Chiaro Mario
Per un mondo senza frontiere
2015/3, p. 20
Il tema delle migrazioni, prima di essere un problema di sicurezza nazionale o di sviluppo economico o di integrazione multiculturale va visto come enorme movimento di esseri umani sospinti dal bisogno insopprimibile di cercare soluzioni più degne di vita.

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Testimoni
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Il dramma dei migranti e rifugiati
PER UN MONDO
SENZA FRONTIERE
Il tema delle migrazioni, prima di essere un problema di sicurezza nazionale o di sviluppo economico o di integrazione multiculturale, va visto come enorme movimento di esseri umani sospinti dal bisogno insopprimibile di cercare soluzioni più degne di vita.
Secondo i dati raccolti dall’Alto Commissariato Onu per i rifugiati (UNHCR) nei primi sei mesi del 2014, le guerre in atto hanno provocato la fuga di 5,5mln di persone nel mondo (di queste 1,4 ha dovuto lasciare il proprio paese). I siriani sono i più perseguitati (3mln assistiti da UNHCR), mentre gli afgani, al vertice delle classifiche per trent’anni, oggi sono 2,7mln. Seguono 1,1mln di somali, 670mila sudanesi, 509mila sudanesi del sud, 493mila della Repubblica democratica del Congo, 480mila del Myanmar e 426mila del Ciad. «Fintanto che la comunità internazionale continuerà a fallire i tentativi di trovare soluzioni politiche ai conflitti esistenti e di prevenirne di nuovi, noi ci troveremo ad avere a che fare con le drammatiche conseguenze umanitarie» ha affermato l’Alto Commissario ONU, António Guterres. «I costi economici, sociali e umani di assistere i rifugiati e gli sfollati interni è sostenuto soprattutto dalle comunità povere, coloro che possono permetterselo di meno. È un dovere incrementare la solidarietà internazionale se vogliamo evitare il rischio che sempre più persone vulnerabili vengano lasciate senza un adeguato sostegno».
L’aumento dei perseguitati crea una forte crescita di richieste d’asilo: 558.100 quelle del 2014 (18% in più del 2013). Il paese con più richieste è stata la Germania (67.400, il 18% dalla Siria), seguita da USA con 47.500 (6.600 dal Messico, 6.400 dalla Cina, 3.700 da Guatemala e altrettante da El Salvador), Francia con 29.900 (3.100 da Repubblica democratica del Congo, 1.800 da Russia e 1.400 dall’Albania), Svezia con 28.400, Turchia con 27.300 e Italia con 24.500. In 103mila hanno già ottenuto lo status di rifugiati. I progetti di ritorno nei paesi d’origine sono stati 107mila contro i 189mila del 2013; invece i “programmi di resettlement” (insediamento dei profughi in paesi terzi: né in quello d'origine, né in quello d’arrivo), registrano 4.300 casi in più del 2013. L'incremento più evidente, dagli anni Novanta, si registra per gli sfollati interni, passati dai 5mln del 1998 ai 25mln del 2014 (1,4mln quelli che hanno lasciato il paese). Le migrazioni interne per la guerra riguardano 4,1mln di persone nel mondo.
Chiesa senza frontiere
e madre di tutti
Questi dati sono ben presenti nella coscienza degli organismi ecclesiali coinvolti sul campo. Anche a loro è rivolto il Messaggio del papa per la Giornata mondiale del migrante e del rifugiato 2015, (celebrata domenica 18 gennaio) che coniuga il tema delle migrazioni con quello della fraternità e della maternità della Chiesa per costruire un mondo “senza frontiere”. Mons. Francesco Montenegro, presidente della Commissione CEI per le migrazioni e della Fondazione Migrantes, ha sottolineato che occorre «allargare i percorsi di solidarietà e di cooperazione allo sviluppo, accompagnati da percorsi di condivisione tra persone di origini e culture differenti». Rispondendo ai giornalisti, il presule ha osservato anche che dopo i “fatti di Parigi” (contro i vignettisti di Charlie Hebdo e contro gli ebrei) «il timore di ripercussioni sull’immigrazione ci potrebbero essere, anche perché si sta portando avanti una politica della paura che fa comodo a chi gioca con l’immigrazione per i propri interessi»: un gioco che «diventa sporco, perché chi lancia l’allarme tiene le fila per averne un guadagno sempre maggiore». «Noi chiediamo il rispetto, ha aggiunto mons. Montenegro, ma poi non siamo capaci di darlo: abbiamo esportato anche violenza ma poi usiamo due pesi e due misure... Non si può modificare il Trattato di Schengen sulla libera circolazione: il vento non lo ferma nessuno, gli spostamenti dei popoli ci devono far pensare che forse ciò accade perché nel mondo c’è tanta ingiustizia».
Ancora papa Francesco, nel suo discorso al Parlamento europeo (25/11/2014) – dopo aver ricordato che il motto dell’Unione Europea (Unità nella diversità) segna la centralità della persona umana, obbligando a investire sugli ambiti in cui fioriscono i suoi talenti – ha indicato con vigore che tra gli ambiti decisivi c’è quello della migrazione: «Non si può tollerare che il Mar Mediterraneo diventi un grande cimitero! Sui barconi che giungono quotidianamente sulle coste europee ci sono uomini e donne che necessitano di accoglienza e di aiuto. L’assenza di un sostegno reciproco all’interno dell’Unione Europea rischia di incentivare soluzioni particolaristiche al problema, che non tengono conto della dignità umana degli immigrati, favorendo il lavoro schiavo e continue tensioni sociali. L’Europa sarà in grado di far fronte alle problematiche connesse all’immigrazione se saprà proporre con chiarezza la propria identità culturale e mettere in atto legislazioni adeguate che sappiano allo stesso tempo tutelare i diritti dei cittadini europei e garantire l’accoglienza dei migranti; se saprà adottare politiche corrette, coraggiose e concrete che aiutino i loro paesi di origine nello sviluppo socio-politico e nel superamento dei conflitti interni – causa principale di tale fenomeno – invece delle politiche di interesse che aumentano e alimentano tali conflitti. È necessario agire sulle cause e non solo sugli effetti».
Dunque, come cristiani, abbiamo il dovere di non attestarci sulle posizioni di chi riduce il fenomeno migratorio a battaglia politica per racimolare consenso o, all’opposto, a generica spinta di solidarietà: il tema delle migrazioni, prima di essere un problema di sicurezza nazionale o di sviluppo economico o di integrazione multiculturale, va visto come enorme movimento di esseri umani sospinti dal bisogno insopprimibile di cercare soluzioni più degne di vita.
L’Italia
e le vite alla deriva
In Italia, il 2014 è stato anno di forte calo dei migranti economici, che in alcuni casi è diventato anche, per la prima volta, calo degli immigrati a seguito delle partenze. Si evidenzia che il numero degli emigranti italiani (oltre 4mln e 500mila) sta raggiungendo ormai il numero degli immigrati, stimati in circa 5mln. Sono arrivati nel 2014 oltre 170mila immigrati forzati (ma solo 66mila si sono fermati) sulle coste siciliane, diversamente dai tre anni precedenti in cui essi puntavano sull’isola di Lampedusa. Il passaggio dall’isola ai porti meridionali è il risultato dell’operazione denominata “Mare nostrum”, che ha presidiato i confini europei del Mediterraneo, usando navi militari italiane, per intercettare barconi e così colpire oltre 700 trafficanti. Il direttore di Migrantes, mons. Perego, ha espresso il suo disappunto per il fatto che l’operazione, invece di essere fatta propria dall’Europa, dietro insostenibili ragioni economiche, «è stata chiusa e trasformata in una nuova operazione di controllo dei confini. Così il Mediterraneo è diventato di nuovo il mare di altri, di altri trafficanti, di altri interessi, di altre morti».
Intanto, oltre mille viaggi sono avvenuti soprattutto da paesi instabili a livello politico (per guerra, terrorismo, persecuzione religiosa): sono arrivati oltre 42mila siriani e oltre 34mila eritrei. Seguono i provenienti da Mali (quasi 10mila), Nigeria (9mila), Gambia (oltre 8mila), Palestina (circa 6mila), Somalia (oltre 5mila), Senegal (quasi 5mila), Bangladesh (oltre 4mila) ed Egitto (circa 4mila). Secondo il direttore di Migrantes, i dati non consentono di parlare di “invasione”, ma richiedono una politica che affronti la paura diffusa, che ha portato alla nascita di diversi partiti nazionalisti.
In questa direzione, sono proposte tre priorità per l’accoglienza di richiedenti asilo e rifugiati: 1) estendere in tutti i 3mila Comuni italiani sopra i 5mila abitanti almeno un’unità di accoglienza dei richiedenti asilo, con progetti che estendano le strutture di seconda accoglienza (Sistema protezione richiedenti asilo e rifugiati, Sprar) fino ad accogliere 50mila persone; 2) consolidare una rete di prima accoglienza strutturata sul territorio nazionale per 100mila persone, attraverso il mondo dell’associazionismo, della cooperazione sociale e della realtà ecclesiale; 3) chiudere tutti i Centri di identificazione ed espulsione (Cie) in quanto «strumenti di una stagione ideologica e costosissima di trattenimento dei migranti».
Si chiede insomma uno sforzo maggiore non per presidiare le frontiere, ma per superarle a tutela della dignità della persona umana. Questo emerge anche dal Rapporto del Servizio dei gesuiti per i rifugiati (JSR) dal titolo: “Soccorsi – e poi? Richiedenti protezione internazionale abbandonati in Sicilia”. Basandosi su interviste e testimonianze, si dimostra quanto il tanto annunciato “Sistema comune d’asilo europeo”, che dovrebbe garantire standard minimi di protezione e di accoglienza, sia ancora insufficiente. Tra il 2007 e il 2013, l’Unione Europea ha stanziato circa 700mln di euro a sostegno delle procedure d’asilo a fronte di 1.820mln di euro per il controllo delle frontiere. Un anno dopo la tragica morte di quasi 400 migranti davanti alle coste di Lampedusa, l’operazione italiana “Mare Nostrum” ha certo salvato più di 140mila vite umane, ma né l’Italia né gli altri Stati europei hanno fatto abbastanza per rispondere ai bisogni essenziali dei richiedenti asilo. «Salviamo persone in mare perché è la cosa giusta da fare – ha detto S. Kessler, responsabile delle politiche di JSR Europa – ma poi dovremmo penalizzarli perché chiedono asilo? Non ha senso». Nel rapporto risuonano le voci di chi è in fuga da guerre e persecuzioni, persone che si sentono completamente escluse dalla vita degli italiani e soffrono a causa di procedure amministrative lunghe e complesse. «Semplicemente ascoltando i migranti, persone che hanno sacrificato tutto per raggiungere un luogo sicuro – ha spiegato il direttore di JRS Europa, Michael Schöpf – ci si rende conto di quanto le politiche nazionali ed europee non rispettino la loro dignità e non siano in grado di creare opportunità di impiego né di supportare in alcun modo la loro integrazione nelle comunità. Non possiamo continuare a focalizzarci esclusivamente sulla difesa dei confini. Abbiamo l’obbligo internazionale di sviluppare in Europa sistemi d’asilo equi ed efficienti, che proteggano effettivamente le persone e le aiutino a ricostruire le proprie vite».
In Francia il JSR ha istituito una rete di famiglie e comunità religiose per ospitare, fino a quando non troveranno un alloggio stabile, le centinaia di rifugiati e richiedenti asilo che dormono per le strade di Parigi. Nel progetto “Welcome” (fatto di 300 realtà in 15 città francesi) famiglie e comunità forniscono al richiedente asilo un letto e almeno un pasto a settimana; si assegna un tutor per ogni richiedente per aiutarlo con la burocrazia e per offrire un sostegno in vista del suo inserimento nella società. Queste forme di attenzione al rifugiato ci ricordano che egli è simbolo della “nuda vita” che è dentro ognuno di noi, figura spettrale che rivela l’orrore che sta dentro le nostre democrazie, la negazione dei diritti che colpisce tutti (G. Agamben). Perciò è utile oggi accostarsi a memorie di richiedenti asilo. A tal proposito, si suggerisce un libro dal titolo “Tutta la vita in un foglio” (Ed. Lai-momo, Sasso Marconi, Bologna): raccoglie con sapienza memorie rappresentative dei motivi che spingono a partire dal proprio paese: militanza in partiti di opposizione, oppressione familiare sulle decisioni di vita dei giovani, aver commesso un reato in un sistema in cui non ci sono garanzie processuali, contrasti tra gruppi etnici o villaggi, impossibilità di vivere la propria omosessualità senza rischiare la vita, persecuzione religiosa, arruolamenti forzati, miseria. Da qui, dicono i curatori, ci sono punti fermi da cui ripartire.
Mario Chiaro