Prezzi Lorenzo
Obesi o anoressici?
2015/4, p. 34
Il cibo e la vita spirituale. Noi siamo quello che mangiamo. Il rapporto fra cibo e la comunità religiosa, fra il mangiare e il celebrare. Una lettera del ministro generale dell’ordine.

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Testimoni
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Rapporto tra cibo e spiritualità
OBESI
O ANORESSICI?
Il cibo e la vita spirituale. Noi siamo quello che mangiamo. Il rapporto fra cibo e la comunità religiosa, fra il mangiare e il celebrare. Una lettera del ministro generale dell’ordine.
Cosa c’entra la vita religiosa con il cibo? Cosa c’entra la Chiesa con l’Expo di Milano? Cosa c’entra il mangiare con la «Chiesa in uscita» di papa Francesco? Sono gli interrogativi sottesi a una lettera del ministro generale dei frati minori conventuali, p. Marco Tasca: Cibo che nutre. Per una vita sana e santa (marzo 2015).
«Tra cibo e spiritualità intercorre da sempre un legame stretto e inscindibile, non solo di carattere funzionale: noi siamo anche quello che mangiamo, e il rapportarci con il “pane quotidiano” che è nostro e altrui, dono del Signore perché nessuno ne venga a mancare, dice molto della nostra identità cristiana». Non c’è nessuna religione che non abbia assunto il mangiare dentro i propri dispositivi e le proprie regole di vita e di comportamento. «Gli uomini e le donne, proprio attraverso l’azione del nutrirsi, hanno imparato a conoscere la loro identità: il proprio corpo, le relazioni tra di loro e con il mondo, il creato, il tempo e la storia, la loro relazione con Dio» (L. Bressan, Settimana 6/2015 p. 1; cf. anche dello stesso autore, Dio ci invita alla sua tavola, Emi, Bologna 2015).
«Nelle nostre comunità la necessità di ottimizzare le risorse, negli anni, ha portato in molti casi a considerare la sapienza della cucina uno tra i molti compiti da svolgere, una mansione, e spesso, per carenza di forze e di tempi, la preparazione del cibo è stata affidata ad altri; oppure è divenuto un lavoro relegato alle capacità di pochi, più orientato alla necessità che al piacere. Ma, nonostante il rischio che questo slittamento comporta, il cibo occupa un ruolo non secondario nelle nostre vite comunitarie, attraverso due poli di attenzione, il cucinare e il prendere pasti insieme» (F. Balocco in Testimoni 7/2013 p. 16).
Da maggio a ottobre
l’Expo 2015
Da venerdì 1 maggio, a sabato 31 ottobre 2015 si sviluppa l’esposizione universale di Expo a Milano all’insegna del titolo: Nutrire il Pianeta, Energie per la Vita / Feeding the Planet, Energy for Life. Per 184 giorni 20 milioni di persone in rappresentanza di 144 paesi (sono già stati venduti 8 milioni di biglietti) si interesseranno di cibo sia nella prospettiva della garanzia della sua genuinità, sia in quella dell’accesso di tutti al cibo e all’acqua per sconfiggere la piaga della fame nel mondo. Compito dei credenti è accendere domande e riflessioni critiche, aprire gli spazi del simbolico e non sottrarsi al compito della denuncia. Interessarsi del cibo nostro e di tutti è assumere il passo degli uomini e delle donne del nostro tempo, abbandonare ogni autoreferenzialità, praticare la «Chiesa in uscita» indicata da papa Francesco.
Attorno al cibo si sviluppano alcune delle malattie specifiche delle nostre generazioni: l’anoressia e la bulimia. La prima ha a che vedere con l’imperativo dell’immagine, dell’estetica dei corpi; la seconda con il mito del consumo che innesca un meccanismo di accumulazione infinita e irrefrenabile. Nutrire e nutrirsi sono i gesti che ci strappano dalla morte e ci consegnano alla relazione con gli altri. Essi scandiscono anche la differenza dei tempi. «Se il cibo della festa, in abbondanza e quasi in eccesso, è una intensificazione dell’offerta di alimenti e di bevande che ha come obiettivo il “fare festa”, il digiuno rimanda al vero nutrimento, quello fraterno e spirituale, mentre normalmente il cibo è realtà quotidiana la cui verità è il percepirlo, tanto o poco che sia, come dono».
La lettera di p. Tasca scandisce il primo capitolo con questi titoli: cura del cibo, cibo che unisce, cibo benedetto, cibo sprecato, cibo per tutti. Il secondo capitolo, più direttamente francescano, parla di digiuno, di convivialità, di riconoscimento e lode. «Per molti frati, soprattutto nelle grandi comunità, il cibo è qualcosa che entra in scena e alla fine del pasto scompare sopra un carrello di metallo con le rotelle. Generalmente si presenta già pronto e ben ordinato dentro grandi vassoi perché ognuno possa fare la sua scelta… Pochi frati, a volte nessuno, hanno messo, come si dice, le “mani in pasta”, si sono cioè dedicati in qualche modo alla cura del cibo del quale tutti possono fruire, in genere con discreta abbondanza e varietà». La cura del cibo è, a volte inevitabilmente, delegata a mani professionali.
Il significato
dei cibi
Ma questo può oscurare il significato della cucina, la cura e la pazienza che essa richiede, il senso del rispetto dei tempi necessari per trasformare, verdure, carne e alimenti in qualcosa di buono da mangiare e condividere. È dalla cucina che cominciano le relazioni. La cucina è «il luogo della consapevolezza: è necessario, infatti, per poter cucinare, essere presenti a se stessi, alla realtà e agli altri. Preparare le pietanze da servire a tavola significa stare davanti ad altro per portarlo davanti ad altri» (cf. Testimoni 7/2013, p. 16). Il pranzo, un po’ solenne così come noi lo conosciamo, è stato inventato alla metà dell’800 e ha normalmente questa scansione: il primo, la carne, i legumi, il formaggio e il dolce. La diversità e ricchezza dei piatti evita la ripetizione e stimola il desiderio. Il processo del cibo ha una sua dinamica che parte ben prima del mangiare, nella preparazione del luogo e nella preparazione del cibo. Esso corrisponde all’evoluzione del nutrimento dall’infanzia alla maturità. L’adulto merita il nutrimento infantile (il dolce, spesso fatto col latte) quando ha fornito la prova sociale che non è restato un bambino, mangiando la carne. Alcuni significati simbolici del cibo sono facili da indicare. L’acqua della cottura come quella da bere è il segno della purificazione. E il passarsi la bottiglia (come quella del vino) facilita il rapporto fra i commensali. Il pane è un fattore di unità. È un cibo cotto, consistente e non liquido. Evoca la forza (frutto di un difficile lavoro), la durata, la sicurezza. I legumi (patate, carote, piselli, spinaci ecc.) sono i doni della terra, assai più evidenti dei frutti che cascano/vengono dai rami. La carne è il segnale che la reciprocità del rispetto definisce il gruppo umano. L’animale si può uccidere e fra animali si registra la violenza cieca e mortifera. Non così - ci ricorda la tavola - dovrebbe essere fra gli umani (cf. J.-C. Sagne, La symbolique du repas dans les communautés, Cerf, Paris, pp. 20-38).
Segno
dell’alleanza
Il cibo manifesta un’alleanza; unisce. «Partecipare o meno alla tavola comune non è la stessa cosa, perché alla lunga si disimpara non a mangiare, ma la relazione stessa, tutto ciò che nel cibo e attraverso di esso ci rapporta agli altri… Mangiare è al tempo stesso un gesto materiale e spirituale; mentre ci si nutre, si crea comunione, si alimenta la comunione». Le tavole solitarie, le tavole silenti, le tavole urlanti sono tutti segnali del mancato funzionamento dell’alleanza, che emerge invece dalle tavole festose di un chiacchiericcio fatto di complicità e comprensione reciproca. La preghiera che introduce il cibo nelle comunità religiose e nelle famiglie cristiane restituisce al gesto tutto il suo significato. Non è solo l’alleanza dei pari, è l’alleanza con Dio. «Il cibo è così identificato nella sua qualità profonda di dono del tutto positivo ricevuto e da ridonare, di cui non ci si può appropriare a scapito degli altri». Così come ha testimoniato Gesù che nella moltiplicazione mostra di riconoscere «di ricevere il pane così come ha ricevuto la vita. Anche nel gesto di sfamare gli altri egli si comporta da Figlio, non trattenendo per sé ciò che è ben consapevole di aver ricevuto» (C. Pagazzi, La cucina del Risorto, Emi, Bologna 2014, p. 18).
Uno spazio di alleanza e fraternità che fa emergere la preziosità del cibo e la necessità di non sprecarlo, di resistere alla spinta allo scialo e all’eccesso. «Quello di non sprecare dovrebbe essere per noi francescani una sorta di comandamento, perché ogni spreco di cibo (acqua, energia, suolo …) è spreco della creazione e rende la terra più povera e inospitale per le generazioni future».
L’eucaristia come
luogo simbolico
Da qui nasce l’imperativo della disciplina da un lato e del digiuno dall’altro. È la forza dei simboli, oltre alle necessità di salute, che impongono talvolta la sospensione dal cibo. «Il digiuno è sempre un comportamento di attesa, con cui l’uomo rinuncia al nutrimento per attestare e riconoscere che deve piuttosto riceverlo come un dono… È e resta un atto specifico nella misura in cui rivela il carattere primario della distruttività orale e vuole regolamentare questa forza pulsionale originaria attraverso la sua provvisoria sospensione» (Cf. Sagne, op. cit. p. 176). Ci si astiene dal pane per altre alimentazioni: Parola, eucaristia, preghiera.
«Il rapporto col cibo può essere assunto come il luogo nel quale si rende più evidente la disarmonia che segna il rapporto dell’uomo con il creato e con gli altri esseri umani: qui, più che altrove, la cultura dello scarto si evidenzia in maniera lampante. Ed è proprio qui, allora, che occorre essere presenti per accendere le domande giuste, per sviluppare un pensiero metaforico che può arricchire tutti» (cf. Sett. 6/2015 p.1). Siamo messi a confronto con lo spreco delle risorse, con le colpevoli disfunzioni dei mercati alimentari, con la necessità di rispettare il suolo e il clima e con contraddizioni sorprendenti: 800 milioni soffrono la fame e 1.500 milioni sono sovrappeso (e 500 sono obesi). «Paesi che da poco hanno vinto la fame, si stanno incamminando sulla strada dell’obesità. Mentre però in questi paesi sono maggiormente a rischio le classi agiate, in Occidente vengono colpite dall’obesità soprattutto le fasce di popolazione a basso reddito, per cui si capovolge l’immaginario tradizionale della corpulenza del ricco e della magrezza del povero». «Educarci al cibo, al suo valore e ai pericoli connessi al suo abuso, potrà essere di aiuto per realizzare comunità più sane e al contempo più sante».
«Dacci oggi il nostro pane quotidiano»: il cibo è invocato come nostro e come quotidiano. Dimensione verticale della fede e dimensione orizzontale della solidarietà si saldano. Il loro luogo simbolico maggiore è l’eucaristia. Nel pane e nel vino vi è la pienezza di una presenza reale che è spalmata sull’intero rito: la Parola, l’assemblea, il ministro e i ministri. «“Fate questo in memoria di me” (Lc 22,19) indica non solo la necessità di ripetere il gesto sul pane, ma di rinnovare ogni giorno il dono di noi stessi ai fratelli, nello stile dello “spezzare il pane”, del condividere, dello sfamare ed estinguere ogni fame di Dio e del cibo». Anche la relazione con il cibo fa parte di quella ricerca spirituale e di quello stile di vita che fa delle comunità religiose luoghi della profezia del Regno che viene.
Lorenzo Prezzi