Brena Enzo
Donne nella Chiesa
2015/3, p. 11
Sulla questione vi sono prospettive diverse, tutte vulnerabili alla tentazione della scorciatoia ideologica. La logica concreta della prassi e di una vita comunitaria partecipata sta offrendo, un po’ ovunque, risposte promettenti.

Accedi alla tua area riservata per visualizzare i contenuti.

Questo contenuto è riservato agli abbonati a
Testimoni
.
Una mentalità non ancora del tutto superata
DONNE
NELLA CHIESA
Sulla questione vi sono prospettive diverse, tutte vulnerabili alla tentazione della scorciatoia ideologica. La logica concreta della prassi e di una vita comunitaria partecipata sta offrendo risposte promettenti.
Il tema è attualissimo e meriterebbe maggiore spazio di quello concesso dalla struttura della nostra rivista. Ne parliamo, tuttavia, a partire da alcune provocazioni, tutte al femminile, colte nel numero monografico della rivista Lumen vitae, dedicato a questo tema.
Oltre gli
stereotipi
La questione femminile all’interno della Chiesa cattolica – afferma la teologa canadese Denise Couture – è come presa tra due fuochi.
Da un lato vi è la tesi laicista, secondo la quale le donne cattoliche sono in una condizione di sottomissione agli uomini: non potranno mai trovare libertà all’interno di questa religione patriarcale. Se vogliono essere libere, devono uscire dalla religione cattolica, anzi, dalla religione in quanto tale.
Dall’altro lato, in chiave ecclesiale, ci troviamo di fronte a una Chiesa che manifesta un “pensiero unico” e tenta d’imporre a tutti i cattolici una visione dell’eterno feminino inteso come un “essere al servizio degli altri”. Questo modo di pensare risponde a una visione «classica, patriarcale e fallocentrica della “natura immutabile della donna”», da cui si fa derivare l’impossibilità/divieto per la donna di accedere al diaconato e al sacerdozio e, di fatto, ai posti di comando nell’istituzione.
La teologa canadese prospetta tre vie per un processo di crescente partecipazione delle donne alle responsabilità della Chiesa come istituzione.
Scegliere la libertà: cioè, resistere all’autorità vaticana vivendo con libertà la propria vita spirituale, rifiutando di sottomettersi al pensiero unico vaticano sulla natura della donna. «Si tratta di entrare nel cerchio di una molteplicità di maniere di essere cattolici, all’interno del quale l’attuale visione del vaticano occupa il suo posto tra le altre».
Decostruire il discorso patriarcale del Vaticano: obiettivo ritenuto particolarmente importante dalla Couture a motivo di un’operazione ben congegnata, da parte del Vaticano, di assunzione di un atteggiamento apparentemente “femminista”, ma di fatto radicato ancora in una concezione sessista.
Costruire reti di solidarietà, nella forma di «coalizioni di gruppi o di individui che resistano alle imposizioni romane».
L’invito pressante a superare certi stereotipi femminili ancestrali è condivisibile e, per certi versi, doveroso. Senza dimenticare, tuttavia, che il dovere di affrancarsi dagli stereotipi va vissuto a tutto tondo, con la libertà di mettere in questione anche gli stereotipi di stampo femminista.
Dove va
la realtà...
Il contributo di Catherine Chevalier prende in considerazione la prassi pastorale della chiesa belga francofona e, da quella esperienza concreta, desume linee di sviluppo promettenti alla luce di un’ecclesiologia conciliare e meno clericale. L’attenzione della Chevalier, in particolare, è data al fenomeno dei “delegati laici” nella pastorale che, per la grande maggioranza, sono donne. La sua analisi fa propria la prospettiva della sociologa Céline Béraud, la quale si dice convinta che «il processo di ridistribuzione dei ruoli» nel mondo degli operatori ecclesiali – prevalentemente donne – è una rivoluzione in atto, anche se non formalmente dichiarata.
A partire dai dati, statisticamente significativi anche se non esaustivi, emersi da un’inchiesta realizzata nel Belgio francofono, la Chevalier fa notare «il lento ma sicuro processo d’istituzionalizzazione della collaborazione femminile in seno al corpo ecclesiale» che, in certi casi, vede «la partecipazione di qualche donna al governo ecclesiale». La Chevalier si rende conto di intervenire su una tematica molto delicata, dove le posizioni si polarizzano su due fronti.
Il primo esprime una decisa militanza per la parità in nome della dignità di tutti i battezzati e dell’evoluzione socioculturale all’opera nelle nostre società: una posizione che suscita l’entusiasmo di alcuni, ma anche la critica di molti altri. Il secondo loda l’ “uguaglianza nella diversità” in nome della specificità dell’antropologia biblica, posizione che apre un dibattito interessante, ma che lascia anche perplessi per il conformismo che potrebbe portare con sé.
La Chevalier si pone tra le due posizioni polemiche, facendo la scelta dei dati empirici che aiutano, per quanto possibile, a evitare derive ideologiche.
Responsabilità pastorale
formazione e accompagnamento
Nel sud del Belgio – in particolare nella zona del Brabante vallone, con la diocesi di Malines-Bruxelles –, la realtà dei delegati laici si è rivelata, a partire dalla fine degli anni ’70, come la scelta pastorale caratterizzante la chiesa cattolica degli ultimi decenni.
Servizi parrocchiali, parrocchie e pastorale sanitaria: sono i tre ambiti in cui si è sviluppato, nel tempo, l’impegno di animatori pastorali. Nel 1976 una coppia fu coinvolta nel campo della catechesi/liturgia per dare inizio a un opportuno impiego dei mezzi audiovisivi nella pastorale. Nel 1979 una donna venne assunta a tempo pieno al servizio di una parrocchia. Nel 1982 una donna fu nominata, a tempo pieno, responsabile del coordinamento delle istituzioni socio-caritative, soprattutto sanitarie, del Brabante vallone. Dal 1990 la lista dei laici – volontari e salariati, a tempo pieno o part-time – è parte integrante dell’annuario diocesano.
Che cosa c’è all’origine di questo orientamento pastorale?
Il coinvolgimento di laici nella pastorale conosce un’impennata significativa nella metà degli anni ’80, grazie allo stimolo del sinodo dei vescovi sul laicato del 1987. Il fenomeno accelera a partire dal 1996, anno in cui in Belgio si conclude un accordo tra Stato e Chiesa che permette di attribuire posti di lavoro come ministri di culto remunerati dallo stato anche a laici, chiamati in termini giuridici assistenti parrocchiali. Tali nomine sono continuate, negli anni, a un ritmo meno sostenuto, ma relativamente costante.
Questi laici impegnati nella pastorale sono soprattutto donne: su 160 assistenti parrocchiali, 30 sono uomini e il resto sono donne! Ad oggi, secondo l’inchiesta della Chevalier, il rapporto è di 7 uomini e 52 donne nel Brabante vallone, e di 9 uomini e 49 donne nella zona francofona di Bruxelles. A questi operatori salariati si devono aggiungere i volontari, gruppo in cui si registra ancora un’evidente prevalenza femminile. In alcune diocesi, a onor del vero, si nota una certa vaghezza e leggerezza nella denominazione e classificazione dei ruoli, «testimone manifesta di una realtà difficile da accordare con i principi ministeriali proclamati».
Pur nella diversità di classificazione dei ruoli riscontrabili nelle varie diocesi, la formazione iniziale e permanente degli agenti pastorali si sono andate rivelando, nel tempo, come aspetti in positiva crescita a livello generale. Ormai da una ventina d’anni esiste un Corso di formazione all’animazione pastorale che, iniziato con un volume di 150 ore nel 1992, si è stabilizzato negli ultimi anni sulle 300 ore, con punte di 450 ore, come nell’Istituto superiore di catechesi e pastorale di Liegi.
Accanto all’interesse pastorale è cresciuta l’urgenza di un approfondimento teologico che, recentemente, si è concretizzato istituzionalmente nel Diploma in teologia pastorale.
Il percorso di questi vent’anni mostra quanto le diocesi necessitino del contributo dei laici e come, per questo, abbiano affinato le loro esigenze di formazione. Al punto che «l’entrata in scena di questi nuovi attori contribuisce a valorizzare una nuova forma di legittimità, basata sulla competenza e non solo sulla funzione». Un aspetto che dovrebbe far riflettere anche a proposito della formazione di preti e diaconi.
Bilanci
e approfondimenti
Che consapevolezza hanno i delegati pastorali laici della loro missione?
Gli animatori pastorali impegnati in parrocchia hanno compiuto una rilettura dell’evoluzione della loro responsabilità pastorale. Ne sono emersi punti forti, sfide e interrogativi.
Tra i primi, si nota una coscienza forte della loro vocazione pastorale, con un vissuto di fede e impegno ecclesiale al servizio della comunità; l’esperienza della corresponsabilità, che fa emergere la necessità di costituire unità pastorali.
Le sfide sono: la dimensione interculturale della comunità, il dialogo interreligioso e la volontà di costruire comunità vive in un contesto umano mutevole e prevalentemente anziano. È una sfida attuale anche il trovare persone pronte a un impegno durevole al servizio della comunità.
Le domande ruotano attorno al tema dell’inquadramento della loro missione: secondo quale modalità è definita la missione di ciascuno? Con quali istanze valutare questa missione? Che cosa valutare? Chi devono considerare come loro responsabile ultimo? Che tipo di formazione permanente (personale e collettiva)? Come unificare i criteri per i rimborsi?
Queste annotazioni mettono in evidenza la maturità d’insieme degli agenti pastorali, un atteggiamento riflessivo nei confronti della loro missione e le domande sono segno di un coinvolgimento maturo.
Nella Chiesa belga si registrano passaggi importanti anche a livello di partecipazione al governo ecclesiale. Nella diocesi di Tournai, una donna è membro del consiglio episcopale e portavoce del vescovo. Il sinodo diocesano nel 2013 ha decretato che «allo scopo d’arrivare a una parità uomo-donna, alcune donne saranno chiamate a ogni livello di governo: consiglio episcopale, consigli diocesani, gruppi di lavoro pastorale, servizi pastorali».
Il nuovo consiglio episcopale di Liegi comprende due donne, delegate episcopali: una per la pastorale sanitaria e una rappresentante della comunità germanofona; un terzo laico è delegato per l’educazione e l’insegnamento. Dal 2006, il cappellano in capo delle carceri francofone del Belgio è una donna. Così, il consiglio episcopale dell’arcivescovo di Malines-Bruxelles comprende da più di dieci anni due delegate episcopali per la VC (francofona e fiamminga). Nel 2014 una donna è stata nominata assistente del vescovo ausiliare del Brabante vallone, assieme a un altro assistente prete. E lo stesso si sta verificando in varie diocesi a livello di delegate vicariali per l’animazione pastorale, la formazione, i giovani, la sanità e la solidarietà.
Queste nuove forme di collaborazione costituiscono, per la Chevalier, «un punto di non ritorno», con protagonisti nuovi che ormai fanno parte del paesaggio ecclesiale.
Sul piano teologico, la collaborazione dei laici conferma la linea conciliare della valorizzazione della vocazione di tutti i battezzati, ma «pone anche nuove questioni teologiche».
È evidente, ad esempio, che questo coinvolgimento laicale è una forma di supplenza: mancando i preti, si è fatto ricorso agli assistenti pastorali. Si ripropone, quindi, la questione «della necessità di distinguere, o no, il potere dell’ordine, comunicato dall’ordinazione sacramentale, e il potere di giurisdizione che viene dalla missione canonica».
Se la corresponsabilità è arrivata a livello del governo ecclesiale, sembrano messi in questione anche certi argomenti invocati per giustificare la scelta di ordinare solo uomini. «Assistente del vescovo ausiliare, delegate vicariali o episcopali, cappellano in capo, coordinatrici d’unità agiscono sì o no in nome di Cristo-capo nella loro responsabilità di direzione? Le responsabilità affidate a queste donne non mettono forse in causa l’associazione simbolica tra il Cristo-Sposo e la maschilità così com’è invocata da Inter insigniores?».
La legittimità di tali argomenti risulta ancora più chiara se si considera che queste donne non mostrano alcuna contestazione rivendicatrice. Esprimono, piuttosto, il desiderio di assumere la loro parte di missione nella Chiesa in questo momento difficile di trasformazione sociale ed ecclesiale.
Non è più tempo di rivendicazioni ma di cura di sé e del dialogo all’interno della Chiesa, per evitare il pericolo di una sordità che ha già portato molte persone a uscire dalla Chiesa. Un confronto sempre più aperto e l’uso di mezzi che favoriscano la corresponsabilità pastorale possono aiutare ad approfondire il dialogo tra ministri ordinati e agenti pastorali laici.
Papa Francesco esorta ad «allargare ancora gli spazi per una presenza femminile più incisiva nella Chiesa» (EG 103). Ciò richiede capacità di relazionarsi con rispetto, allenarsi a parlare e decidere, capacità di gestire le rappresentazioni e l’immaginario, soprattutto gli stereotipi. L’esperienza belga in questo senso può essere un aiuto.
Enzo Brena