Cecconi Antonio
Una vita tutta di carità
2015/4, p. 12
Fu un grande artefice e testimone di carità evangelica. Tocca a tutti noi ora accogliere con gratitudine l’eredità di questo autentico costruttore di Chiesa, una Chiesa fedele al Concilio Vaticano II, di cui in Italia la Caritas è stata forse uno dei risultati più significativi e coerenti.
La scomparsa di mons. Giuseppe Pasini (1932-215)
UNa VITA
TUTTA DI CARITÀ
Fu un grande artefice e testimone di carità evangelica. Tocca a tutti noi ora accogliere con gratitudine l’eredità di questo autentico costruttore di Chiesa, una Chiesa fedele al Concilio Vaticano II, di cui in Italia la Caritas è stata uno dei risultati più significativi e coerenti.
Al momento di lasciare Caritas Italiana, mons. Giuseppe Pasini rivelò a tutto il personale riunito per il saluto un piccolo grande segreto: nelle sue preghiere quotidiane non mancava mai un pensiero per tutti i suoi collaboratori, ricordandoli al Signore uno per uno. Questo era anche, o soprattutto, don Giuseppe: un uomo di preghiera, di una preghiera vissuta intensamente come fedeltà a Dio e inseparabile dall’impegno totalizzante nella Chiesa, per una Chiesa capace di dedizione incondizionata alla causa dei poveri. E quindi, attraverso la Caritas, come intelligente opera pedagogica di una carità da testimoniare percorrendo i sentieri della giustizia e della pace e rivolgendo una proposta formativa e un’autentica “cultura della carità” al ventaglio più ampio possibile di destinatari: vescovi, preti e seminaristi, religiosi e religiose, diocesi e parrocchie, volontari cattolici e laici, obiettori di coscienza, ragazze che senza obblighi di legge si inventavano un anno di volontariato, famiglie aperte (o da aprire) all’accoglienza, politici e pubblici amministratori chiamati a costruire la città dell’uomo nella giustizia e nella solidarietà.
Il suo arrivo
alla Caritas
Arrivò alla Caritas Italiana poco dopo la costituzione del nuovo organismo pastorale voluto da Paolo VI e affidato al coraggio lungimirante di mons. Giovanni Nervo, altro prete padovano. Don Pasini era già a Roma, chiamato dalla diocesi di Padova nel 1967 come vice-assistente nazionale delle ACLI per dedicarsi soprattutto alla cura pastorale della “gioventù aclista”. Anni di fermento sociale ed ecclesiale, di forte attenzione verso una giustizia sociale che molti cristiani vedevano praticabile soltanto attraverso “scelte di campo” viste con sospetto o addirittura con paura dalle gerarchie ecclesiastiche e dai cattolici benpensanti. Di qui la decisione di “ritirare” dalle ACLI gli assistenti ecclesiastici e quindi “liberare” dall’incarico quei preti che non avevano già provveduto in proprio.
E così, nel 1972, don Giuseppe affianca don Giovanni costituendo un “tandem” ineguagliabile di intelligenze e di cuori, di visione pastorale e sensibilità sociale, di tensione educativa e dedizione alla causa dei poveri. Saranno anni di lavoro intenso e appassionato, tali da portare la quasi totalità delle diocesi italiane ad attivare le Caritas diocesane come organismi pastorali: non solo e non tanto dedite alla pratica delle opere di carità, ma ad un’azione pedagogica volta a rendere ogni comunità cristiana soggetto di testimonianza di carità attraverso risposte consone ai tempi e ai bisogni, capaci di “leggere” l’emarginazione e il disagio emergenti e di progettare risposte adeguate, in particolare attraverso la promozione e la formazione del volontariato.
Se la Caritas è diventata una presenza significativa sia in ambito ecclesiale, sia per la società civile, le pubbliche amministrazioni e i mass-media, tutto ciò è frutto di una sapiente progettazione pastorale e di una presenza assidua e capillare a livello regionale e diocesano. Nascevano anno dopo anno percorsi di formazione, seminari di ricerca, disponibilità ad accompagnare i cammini, proposte diversificate per i vari ambiti d’intervento e sempre attente all’evoluzione/involuzione sociale sul versante delle povertà e dell’esclusione sociale. I convegni nazionali e le numerose proposte formative erano occasione per ascoltare esperti di altissimo livello, arricchirsi reciprocamente con lo scambio delle esperienze, far tesoro di metodologie formative aggiornate.
Con il cuore
alle emergenze
Un aspetto decisivo per far conoscere e qualificare la Caritas, anche di fronte all’opinione pubblica, è stato quello di sollecitare e coordinare la risposta generosa della chiesa italiana nelle emergenze interne e internazionali. A partire dal terremoto del Friuli, la proposta dei gemellaggi tra parrocchie colpite e diocesi solidali divenne una forte occasione di crescita per chi donava e per chi riceveva, un’autentica palestra di solidarietà e reciprocità che andò estendendosi e perfezionandosi in molte altre calamità interne, purtroppo ricorrenti. Contemporaneamente non mancava la presenza tempestiva nelle emergenze internazionali, che in molti casi diede luogo a interventi durevoli di riabilitazione e sviluppo in numerosi paesi devastati dalle carestie e dalla siccità, dalle calamità e dalle guerre.
Uno dei primi significativi impegni fu l’accoglienza in varie diocesi italiane dei boat-people, i profughi del Viet Nam e della Cambogia. In tutte quelle situazioni, Nervo e Pasini salivano sul primo treno o il primo aereo disponibile per essere in mezzo alla gente e accanto ai vescovi e ai preti sottoposti alle prove più dure, e partendo dai contatti sul posto lanciare collette, fare appello alla disponibilità di volontari qualificati, impostare programmi di prima emergenza, riabilitazione, accompagnamento.
L’attenzione
ai più deboli
Ma la memoria del servizio ecclesiale di don Giuseppe resterebbe gravemente incompleta senza fare qualche cenno allo sviluppo di una caratteristica costitutiva di Caritas Italiana, chiamata statutariamente a promuovere la testimonianza della carità “in vista dello sviluppo integrale dell’uomo, della giustizia sociale e della pace” (Art. 1 dello Statuto). Giustizia sociale e pace hanno costituito in certo senso il binario su cui Caritas ha prima camminato e poi corso per essere fedele al compito di animazione della carità. Giustizia sociale significò, in particolare nel decennio in cui Pasini fu direttore, forte e costante attenzione alla legislazione sociale in vista della centralità della persona e in particolare delle fasce sociali più deboli.
Tra le tante prese di posizione, mi limito a citare un suo intervento nel 1994 allorché si appellò “al presidente della repubblica, quale garante della solidarietà nazionale sancita dalla Costituzione, richiamando due rischi: quello delle generiche dichiarazioni di solidarietà, che di fatto dissimulano sprechi di risorse e coperture di privilegi corporativi; e quello del ritorno (...) a quel tipo di liberismo che di fatto annulla lo stato sociale e confina la solidarietà nell’area delle scelte volontaristiche, anziché collocarla in una preciso progetto sociale”.
In numerose occasioni la Caritas pungolava il governo e il parlamento: per un nuovo assetto dei servizi alla persona in chiave non assistenziale ma promozionale; per l’accoglienza degli immigrati, l’asilo politico, il sostegno alla cooperazione allo sviluppo; per dare più posto ai bisogni e diritti dei più poveri nella legge finanziaria dello stato; per valorizzare il servizio civile dei giovani.
Da questa costante attenzione a livello nazionale derivavano significative ricadute sui territori: molte Caritas diocesane e anche parrocchiali si facevano interlocutrici delle istituzioni locali, a partire dai comuni, per adeguare le politiche sociali agli effettivi bisogni; la carità non diventava il sostituto della giustizia, ma promotrice di giustizia, e il volontariato era sollecitato non solo a prendersi cura degli ultimi, ma anche a farsene avvocato difensore.
Impegno per la pace
e la riconciliazione
L’attenzione al tema della pace e a tutto ciò che ad essa si collega, trovava significativi sviluppi soprattutto in due direzioni: impegno di ricostruzione e riabilitazione nei territori devastati da guerre e conflitti, con interventi attenti alla dimensione della riconciliazione; sostegno alla scelta dei giovani che, per motivi di coscienza riconducibili al valore religioso, etico e sociale della pace, facevano obiezione di coscienza e svolgevano il servizio civile. La Caritas di Pasini arrivò a essere il più consistente ente di servizio civile, con quote annuali di quasi 5.000 obiettori impiegati in circa 180 diocesi. Non si trattava soltanto di valorizzare le energie dei giovani nei centri operativi (al servizio di disabili, anziani, tossicodipendenti, minori a rischio e altri volti del bisogno e della marginalità...), ma anche di orientare il desiderio di pace attraverso percorsi educativi alla nonviolenza, alla mondialità, alla legalità. Nel volume “Carità quinto Vangelo” (EDB, 1998), quasi la summa delle riflessioni teologiche, pastorali e spirituali di don Giuseppe, leggiamo: «La parola più antiumana del vocabolario è “nemico”: porta in sé germi di disgregazione, sentimenti di rancore, voglia di rivalsa, propositi di morte. L’idea di nemico cancella quella di perdono. Il nemico che ho perdonato non è più mio nemico. Il perdono è il primo passo per la riconciliazione, chi ama veramente la pace vive e diffonde idee e esperienze di perdono e di riconciliazione”.
La riconciliazione era un faro anche di fronte alle guerre e ai conflitti internazionali (penso in particolare all’ex-Yugoslavia e al Ruanda), e l’attivazione da parte di Caritas Italiana di interventi e progetti di riabilitazione che contenevano sempre la dimensione della riconciliazione: scuole interetniche in Bosnia Erzegovina, sostegno alle famiglie ruandesi che accoglievano orfani dell’etnia rivale. In Somalia si verificò una delle prove più dure per Pasini e per tutta la Caritas, con l’uccisione nell’ottobre 1995 di Graziella Fumagalli, il medico che dirigeva l’ospedale antitubercolare di Merka. Su Italia Caritas don Giuseppe scrisse: «Graziella va considerata la nostra rappresentante, prima presso i poveri, ora presso Dio».
Verso la fine del suo mandato, nell’anno pastorale 1994-95, Pasini e i suoi più stretti collaboratori fecero la scelta di un “anno sabbatico”: riduzione delle attività ordinarie e soste per momenti residenziali di riflessione e preghiera che coinvolgevano la Presidenza e il Consiglio nazionale, il personale interno, un gruppo di direttori e collaboratori diocesani. Quell’intenso lavoro di approfondimento spirituale e pastorale sfociò nella Carta pastorale “Lo riconobbero nello spezzare il pane”: una rilettura dello statuto alla luce delle mutate condizioni storiche, sociali ed ecclesiali, che approdò alla stesura definitiva dopo la consultazione di tutte le Caritas diocesane. Don Giuseppe fu il regista di un’autentica esperienza di sinodalità (= cammino fatto insieme) che produsse un testo essenziale, profondo e ancora attualissimo sul rapporto Chiesa/carità.
Successore di mons. Nervo
alla Fondazione Zancan
Terminati gli anni della Caritas, ha continuato a far fruttare la sua profonda cultura sia teologica che sociopolitica nella Fondazione Zancan, succedendo anche qui a mons. Nervo in un prezioso lavoro di ricerca e formazione sulle politiche e i servizi sociali.
Tocca a tutti noi accogliere con gratitudine l’eredità di un autentico costruttore di Chiesa, una Chiesa fedele al Concilio Vaticano II, di cui in Italia la Caritas è stata forse uno dei risultati più significativi e coerenti. A chi ha avuto la ventura di vivere la Caritas di Pasini e Nervo, ma anche di incontrare nella “famiglia Caritas” altri preti eccezionali come Luigi Di Liegro, Italo Calabrò, Piero Tubino, di averli come maestri/testimoni e fare insieme con loro un tratto di strada, è successo un po’ come quei nani che riescono a guardare lontano perché portati sulle spalle dai giganti. Poi le vicende ecclesiali hanno fatto temere che dopo quella stagione ricca di fiori e di frutti fosse arrivato l’inverno delle cautele legalistiche, degli equilibrismi ecclesiastici, della sottomissione alle ragioni dei potenti di turno. Ma quella “fantasia della carità” che rischiava di perdersi in documenti destinati all’oblio non è la stessa che anima il magistero e batte nel cuore di Papa Francesco?
don Antonio Cecconi