Chiaro Mario
Il rischio di essere cristiani
2015/4, p. 22
Dossier America Latina diffuso nel mese di marzo di quest’anno esprime preoccupazione perché sul continente «la vita per i cristiani sta diventando più difficile». Le due fonti principali di persecuzione in A.L. sembrano essere la corruzione endemica dei sistemi statuali e la criminalità organizzata messa in grado di operare nel generale clima di impunità.

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Testimoni
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In America Latina e Caraibi
IL RISCHIO
DI ESSERE CRISTIANI
Il Dossier America Latina diffuso nel mese di marzo di quest’anno esprime preoccupazione perché «la vita per i cristiani sta diventando più difficile». Le due fonti principali di persecuzione: corruzione endemica dei sistemi statuali e la criminalità organizzata nel generale clima di impunità.
L’America Latina registra il maggior numero di fedeli cattolici del mondo (43%) e la loro densità più alta (tra il 60% e il 90% della popolazione). Essi vivono in un continente di circa 580 milioni di abitanti, di cui oltre 200 milioni sotto la soglia di povertà. L’America Latina registra, insieme all’Europa, i più rilevanti abbandoni e la maggiore debolezza istituzionale: è presente solo il 16,3% dei preti del mondo (un sacerdote ogni 7mila fedeli) e le religiose sono il 16,9% del totale mondiale.
La Chiesa cattolica oggi è posta di fatto al livello delle altre confessioni religiose: i praticanti sono il 10%, mentre il 90% vive ai margini della pastorale ordinaria. La secolarizzazione incide sulla società, che è sempre meno in grado di sostenere le comunità cristiane nei processi di generazione e trasmissione della fede (i genitori che chiedono il battesimo per i figli sono circa il 50%). La perdita di centralità spirituale e sociale è accelerata dal fenomeno esplosivo dei movimenti non cattolici: gli aderenti sono passati dai circa 60mln del 1960 ai 100mln di oggi.
Alla V Conferenza generale di Aparecida (2007) si è lanciato un Piano globale nel quadriennio 2011-2015 per animare e sostenere la cosiddetta “missione continentale”, un servizio collegiale nato per rispondere alle necessità delle 22 Conferenze episcopali del continente, ma soprattutto per fronteggiare la crescita dei nuovi gruppi evangelicali e protestanti. Alcuni analisti osservano che, se l’evoluzione dovesse procedere secondo questi ritmi, nel 2035 la percentuale di cattolici e protestanti sarà la stessa (41%), mentre ci sarà un 16% di persone che non professano alcuna appartenenza.
I complessi scenari
della libertà religiosa
La maggior parte dei paesi latinoamericani è oggi caratterizzata da grande diversità religiosa, frutto dell’integrazione dell’America del Sud nell’economia globale durante tutto il XIX secolo. L’importante flusso migratorio nel primo ‘900 (verso Argentina, Cile, Uruguay, Colombia e Venezuela) ha lasciato importanti segni di tale pluralismo: per esempio, nella cattolica Buenos Aires c’è una popolazione ebraica di circa 200mila persone con una dozzina di sinagoghe; ci sono argentini di origine siro-libanese (un milione) per lo più cristiani, mentre oltre 100mila sono i credenti di fede islamica.
Con l’indipendenza da Spagna e Portogallo, i paesi dell’America Latina sono diventati repubbliche autonome e hanno adottato il loro medesimo schema costituzionale di riconoscimento della libertà religiosa o almeno della libertà di culto: lo Stato afferma il suo controllo sulla Chiesa e, in molti casi, rende il cattolicesimo la religione ufficiale. In alcune nazioni l’amministrazione statale ha addirittura deciso di finanziare la Chiesa cattolica, in altre l’atteggiamento è stato condizionato da coloro che si sono trovati al potere: per esempio in Messico, a seguito della costituzione rivoluzionaria del 1917, tutti i beni ecclesiastici furono espropriati e si ebbe l’abolizione delle scuole cattoliche; in Cile invece, nello stesso periodo, una nuova carta costituzionale tutelava la libertà di coscienza e il libero esercizio di tutte le religioni. Dopo la seconda Guerra mondiale, la libertà religiosa è comunque diventata un principio da promuovere in tutta l’area e oggi, in generale, la legislazione e la prassi vigenti garantiscono libertà di culto e di espressione a tutte le Chiese.
A riguardo del continente sudamericano abbiamo già dato notizia dei 10 operatori pastorali uccisi secondo il Rapporto Fides 2014 (cf. Testimoni 2/2015 pp. 9-12). Come negli anni precedenti, essi sono le vittime di un contesto fatto di degrado morale, povertà economica e culturale, in cui con coraggio e umiltà hanno vissuto l’impegno quotidiano di testimoniare Cristo e il suo vangelo. Una lettura simile emerge anche dal Dossier America Latina diffuso nel mese di marzo di quest’anno da Open Doors (Porte Aperte): l’organizzazione internazionale (non confessionale, ma con radici evangeliche) esprime preoccupazione perché sul continente «la vita per i cristiani sta diventando più difficile». L’agenzia – che cura annualmente una lista dei primi 50 paesi dove esiste una forma di persecuzione contro i cristiani (World Watch List) – ha puntato l’attenzione su alcune specifiche nazioni latinoamericane, cercando di approfondire la complessa pressione causata dalle dinamiche di esclusione sociale sperimentate da molte persone, combinate con la generale mancanza di sicurezza. Le due fonti principali di persecuzione in America Latina sembrano essere la corruzione endemica dei sistemi statuali e la criminalità organizzata messa in grado di operare nel generale clima di impunità (osservati speciali: Colombia, Messico e America Centrale). Preoccupazione suscita anche un certo antagonismo tribale, che genera nuove forme di vessazioni da parte degli aderenti a religioni tradizionali nei confronti di indigeni che si convertono al cristianesimo (osservati speciali: Guatemala e Bolivia, oltre ancora a Colombia e Messico). Vanno poi ricordate altre fonti discriminatorie, quali l’oppressione ideologica (in forme diverse a Cuba, Venezuela e Nicaragua) e un certo clima di secolarismo intollerante derivante dall’erosione della comprensione del ruolo che la religione svolge nella vita pubblica.
Caratteristiche
della persecuzione in A.L.
La prima delle cinque nazioni dell’America Latina messa sotto la lente è la Colombia (35° posto nella Lista 2015): qui la dinamica persecutoria più persistente è quella generata dalle organizzazioni mafiose e criminali (narcos, bande criminali emergenti (bacrim), guerriglieri paramilitari ecc.) e dalla corruzione organizzata. Un segnale eclatante c’è stato nel maggio 2014, in prossimità delle elezioni presidenziali: le Farc (Forze armate rivoluzionarie della Colombia, organizzazione guerrigliera di matrice comunista fondata nel 1964) hanno ordinato la chiusura di alcune chiese e impedito la predicazione a una decina di pastori sotto minaccia di violente rappresaglie.
In Messico, che occupa il 38° posto della Lista, si assiste in questi anni a una «progressione della criminalità organizzata e della registrazione di incidenti violenti contro i cristiani». Tale escalation è legata al fatto che, nell’ultimo periodo, la base più importante di crimini legati alla droga e alla connessione con i trafficanti di droga si è andata spostando dalla Colombia all’area dell’America centrale e al Messico. A Cuba invece la situazione è divenuta più sostenibile rispetto alla severa persecuzione patita nei decenni passati; tuttavia «persistono restrizioni di vario tipo, retaggio del regime comunista. Dunque sono soprattutto le autorità governative a presentare il conto ai cristiani».
In Venezuela c’è al momento un governo rivoluzionario, che cerca di massimizzare la sua influenza sulla vita dei cittadini: «Le tensioni tra il presidente Nicolas Maduro e la leadership della Chiesa cattolica ed evangelica sono in aumento. Secondo gli analisti, le libertà individuali sono parzialmente ristrette e «i cittadini si vedono restringere il campo delle libertà individuali altrove totalmente ammesse». Infine, la Bolivia ha legalizzato le piantagioni di coca, «aprendo le porte all’influenza dei grossi cartelli di criminalità organizzata, da quando il presidente Evo Morales è al potere (2007)». Vi sono rapporti chiari che parlano di «restrizioni alla libertà delle chiese evangeliche soprattutto pentecostali». Nel complesso, dal Dossier emerge chiaramente che molte recenti gravi notizie di sparizioni e uccisioni brutali in America Latina sono dovute al fenomeno dell’emigrazione del crimine organizzato all’interno del continente. «Mio marito era un pastore ed era attivamente impegnato nel campo dei diritti umani. Era diventato una minaccia per le bande criminali locali ed è stato assassinato”, afferma una vedova fuggita da El Salvador, una delle nazioni centramericane estremamente violente, assieme al Guatemala e Honduras».
La novità dello studio di “Porte Aperte” riguarda però «un risveglio indigeno che riporta in vita le culture pre-colombiane e con esse appare l’imposizione di antichi riti alle comunità indigene, un ritorno alla stregoneria e un innalzamento del livello dell’antagonismo tribale». Così accade che le autorità indigene che godono di ampia autonomia (per esempio, in alcune aree della Colombia) tagliano fuori gli indigeni convertiti al cristianesimo dai servizi sociali di base (scuola, sanità, ecc.), instaurando sistemi di governo locale antidemocratici. Il governo centrale chiude un occhio e «famiglie intere di cristiani subiscono vessazioni di vario tipo, anche violenze, incarceramento, fino all’espulsione dalle loro terre. Vi sono centinaia di famiglie profughe interne nel loro stesso paese, costrette ad abbandonare tutto a causa della loro nuova fede in Gesù».
Interessante anche la sottolineatura circa «la diffusione dell’occultismo», che è oggi «un fenomeno unico e preoccupante di potenziale persecuzione contro i cristiani». Secondo l’agenzia, tale fenomeno può essere analizzato da tre angolazioni: a) crescita della presenza del satanismo come vera e propria religione; b) ritorno della stregoneria come parte integrante dei rituali e del sistema di credenze indigene; c) influenza delle credenze indigene nei riti e nelle pratiche cattoliche. A titolo di esempio si ricorda che il movimento Santa Muerte, iniziato trent’anni fa in Messico, è diventato oggi particolarmente violento: alcuni membri dichiarano di uccidere e rapire non solo per denaro, ma anche per “servire Satana”. I capi del crimine organizzato, con l’intento di proteggere traffici di droga o le proprietà dei trafficanti, lanciano fatture e maledizioni contro i nemici e invocano gli spiriti per difendere la loro causa: «come si può facilmente immaginare, i signori del crimine considerano i cristiani come una minaccia».
In sintesi, «sebbene compongano la stragrande maggioranza della popolazione e molti possano esprimersi liberamente, i cristiani e le Chiese attivamente coinvolti nel sociale o visibili nella società, sono spesso bersagli delle bande criminali o delle autorità indigene (che a volte si servono proprio delle bande criminali per minacciare, opprimere e aggredire i cristiani)». L’invito finale di “Porte Aperte” è quindi quello di aumentare l’attenzione su ciò che accade in Sud America, non solo per il grande numero di cristiani presenti, ma anche per la vitalità religiosa di un continente in cui si combinano forti Chiese storicamente stabili con il dinamismo dei nuovi movimenti religiosi. Secondo esperti osservatori, oggi la libertà religiosa in America Latina ha tre percorsi da seguire: la rimozione di vincoli formali e informali a carico delle organizzazioni religiose; la concertazione e la cooperazione su questioni di interesse comune tra i vari gruppi religiosi, soprattutto evangelici e cattolici; la concessione, da parte delle autorità statali della regione, di uno spazio più ampio alla religione nella vita nazionale. L’azione di papa Bergoglio, che da arcivescovo di Buenos Aires aveva aperto la strada a un modo unico di dialogare e di collaborare tra le religioni, può avere solo un effetto positivo su tutti e tre i percorsi.
Mario Chiaro