Resilienza. Mai arrendersi!
2015/4, p. 5
Come stare di fronte alle vicende alterne della vita? In che modo persona e comunità possono giungere a vivere in modo positivo anche gli eventi difficili e divenire sempre più capaci di perseveranza ed efficacia?
Capacità di continuare il cammino
RESILIENZA
MAI ARRENDERSI!
Come stare di fronte alle vicende alterne della vita? In che modo persona e comunità possono giungere a vivere in modo positivo anche gli eventi difficili e divenire sempre più capaci di perseveranza ed efficacia?
La parola è nuova e proviene dall’ambito scientifico. L’indice di resilienza è un sistema di misurazione che indica la capacità di un materiale di resistere agli urti. Ma da qualche tempo il termine resilienza sta a indicare la capacità di persone e gruppi di resistere, di opporsi positivamente alle avversità della vita.
In campo psicologico, infatti, la resilienza viene definita come la capacità di far fronte in modo positivo agli eventi traumatici, di riorganizzare positivamente la propria vita davanti alle difficoltà. Nella vita consacrata questa parola un po’ esotica esprime – con una sorta di vernissage linguistico – l’insieme di perseveranza e costanza, o del gesuitico agere contra, concetti che da sempre fanno parte della tradizione ascetica cristiana.
In tempi di crisi come i nostri, ci sembra opportuno ribadire l’attualità di questo atteggiamento, sia a livello personale che comunitario, sulla scia di un recente articolo apparso sulla rivista dei gesuiti americani Human Development.
Resilienza
personale
La vita è complessa. Problemi e difficoltà non si annunciano e non chiedono il permesso. Ma non tutti rispondiamo allo stesso modo alle sfide quotidiane.
In definitiva, la resilienza è la capacità di recupero di un individuo, o di una comunità, di fronte alle sfide della vita quotidiana, è la qualità positiva del nostro adattamento che ci vede capaci di una maggior capacità di flessibilità e disponibili ad affrontare le sfide future. Comporta, quindi, un atteggiamento di reazione creativa costruttiva al cambiamento, riconosciuto come parte integrante della vita.
Il riferimento al “cambiamento” potrebbe risultare scontato per chi ha una visione della vita di tipo dinamico. Ma ciò che è chiaro a livello teorico non sempre è recepito e assimilato a livello esperienziale. Saremo pure convinti che il cammino verso la pienezza della nostra identità sta davanti a noi, nel futuro, e si costruisce nel tempo... ma quante resistenze a mettere in questione la nostra condizione presente, e quanta fatica a rischiare le certezze di oggi in nome di qualcosa che ancora non abbiamo saldamente nelle mani!
Questa elasticità interiore, questa capacità di recupero sono tutt’altro che spontanee. Per quanto le si possa collegare a un impulso dettato dall’istinto di sopravvivenza, da solo questo non basta per accettare di buon grado il cambiamento. E nemmeno può essere considerata una capacità appresa dall’ambiente culturale per un processo d’imitazione o di mera identificazione.
Se la resilienza è capacità di sostenere le avversità della vita e riorganizzarla creativamente, ciò è possibile quando la propria vita è organizzata intenzionalmente attorno a un ideale che riteniamo tanto importante e vitale da occupare il centro della nostra attenzione cognitiva, emotiva e spirituale.
Gli studiosi ci informano che la resilienza è data dall’insieme di recupero e sostenibilità: il primo inteso come la prontezza a tornare a uno stato di equilibrio e di benessere dopo un evento stressante; la seconda intesa come capacità di continuare il cammino anche di fronte alle difficoltà, rimanendo impegnati nei compiti quotidiani della vita (lavoro, relazioni interpersonali...).
È evidente che a tali disposizioni contribuiscono elementi legati alle caratteristiche intrapsichiche, alla storia evolutiva e al sistema di valori individuali. La resilienza, infatti, è il risultato dell’interazione di capacità relazionale, processo emotivo e autocoscienza.
La capacità relazionale affonda le sue radici nella fiducia accordata a sé e agli altri. Corrisponde – come insegna la teoria dell’attaccamento di Bolwby – a quanto credo che gli altri siano in grado di rispondere ai miei bisogni e, aggiungiamo, di condividere i miei ideali; ma comprende anche quanto mi sento degno della stima e attenzione degli altri. Aspetto, questo, legato al valore che riconosco a me stesso, all’impegno con cui affronto i compiti della vita e alla capacità di accettare i piccoli o grandi fallimenti della vita. Di fronte alle difficoltà, quelli che si vedono degni di attenzione e credono gli altri capaci e disponibili ad aiutarli sono capaci di cercare l’aiuto necessario per alleviare l’impatto negativo di eventi avversi.
Alla resilienza contribuiscono anche la capacità di amare e di giocare. Essere in grado di stabilire e mantenere relazioni affettive caratterizzate da impegno e fedeltà è qualcosa che mitiga lo stress e le avversità ed è correlato positivamente con la longevità. Anche il gioco, inteso come attività simbolica che invita all’apertura alle sfide nella vita, può aiutare a sostenere l’impatto con le avversità della vita e costruire resilienza.
La capacità di relazione, evidentemente, comporta anche una relazione positiva con se stessi i cui ingredienti sono un’identità integrata, la capacità di auto-comprensione e d’impegno, soprattutto in riferimento alle esperienze più difficili della propria vita comprese, nonostante tutto, come significative.
Molte ricerche sottolineano l’aspetto benefico delle emozioni positive sulla salute e sulla capacità di adattamento della persona. Imparare a gestire il processo emotivo personale attraverso un’espressione appropriata delle emozioni in qualità e intensità, rispetto alle richieste ambientali, è un compito evolutivo decisivo in ordine alla relazione interpersonale e alla capacità di comprendere gli altri e i loro stati d’animo. È una delle condizioni che ci mette in grado di ammettere le nostre difficoltà e chiedere aiuto in vista di un loro superamento.
Questa capacità di percezione profonda e riconoscimento dei propri bisogni è fondamentale per saper far fronte alla realtà. Essa affonda le sue radici in esperienze consistenti di empatia che approfondiscono la nostra capacità di autocoscienza nelle relazioni con gli altri e con la realtà, facendoci consapevoli dell’unicità nostra e altrui.
La consapevolezza di sé e della nostra unicità crea le condizioni per accettare anche l’altro così com’è. Ciò permette e rafforza la resilienza che è anche capacità di accettare ciò che non può essere cambiato, abbracciare la vita che ci è stata data. «La persona resiliente – afferma Mikail – è un individuo impegnato, capace di usare i propri talenti, capacità ed energie in modo efficace e produttivo; uno che accoglie la sfida e si compiace di portare a compimento le cose».
Resilienza
comunitaria
Come per la resilienza individuale, la resilienza comunitaria non è una caratteristica statica ma un processo dinamico che fa capace la comunità di accogliere le richieste di un ambiente che cambia e, insieme, riesce ad anticipare e provocare il cambiamento, sia nelle persone come nel gruppo. Significa essere un sistema che produce la sua capacità di rispondere alle sfide e al cambiamento nel tempo.
Gli studiosi della resilienza comunitaria mettono in evidenza da prospettive diverse – non necessariamente contrastanti – alcuni tratti che la definiscono. Per alcuni essa è definita dalla misura in cui una comunità è impegnata a favorire la capacità dei suoi membri di sviluppare e sostenere un senso di benessere. Per altri, la comunità resiliente è costantemente impegnata a costruire il suo futuro piuttosto che impegnata a difendere il suo passato.
Questa posizione è particolarmente significativa per la vita consacrata, che generalmente si trova a che fare con l’eredità di un grande patrimonio storico, un presente da interpretare e un futuro da costruire alla luce del carisma. Ogni ordine e congregazione– in modo più o meno consapevole – vive il valore del carisma nell’equilibrio di due fondamentali atteggiamenti: onore per la propria storia e apertura al cambio. Il primo atteggiamento non ci fa difficoltà. Il secondo già riesce più problematico e richiede maggior capacità di resilienza: la comunità deve mantenere salda, cioè, la propria funzione e struttura di fronte ai cambiamenti interni ed esterni. Quando si verificano momenti di crisi a motivo delle sfide culturali, delle sorprese di cambiamenti imprevedibili, i membri di una comunità resiliente riescono a riconoscere le proprie risorse, le mettono in gioco e cercano di approfondirle tenendo presenti i dati di una realtà che cambia e chiede un tipo di presenza adeguata. Perché lo scopo di una comunità è l’impegno costante per costruire il futuro più che la difesa continua di un passato che ha già espresso il suo valore.
Se questo è vero, la resilienza non è una capacità innata, ma un processo intenzionale da imparare e praticare alla luce di alcuni aspetti favorevoli, come la ridondanza, la robustezza e la flessibilità. La ridondanza assicura un “eccesso” di capacità che permette alla comunità di rispondere alle sfide esterne anche quando uno dei componenti fallisce o è indisponibile. La robustezza dice riferimento al benessere fisico, psicologico e spirituale. Istituzioni e individui devono sempre vigilare per assicurare strumenti e opportunità che permettano ai membri di mantenersi in una condizione di benessere, a tutti i livelli, che fa bene a sé e agli altri. La flessibilità è la capacità di trovare risposte veloci, adattive e agili per far fronte alle condizioni mutevoli dell’ambiente. È capacità di pensare in modo nuovo, andando oltre le forme convenzionali, è decisione di vivere e non solo di sopravvivere al pericolo dell’estinzione.
Allora bisogna imparare a vivere prendendo rischi senza paura del fallimento, di critiche o punizioni. È lo stile di comunità capaci di creare e sostenere una cultura che permette di rischiare senza paura della vergogna o dell’umiliazione, comunità più equipaggiate per rispondere agli imprevisti con maggiore flessibilità. Questo stile si riscontra più facilmente in una comunità in cui prevale l’interdipendenza tra i membri più che una dipendenza sottomessa o una indipendenza improduttiva, causa di continue tensioni interne.
Uno stile di questo tipo presuppone una comunicazione profonda, che non consiste solo nella condivisione dell’informazione, ma soprattutto nell’assicurare a tutti i membri la possibilità di mettere a frutto i propri talenti, le proprie competenze in vista degli ideali e valori vocazionali.
Possibili
ostacoli
Alcune dinamiche comunitarie possono ostacolare, o anche limitare, la capacità di resilienza.
Un primo problema è dato dalla dinamica cognitiva, cioè il modo in cui una comunità vede se stessa e l’ambiente in cui vive e opera. Per esempio, comunità che vivono un atteggiamento di negazione – riscontrabile in un’evidente nostalgia del passato o nell’arrogante certezza di saper sostenere i cambiamenti sociali – avranno difficoltà a capire come realizzare al meglio la loro missione. C’è bisogno di umiltà e realismo per vivere il proprio carisma in un mondo che cambia.
Un secondo elemento problematico è dato dal fattore umano. Un errore nel riconoscere e governare l’impatto penalizzante di membri problematici rende meno efficaci nel dare risposte alle sfide esterne. Anche un certo rispetto per persone che sono state leader, e ora sono anziani, porta a non governare adeguatamente a motivo di timori reverenziali che rivelano autonomia e senso di responsabilità inadeguate.
Un terzo elemento problematico è dato dalla presenza di leader con una prospettiva ristretta. Leader di questo tipo possono avere difficoltà a rispondere alle domande di cambiamento o ai pericoli per la comunità e la sua missione. Sono quei leader sempre impegnati a passare da una crisi all’altra, o per motivi di ansia personale o per la difficoltà a prevedere le necessità ambientali, con il risultato di vivere in costante situazione di emergenza e non avere una linea da portare avanti che esprima una governance sintonizzata col tempo e la cultura in cui si vive.
La resilienza, in sintesi, è il risultato della combinazione di esperienza, disposizione e decisione, aspetti della personalità che possono formarsi e crescere solo con l’impegno di un’intenzionalità libera e consapevole.
Enzo Brena