al lavoro nell’orario quasi antelucano di Messa prima.
Qualche volta venivano, con discrezione a parlare, a parte, con mamma Agnese.
Confesso che di quelle del ricovero non ricordo nessun nome. Ma ricordo qualche cosa di più importante: quante volte, quando mi era richiesto qualche sacrificio che mi sembrava eccessivo, mi sono fatto forza pensando alla loro vita sacrificata! E al loro segreto amore al Signore! La loro vita era ed è stata per me un tonico spirituale!
Naturalmente frequentai anch’io l’asilo, sotto lo sguardo di suor Lorenzina e suor Ida e altre, che non abitavano però lì, ma all’oratorio femminile, dove si svolgeva una vita intensa, a partire dalle commedie, tanto attese e seguite.
E dove è stata proverbiale la laboriosità di suor Elvira, addetta alla cucina e ai paramenti sacri.
Suor Giacinta non è possibile dimenticarla, perché, allegra com’era, si divertiva un mondo, quando noi ragazzi storpiavamo le parole di un celebre motivetto “Ci sposeremo a maggio, con tante rose”, cantandole “Suor Giacinta già lo sa che sposar mi dovrà”.
Quella suora mi sembrava la personificazione della scritta posta ai lati del palco del loro teatro:”Servite Dominum in laetitia”. Latino facile, anche se “laetitia”, veniva pronunciata come fosse italiano.
Lì in quel teatro delle suore era stata poi rappresentata una mia commediola, messa giù verso i 13 (o i 14) anni, durante le vacanze estive, per occupare il tempo e per venire incontro alle richieste di mia sorella e delle sue amiche, un testo continuamente cambiato e allungato, man mano si presentavano nuove aspiranti attrici. E così si arrivò a ben quattro atti.
Il fatto che fosse stata ritenuta degna di essere ammessa “al teatro delle Suore”, dopo alcune recite private, e il fatto che qualcuno avesse dubitato che non fosse opera mia, mi riempiva d’orgoglio!
Una suora che mi è sembrata subito una donna straordinaria era madre Aldina, che aveva creato un ambiente accogliente sereno e aperto ai tempi nuovi, dal quale sono uscite anche delle vocazioni.
Poi venne il tempo di dare l’addio al paese natio. E, giungendo a Brescia, rimasi colpito dal numero delle Ancelle, che, rubando l’immagine ad un romanziere di lingua inglese, mi sembravano destinate ad essere come il collo della bottiglia: l’acqua di una bottiglia non deve passare per il collo quando entra e quando esce? Quante persone sarebbero passate da loro per entrare e per uscire dalla vita, per affrontare questa vita e quella futura?
Anche se poi ho avuto modo di conoscere e ammirare molte altre cose di loro, le loro presenze in ospedali e scuole, la loro capacità di leggere i segni dei tempi, oggi mi trovo a riflettere sul fatto che anch’ io, che sono entrato nella vita accompagnato dalle Ancelle, mi sento ora di essere accompagnato amabilmente da loro, proprio mentre sto uscendo da questa vita… dall’asilo all’accoglienza paziente, dal cicaleccio dell’infanzia alla sobrietà della quarta età, ma sempre con loro presenti.
Senza mai dimenticare l’allegria di suor Giacinta, che sa sorridere anche con gli anziani, per aiutarli a mantenersi ragazzi, ricordandoci che il Signore va servito nella gioia, sempre e in ogni età, proprio come stava scritto in teatro “in laetitia”. Affinché la commedia della nostra vita possa trasformarsi in una “divina commedia”, lieta e portatrice di letizia.
p. PierGiordano Cabra