La forza della tenerezza
2015/4, p. 39
Se ci domandiamo da dove sgorghi l'amorevolezza di Gesù, la sua costante premura per gli ultimi e i più abbandonati, la sua disponibilità ad accogliere la condizione umana e a condividerla, a comprendere il male nascosto nell'uomo e a perdonarlo, da dove derivi la sua generosità fino all'oblazione di sé sulla croce, la risposta è una sola: sgorga dall'amore tenerissimo del Padre del quale si sente Figlio, per il quale è venuto nel mondo e al quale intende obbedire con tutto se stesso, glorificandolo nel fare la sua volontà.
VOCE DELLO SPIRITO
La forza della tenerezza
Se ci domandiamo da dove sgorghi l'amorevolezza di Gesù, la sua costante premura per gli ultimi e i più abbandonati, la sua disponibilità ad accogliere la condizione umana e a condividerla, a comprendere il male nascosto nell'uomo e a perdonarlo, da dove derivi la sua generosità fino all'oblazione di sé sulla croce, la risposta è una sola: sgorga dall'amore tenerissimo del Padre del quale si sente Figlio, per il quale è venuto nel mondo e al quale intende obbedire con tutto se stesso, glorificandolo nel fare la sua volontà.
Particolare rilievo assume, in questo contesto, la preghiera pronunciata nell'orto degli Ulivi prima della passione: Dio vi è invocato come «Abbà! Padre!» (Mc 14,36), oppure «Padre» (Lc 22,42) o «Padre mio» (Mt 26,39), ma sempre come implorazione di un figlio amato. Non che egli non sperimenti un'angosciosa solitudine, derivante dall'autocoscienza di essere Figlio unico, incompreso e perfino rifiutato dai suoi, fino alla terribile desolazione del Getsèmani, ma la sua solitudine è sublimata dalla certezza dell'amore paterno cui si affida incondizionatamente. Per questo egli può dire: «Io non sono solo»; e in piena lucidità preannuncia: «Ecco, viene l'ora, anzi è già venuta, in cui vi disperderete ciascuno per conto suo e mi lascerete solo; ma io non sono solo, perché il Padre è con me» (Gv 16,32). Anche quando chiede qualcosa, la sua invocazione non riveste mai una forma incerta o dubbiosa, ma sempre quella dell'audacia, quasi facendo appello a un diritto nativo: «Padre, voglio che quelli che mi hai dato siano anch'essi con me dove sono io» (Gv 17,24). È da questo centro vitale che scaturisce la tenerezza di Gesù come «essere con» ed «essere per» gli altri. Sotto entrambi gli aspetti, essa si presenta di un genere unico, oltre i canoni abituali: non muove infatti da quanto è umanamente forte, ma da quanto è debole e apparentemente insignificante.
«Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri» (Gv 13,34;15,12-17) Non significa soltanto: «Prendete il mio amore come esempio», ma: «Amatevi a motivo dell'amore che vi ho manifestato e dell'amore posto in voi grazie all'evento della mia pasqua», in perfetta corrispondenza a quanto Gesù proclama nella preghiera sacerdotale: «Perché l'amore con il quale mi hai amato sia in essi e io in loro» (Gv 17,26). L'amore è Gesù stesso che, in virtù del suo sacrificio, costituisce la sua comunità come comunità di fratelli e sorelle riuniti nel suo nome e nell'oblazione di sé sulla croce. L'alleanza nuziale in Cristo e nella Chiesa e la nuova «legge» dell'amore non rappresentano solo un accadimento di ordine etico, ma rimandano al dono dello Spirito che Gesù promette ai suoi nel momento stesso in cui fa nascere la nuova comunità. Ed è questo Spirito che egli comunica, come Risorto, ai discepoli nel Cenacolo (Gv 20,22). Compimento necessario del preannuncio dell'Ultima cena, l'effusione dello Spirito fonda la Chiesa come comunione nell'unico Padre e nell'unico Signore, comunione di ministeri e carismi, a servizio dell'unico Corpo ecclesiale di Cristo. Il comandamento nuovo è così concretizzato in sentimenti di tenerezza e in tutto quel corredo di virtù che appartengono alla nuova condizione di figli del Padre celeste e di fratelli e sorelle in Cristo Gesù.
Carlo Rocchetta Rosalba Manes
da La tenerezza grembo di Dio amore
EDB, Bologna 2015