Balocco Francesca
Per una città più umana
2015/4, p. 25
Da dentro le nostre città è possibile l’esperienza della fede, l’esperienza di sentire che siamo preceduti da un amore che può solo essere creduto. Ogni alternativa, in definitiva, pone l’accento sull’assoluto, su una credibilità originaria e definitiva.

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Testimoni
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La gioia del Vangelo
PER UNA CITTÀ
PIÙ UMANA
Da dentro le nostre città è possibile l’esperienza della fede, l’esperienza di sentire che siamo preceduti da un amore che può solo essere creduto. Ogni alternativa, in definitiva, pone l’accento sull’assoluto, su una credibilità originaria e definitiva.
Pensare la città necessita un presupposto: non sentirci esonerati dalle contraddizioni che nascono dalle infinite possibilità che essa offre. Restiamo attoniti di fronte alla sua copiosa offerta in materia di risorse comunicative, sociali, culturali; restiamo sospesi di fronte al dedalo di strade che si intrecciano, che corrono parallele, che sembrano non finire o che finiscono troppo presto. Città che si presentano come luogo per riunire gli uomini, per offrire confini e identità; oppure come luogo per separarli definitivamente gli uni dagli altri. Città occasione d’incontro e di relazione, oppure difesa del privato, isolamento e solitudine.
Città costruite dagli uomini, cariche di strade, che si aprono a spazi inesplorati, strade che non si chiudono alla possibilità di essere percorse, che nel tentativo di limitare, lasciano spazi indefiniti, raggiungibili da varie posizioni e percorsi, città indefinite, accoglienti, travolgenti, disorientanti.
La storia si realizza
in una città
Nell’esortazione apostolica Evangelii gaudium papa Francesco sottolinea come “è interessante che la rivelazione ci dica che la pienezza dell’umanità e della storia si realizza in una città”. (EV 71; cf anche EV 72-75; 209-221). La città si offre a noi, con la sua capacità di risvegliare lo stesso stupore e timore che molte volte nasce davanti all’immensità degli abissi, da cui sentiamo il bisogno di difenderci e di cui abbiamo reso abitabile la soglia. Quel limite posto alle acque (cf. Sal 104,9) sicuri che non l’avrebbero passato. Stupore e timore davanti a queste città e a questo mare che fa paura, a questo mare che attrae il nostro desiderio di avventura, a questo mare talmente ambivalente da sembrare ambiguo. Ed ecco che le strade della città, a poco a poco, si disciolgono in questo mare, si disfano come orme invisibili sull’acqua; e quello che sembrava sentiero certo e definito, si trasforma in miriade di percorsi possibili che fanno solamente appello all’urgenza di una decisione. Le infinite strade percorribili delle città diventano a volte acque calme, a volte oceano in tempesta…
E l’uomo, improvvisamente, si trova ad abitare il mare, accompagnato dalla fatica di ritrovare punti di riferimento in quella realtà in cui è immerso pienamente. E se certamente le domande non mancano, la sensazione, spesso, è che le risposte si facciano attendere.
La risoluzione che, molte volte, all’essere umano si offre, di questa esperienza drammatica, è il tentativo, o forse è meglio dire la tentazione, della fuga; fuggire alla ricerca di risposte che vengano dall’esterno, da un altrove, da un fantastico cielo, fato o destino, carico di risposte e povero di domande. Questo è il paradosso: essere immersi nelle domande provocate dalla realtà ed essere, allo stesso tempo, alla ricerca di un punto a cui aggrapparsi per uscire dalla realtà. Ma il paradosso nel paradosso è che spesso l’esperienza di fede è stata assimilata a questa fuga, quando non è stata utilizzata come mezzo stesso di fuga. E il verbo si è fatto carne e a posto la sua tenda in mezzo a noi (Gv 1,14), è una tenda piantata in mezzo al mare delle nostre città, che rende lecito il discorso su Dio nel cuore stesso della città: una testimonianza che non cerchi spazi diversi da quelli abitati dagli uomini, ma che sia capace di chiedere ospitalità proprio a quelle città abitate dagli uomini.
L’esperienza di fede come l’affidamento riuscito, che nasce dall’incontro con Cristo, è per sua natura ospite, capace di dare e ricevere ospitalità nella fatica del vivere umano, in forza di quella tenda piantata nel cuore del vivere umano, ogni luogo umano è luogo visitato da Dio, dove è possibile e desiderabile un incontro.
Se l’immersione nel mare, certamente, richiede abili tecniche di galleggiamento, queste non sono sufficienti per una qualità del vivere umano, l’immersione richiede anche competenze per potersi muovere nel mare della città e del vivere.
Ogni discorso su Dio ha avuto, oggi e sempre, bisogno dell’umano per essere pronunciato. Alle parole dell’uomo è sospesa tutta la bellezza e la drammaticità della vita, e la capacità di dare ogni volta nuovo senso alle medesime parole. Gli eventi, forgiando alla vita, forgiano allo stesso tempo al senso e al significato, e ci consentono ogni volta di leggere, in altro modo, il testo che più di ogni altro ci appartiene, quello della nostra storia e della nostra carne.
La città, il mare, la pluralità di significati, l’ambivalenza, pongono ciascuno di noi in una posizione che si caratterizza per la possibilità di una scelta libera, di una decisione; e ogni decisione è possibile solo su una linea di sviluppo dove i contrari sono possibili, dove la pluralità è possibile (cf. EG 238-258), dove la via percorribile mostra l’apertura di due strade: o riconciliare i termini contradditori o escluderli.
L’ambivalenza si mostra condizione necessaria affinché sia possibile il movimento, il dinamismo vitale. Il momento presente concretizza, per l’uomo immerso nella città, l’istante della libera decisione circa la direzione da seguire per sciogliere l’ambivalenza del significato della vita e della morte. Le acque indecifrabili, caos dall’origine, che immergono e sommergono, diventano luogo ospitale di una Parola che precede ogni nostra esperienza (cf. EG 264-267); parola di fedeltà e di amore udibile in mezzo alla folla della città, che rende possibile l’affidamento della vita alla credibilità di questa parola. Una parola udibile per scegliere oggi come stare davanti alla realtà e davanti alla fine. Ed è proprio a partire dalla città che l’umano può nascere, emergendo, oggi come sempre, dal caos delle acque, emergendo nella sua identità nel confronto con la differenza e la diversità. Da dentro le nostre città è possibile l’esperienza della fede, l’esperienza di sentire che siamo preceduti da un amore che può solo essere creduto. Ogni alternativa, in definitiva, pone l’accento sull’assoluto, su una credibilità originaria e definitiva. Ogni alternativa pone una domanda. La libertà umana può scegliere se perdersi nella totalità iniziale e caotica o se, dal caos, aprirsi una strada verso il compimento riuscito della vita. Ogni decisione da prendersi dentro il dedalo delle possibilità e in definitiva una questione di senso, senso che esiste solo come scelta tra sensi possibili.
La gioia del Vangelo
nasce da un incontro
Aprire una strada nel mare (cf. Is 43,16), aprire una via nelle città è una prerogativa di Dio; non appartiene né al discorso su Dio, né alla pastorale sostituirsi all’uomo nelle sue decisioni pratiche, ma ad ogni credente resta il compito di tracciare orizzonti a partire dalla realtà umana.
La gioia del Vangelo nasce da un incontro, che si esprime nella forza della novità, nel coraggio che muove l’agire; forza, gioia, coraggio, azione che hanno origine in una Buona Notizia ricevuta. Questo termine, a volte così familiare da essere depotenziato della sua forza, si lega – fin dall’antichità – all’annuncio di una vittoria militare: un fatto che segna la vita di chi riceve la notizia, un annuncio che cambia l’esistenza. La Buona Notizia, il Vangelo, annuncia che Dio interviene e trasforma, cambia, capovolge, rovescia le situazioni a favore dell’uomo. La gioia che nasce dal vangelo è capace di restituire alla vita senso e dignità, porta a scoprire che la vita vale la pena di essere vissuta, pur nella paura, nello smarrimento, nell’anonimato che le nostre città possono generare e ci sprona a cercare punti fermi che nemmeno la sofferenza ha la capacità togliere o smentire. Le crisi di senso (cf. EG 50-109) che sono spesso accompagnate dall’incapacità o dalla fatica di gustare la vita, sembrano essere paradossali in un contesto sociale che ha la pretesa di offrire il contrario. Eppure ancora in modo ancor più paradossale le crisi di senso oggi si rivelano provvidenziali: la drammaticità del vivere, l’eccedenza oscura della vita rispetto ad ogni senso ideale, l’esperienza sempre più dolorosa del limite, della precarietà e della morte, la questione irrisolta del male e del negativo, lo scontro con la differenza e con l’ingiustizia… tutto ciò fa esplodere ogni risposta preconfezionata, ogni falso tentativo di ricondurre la realtà ad un ideale che sta sopra la realtà, che è oltre la realtà, è la crisi di ogni tranquilla presunzione di possedere una identità che non sia dinamicamente in evoluzione. Questa provvidenziale crisi ci consente di prendere congedo dalle false sicurezze per iniziare veramente un cammino di vita adulta alla ricerca del senso e del significato. Ma se da un lato la crisi ci apre alla possibilità di dare nuovo e rinnovato fondamento alla nostra fiducia nel Dio della vita, dall’altro non ci esonera dalle comuni tentazioni di risposta alla crisi; la via di riuscita risulta essere la consapevolezza della necessità di gerarchizzare le tensioni fondamentali riconoscendo praticamente che il tempo è superiore allo spazio, l’unità prevale sul conflitto, la realtà è più importante dell’idea, il tutto è superiore alla parte (EG 217-237).
La gioia del Vangelo è dono dello Spirito, solo lo Spirito è capace di generare la gioia della consolazione<p> Ignazio di Loyola, Esercizi Spirituali [315; 316; 329] <p/>, che spinge verso la capacità di amare Dio in tutte le cose e tutte le cose in Dio, dove l’amore si qualifica come la più alta via di senso e di testimonianza. La gioia coinvolge, mossa da desiderio di diffondere e di comunicare ad altri la via possibile della felicità. Questo è il senso della testimonianza: vivere la gioia per risvegliare in altri il desiderio della ricerca del loro personale percorso verso la sensatezza della vita che, necessariamente, si manifesta nella qualità alta delle relazioni umane, ricordandoci che una relazione impegnata con il Signore non può non impegnarci a favore di altri. La relazione e il dialogo sono gli strumenti per scoprire che la ricerca di senso non è assente dal cuore dell’uomo, è semmai assopita e la testimonianza di una vita vissuta nella sensatezza ha la capacità di risvegliarla. L’essere umano nella relazione interpersonale matura e sviluppa la capacità di convivere e collaborare con altri nel rispetto della diversità nell’accoglienza del limite e nella valorizzazione delle risorse. Il dialogo ha valore in se stesso, si giustifica nella relazione umana per il semplice fatto che ogni persona ha bisogno di essere compresa quanto di comprendere, di essere accolta quanto di accogliere.
La gioia che nasce dall’aver accolto la Buona Notizia ci accompagna verso uno stile di vita caratterizzato dalla essenzialità e dalla sobrietà, in quella tensione dinamica di una vita autentica, in via di semplificazione, dove i pensieri, i gesti e le parole sono concordi e convergenti, orientati alla cura di ogni uomo nel cuore delle nostre città.
Francesca Balocco