Brevi dal mondo
2015/4, p. 37
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Testimoni
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IRAQ
Le suore domenicane in mezzo ai profughi
In mezzo all’immane tragedia dei profughi dell’Iraq fuggiti a Erbil, in Kurdistan, dietro l’incalzare dei terroristi dell’ISIS, ci sono dei veri e propri angeli custodi, che con la loro presenza amorevole e il loro aiuto materiale e spirituale cercano di alleviare le sofferenze di questa gente che ha perso tutto. Sono le suore domenicane di S. Caterina da Siena, un istituto avviato da p. Pierre Duvall, responsabile della missione domenicana in Iraq, nel lontano 1877. È la prima congregazione cattolica religiosa femminile presente nel moderno Iraq. Da quasi un secolo e mezzo le suore accompagnano le popolazioni di questo paese e ne condividono le sorti, a volte tragiche. Per fare un esempio: durante la prima guerra mondiale del secolo scorso, l’Iraq fu occupato dai turchi e dai loro alleati i curdi che scatenarono una persecuzione contro i cristiani: molti loro villaggi e diocesi furono saccheggiati e dati alle fiamme. Furono uccise anche sette suore, tre delle quali dopo essere state selvaggiamente torturate, mentre le altre furono disperse.
La situazione in questi ultimi 25 anni non è stata certo migliore. Nel 1990 durante la guerra del Golfo, nonostante il pericolo, le suore rifiutarono di lasciare l’Iraq, e rimasero sul posto anche dopo l’invasione americana. Nel 2003 un’ala del loro noviziato fu colpita da un missile, fortunatamente senza che nessuna suora rimanesse ferita.
Quando, con l’avanzare della guerra, le bombe cominciarono a cadere su Bagdad e molta gente cominciò a fuggire, le suore aprirono i loro conventi e i loro edifici scolastici alle famiglie per offrire un luogo di riparo dove stare. E all’inizio della crisi del 2003-04, quando gran parte degli ospedali furono chiusi, esse tennero aperto invece il loro di Al-Haiat in Bagdad, 24 ore su 24 e sette giorni su sette.
Quando lo scorso anno le città di Qaraqosh e di Mosul furono occupate dai terroristi musulmani dell’ISIS, ai cristiani e agli aderenti delle altre minoranze etniche fu posta l’alternativa: o convertirsi all’islam, o venire uccisi.
Anche le suore dovettero abbandonare le loro case e seguire i fuggiaschi, stabilendosi a Erbil. Qui ora dedicano tutto il loro tempo e le loro energie ad alleviare le immani sofferenze di questa gente fuggita senza poter portare con sé nulla. Vorrebbero anche aprire delle scuole per i bambini, ma per il momento sono riuscite solo ad attrezzare un piccolo asilo Montessori per l’infanzia.
Nel gennaio scorso una delegazione di tre suore americane di Jersey City, sr. Marcelline, Arlene Flaherty e Dusty Farnan, si è recata a Derbil per visitare i campi profughi. Sr. Flaherty ne è rimasta come scioccata. «Nella mia vita – ha detto – ho visto tante cose, credetemi. Ma in 30 anni di lavoro in mezzo ai rifugiati non ho mai visto condizioni così drammatiche come a Erbil». E ha aggiunto: «Io non sono una che piange facilmente, ma qui ad Erbil non ho potuto trattenere le lacrime... Ho vissuto nei Caraibi, sono stata ad Haiti, in Siria a Damasco per verificare la situazione dei rifugiati, ma non ho mai visto niente di simile come qui. Le suore irachene continuano a fare tutto ciò che è nelle loro possibilità per offrire un sollievo spirituale e fisico a questi rifugiati, nonostante le condizioni siano difficili».
«È una situazione disperata, ha aggiunto, da parte sua, sr. Farnan, ma non mancano anche barlumi di speranza. Non ho mai trovato una fede incredibilmente così profonda tra i rifugiati». Ha sentito qualcuno dire: «anche se tutto venisse meno, la mia fede rimane intatta». «Non c’è niente – ha sottolineato sr. Farnan – che possa separare questa gente dalla loro fede e questo è ciò che infonde in loro speranza».
BURUNDI
Dal sangue a una casa di spiritualità
In Burundi, a Bujumbura, nella parrocchia di Kamenge dove lo scorso settembre sono state uccise tre suore saveriane, suor Lucia Pulici, suor Bernadetta Boggian e suor Olga Raschietti, sorgerà una casa di spiritualità. Sarà un luogo di preghiera, un’oasi di pace e di silenzio e di memoria delle sorelle massacrate e di tutti i martiri che hanno dato la vita per la pace nei Paesi dei Grandi Laghi.
Nelle intenzioni dei missionari, presenti nel paese dagli anni Sessanta, la casa dovrebbe essere un luogo semplice e al tempo stesso bello: un cuore che continua a battere e trasmettere vita.
Intanto le indagini ufficiali sul massacro delle tre suore, sono state chiuse da tempo, ma non hanno convinto nessuno. L’immediato arresto di Christian Claude Butoyi, che aveva rivendicato l’omicidio con la tesi del risentimento personale, non basta a chi vuol sapere la verità. L’impressione è che dietro l’omicidio ci siano degli scenari più complessi con il coinvolgimento anche di persone legate ai Servizi segreti. Non è neppure esclusa la presenza di riti satanici. In un quadro a tinte fosche come questo, sembra sempre più difficile giungere alla verità sui mandanti e sulle vere ragioni del massacro delle religiose. Le ultime notizie chiamerebbero in causa l’ex capo dei Servizi segreti, il generale Adolphe Nshimirimana, e farebbero riferimento alla scoperta di traffici illeciti di farmaci e minerali preziosi.
Non va inoltre sottovalutata la situazione sociale del Burundi che non è certo delle migliori. I 10 saveriani (due messicani, un congolese, un burundese e sei italiani) che sono rimasti a Bujumbura continuano a lavorare per seminare la pace, mentre nel paese non ci sono più suore saveriane. La polizia garantisce la protezione, ma è difficile sapere da chi. Per i religiosi non ci sono pericoli immediati, ma anche prima del triplice omicidio non c’erano stati segni particolari tali da far pensare ad azioni dissennate contro religiosi o religiose. Gli operatori stranieri vivono, comunque, nella massima allerta, perché il periodo pre-elettorale non offre garanzie. L’avvicinarsi delle elezioni presidenziali previste, il prossimo maggio-giugno, rende infatti il panorama molto teso. La maggioranza della popolazione chiede all’attuale presidente (Nkurunziza) di non presentarsi per un terzo mandato; lo accusano di coprire gli autori di massacri e altri delitti a sfondo politico di molte persone tra cui quello delle tre suore saveriane.
Anche la Conferenza episcopale burundese ha dichiarato inaccettabile la candidatura di Nkurunziza. Secondo gli osservatori internazionali, una sua nuova presidenza potrebbe aumentare il rischio di un ritorno alle tensioni del passato, alle guerre fratricide tra Hutu e Tutsi. Ai religiosi di Bujumbura rimane solo di continuare a pregare e a invocare la pace.
REPUBBLICA DEMOCRATICA DEL CONGO
Ucciso un sacerdote nell’est del paese
La sera del 25 febbraio scorso è stato ucciso l’economo della parrocchia di Mweso (nel Nord Kivu, nell’est della Repubblica Democratica del Congo), don Jean-Paul Kakule Kyalembera. «Sembra essersi trattato di un atto di banditismo», ha dichiarato all’Agenzia Fides mons. Théophile Kaboy Ruboneka, vescovo di Goma, nella cui diocesi si trova Mweso. «Il sacerdote stava chiudendo le porte della chiesa quando ha scoperto uno o più banditi che erano nascosti da qualche parte. I criminali gli hanno sparato senza esitazione, colpendolo all’addome e al capo, uccidendolo sul colpo».Mons. Kaboy ha aggiunto che «tre persone sospette sono state arrestate». Ha poi affermato: «nella nostra diocesi ci sono numerose bande che terrorizzano la popolazione e ci sono troppe armi in circolazione. Tra le vittime delle violenze e delle estorsioni vi sono pure delle religiose, che vengono minacciate di morte se non pagano un riscatto di 4.000 dollari. La situazione rimane quindi molto pericolosa».
Secondo informazioni pervenute sempre all’Agenzia Fides, già nel novembre scorso, il parroco della chiesa in cui è stato ucciso don Kakule era sfuggito a un tentativo d’omicidio. E sempre nel Nord Kivu, dal 19 ottobre 2012 non si hanno più notizie dei tre sacerdoti assunzionisti rapiti nella loro parrocchia di Notre-Dame des Pauvres di Mbau, a 22 km da Beni.
NIGER
Una Chiesa duramente colpita
Venerdì 16 gennaio scorso, giornata di preghiera per i musulmani, in varie città del Niger si sono tenute delle manifestazioni che sono degenerate in saccheggi e distruzioni di chiese cattoliche e protestanti e di diverse case religiose.
Le manifestazioni volevano essere una protesta contro il settimanale satirico francese Charlie Hebdo per la pubblicazione delle vignette ritenute blasfeme contro Maometto.
Nelle due diocesi cattoliche del paese, Maradi e Niamey, diverse chiese sono state incendiate, come pure un buon numero di case religiose. L’amministratore apostolico, mons. Michel Cartatéguy, ha dichiarato alla Radio Vaticana: «Come comunità cristiana siamo molto sorpresi. Quasi tutte le nostre chiese – 12 su 14 – sono state saccheggiate, siamo rimasti senza niente. Si è salvata solo la cattedrale perché avevo chiesto alle forze dell’ordine di sorvegliarla. Ma non sappiamo fino a quando sarà possibile».
In seguito a queste violenze, sono state sospese tutte le attività della missione cattolica, comprese le scuole e i dispensari.
Mons. Cartatéguy ha affermato che non potevano comprendere ciò che era avvenuto. Allora, ha aggiunto, «ho convocato tutti i sacerdoti e i responsabili delle comunità per pregare in silenzio e abbiamo meditato sull’amore ai nemici. Molti dei nostri religiosi che hanno perso tutto sono stati protetti da famiglie musulmane. Alle autorità ho detto che non avevamo niente contro la comunità musulmana, al contrario. Dobbiamo rafforzare i nostri vincoli di unità e di fraternità che abbiamo costruito insieme».
Un missionario che vive nella capitale Niamey da trent’anni, descrivendo quanto è avvenuto, ha precisato che, oltre alle chiese, anche 6 case di sacerdoti e suore sono state completamente saccheggiate e ridotte in cenere.
Questi atti vandalici sono stati condannati sia dal segretario generale dell’Associazione islamica del Niger, Boubacar Seydou Touré, che gestisce la grande moschea di Niamey, sia dal presidente del paese, Mahamadou Issoufou, il quale ha dichiarato: «Coloro che hanno compiuto questi atti non hanno capito niente dell’islam». Si è poi chiesto: «Di che cosa sono colpevoli le chiese e i cristiani del Niger?».
Il Niger ha una superficie di 1.267.000 km². e una popolazione di 12 milioni di abitanti, in maggioranza musulmani. I cristiani rappresentano una piccola minoranza di 16.000 unità.