Le tentazioni di Papa Francesco
2015/3, p. 5
Dopo alcuni decenni di oblio appare con vigore nel magistero pontificio il richiamo alla tentazione. Il legame con la tradizione ignaziana e la pietà popolare. Il maligno e il pensiero critico. Le prove per vescovi, preti, laici e religiosi. Da riconoscere e superare.
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Parole che tornano
LE TENTAZIONI
DI papa FRANCESCO
Dopo alcuni decenni di oblio appare con vigore nel magistero pontificio il richiamo alla tentazione. Il legame con la tradizione ignaziana e la pietà popolare. Il maligno e il pensiero critico. Le prove per vescovi, preti, laici e religiosi. Da riconoscere e superare.
Il richiamo alle tentazioni è diventato corrente da quando papa Francesco ha largamente attinto al patrimonio delle immagini e delle forme della tradizione. Ha colpito l’opinione pubblica ecclesiale in particolare la sua insistenza sulle “malattie curiali” in occasione dell’incontro con i suoi collaboratori (22 dicembre 2014). Malattie che lui stesso indica come sinonimo di tentazioni: «sono malattie e tentazioni che indeboliscono il nostro servizio al Signore».
I riferimenti più espliciti sembrano essere, da un lato, la spiritualità ignaziana e dall’altro la religiosità popolare. Per Ignazio il cuore di ogni credente è un terreno di lotta in cui entrano in gioco varie forze: i pensieri e i sentimenti, lo Spirito di Dio e l’influsso del nemico, il diavolo. Quando si impara ad avvertire la loro diversa azione e ci si esercita nel riconoscere da dove vengono i movimenti del proprio cuore, si incomincia ad entrare nel processo del discernimento degli spiriti. La vera questione non è nel provare stati d’animo diversi ma nel riconoscere in noi i pensieri e i sentimenti che vengono dalla nostra volontà o piuttosto dallo Spirito, o ancora dal «nemico».
Il nemico
e lo Spirito
Nel cammino spirituale che prende così avvio, ciascuno è tentato. La tentazione è una dinamica propria della vita interiore che spinge all’affinamento della capacità del discernimento. In una prima fase della vita spirituale la tentazione si presenta come incoraggiamento sensibile a percorrere vie di male. Chi si allontana dal Signore si sentirà giustificato dalla voce del “nemico” a continuare su quella strada attraverso piaceri falsi e attraenti. L’azione di Dio sarà, al contrario, un pungolo alla coscienza che mostra la verità della via.
In un secondo tempo, quando la persona intraprende la via del bene e della vicinanza con il Signore, attraverso la tentazione il “nemico” addurrà false ragioni, difficoltà, ostacoli, perché non si prosegua sulla via intrapresa. Mentre il Signore incoraggerà a proseguire il cammino con la pace e la gioia che vengono dal bene. Più complessa la situazione in cui la persona, decisamente rivolta verso Dio e il suo regno, non solo si impegna a non commettere il male e scegliere il bene, ma cerca il meglio possibile nella situazione concreta. La tentazione allora si presenterà sotto forma di bene, un bene minore o maggiore del possibile, che tende a forviare il credente e a toglierlo dalla disposizione di lodare, riverire e servire il Signore. La tentazione, che Ignazio considera inevitabile, cambia con il variare della situazione spirituale in cui si trova la persona. Il discernimento è lo strumento efficace e necessario per scoprire gli inganni del “nemico” e aderire al movimento promosso da Dio che ha come frutto la gioia della sua presenza e il gusto della pienezza della vita.
La seconda radice del recupero delle tradizioni è per papa Francesco nella sua attenzione e cura della religiosità popolare. «Si tratta di una vera spiritualità incarnata nella cultura dei semplici. Non è vuota di contenuti, bensì li scopre e li esprime più mediante la via simbolica che con l’uso della ragione strumentale, e nell’atto di fede accentua maggiormente il credere in Deum che il credere Deum. È un modo legittimo di vivere la fede, un modo di sentirsi parte della Chiesa, e di essere missionari; porta con sé la grazia della missionarietà, dell’uscire da se stessi e dell’essere pellegrini. Il camminare insieme verso i santuari e il partecipare ad altre manifestazioni della pietà popolare, portando con sé anche i figli o invitando altre persone, è in se stesso un atto di evangelizzazione. Non coartiamo né pretendiamo di controllare questa forza missionaria!» (EG 124).
Le immagini
popolari
La difesa della dignità della pietà popolare è sulla stessa linea dell’allargamento della ragione teologica proposta da Benedetto XVI. Non si tratta di evitare il pensare critico o di arretrare davanti alle sue sfide, ma di non essere prigionieri del criticismo positivista della razionalità strumentale. Si sta aprendo una stagione che recupera e supera i passi compiuti dalla teologia degli anni ’60, preoccupata di uscire dal bozzolo di un pensare pre-critico. Il segno del passaggio è appunto il riferimento al maligno e alla sua potenza. Nei dizionari di morale degli ultimi decenni è praticamene scomparsa la voce “tentazioni”, il cui contenuto riappare in una più ampia e organica trattazione della libertà e della responsabilità. Non viene certo meno il riferimento al male, ma la sua dimensione personale (il diavolo) si perde negli anfratti carsici delle argomentazioni. Fino alla negazione esplicita espressa da Herbert Haag: «Dobbiamo esaminare anche se queste espressioni bibliche (relative a Satana ndr.) appartengono al corpo vincolante della dottrina, oppure alla concezione del mondo caratteristica del compilatore biblico e quindi non sono dottrine vincolanti». «Il male esiste soltanto nella misura in cui si configura, in cui acquista forma concreta in un uomo per l’azione della sua volontà e nelle corrispondenti azioni. Non esiste il male, ma soltanto l’uomo cattivo, l’uomo che opera il male» (La liquidazione del diavolo?, Queriniana, Brescia 1969, pp. 13, 10). «Il luogo comune che stabiliva un rapporto necessario tra il male e il diavolo viene finalmente sfatato, e questo non attraverso altri luoghi comuni o con affermazioni assiomatiche, ma con un’analisi che è sì teologica, ma che è anche e nello stesso tempo storica, antropologica, sociologica e psicologica» (A. Gecchin prefazione a H. Haag, La credenza nel diavolo, Mondadori Milano 1976, p. 10).
Nella liturgia
e nella catechesi
Al di là delle discussioni teologiche, il riferimento a Satana e al maligno è rimasto nei testi biblici, della pratica liturgica e sacramentale e nel patrimonio catechetico. Come dice la Gaudium et spes: «Così l’uomo si trova in se stesso diviso. Per questo tutta la vita umana, sia individuale che collettiva, presenta i caratteri di una lotta drammatica tra il bene e il male, tra la luce e le tenebre» (n. 13). Il Catechismo della Chiesa cattolica ne tratta in particolare nel commento al “Padre nostro”. La domanda della preghiera di «non indurci in tentazione» o, come meglio si esprime la nuova traduzione «non abbandonarci alla tentazione» (Mt 6,13), «va alla radice della precedente perché i nostri peccati sono frutto del consenso alla tentazione. Noi chiediamo al Padre nostro di non “indurci” in essa… Noi gli chiediamo di non lasciarci prendere la strada che conduce al peccato. Siamo impegnati nella lotta “tra la carne e lo Spirito”. Questa richiesta implora lo spirito di discernimento e di fortezza. Lo Spirito Santo ci porta a discernere tra la prova, necessaria alla crescita dell’uomo interiore in vista di una “virtù provata” (Rm 5,3-5) e alla tentazione che conduce al peccato e alla morte. Dobbiamo anche distinguere tra “essere tentati” e “consentire” alla tentazione. Infine il discernimento smaschera la menzogna della tentazione: apparentemente il suo oggetto è “buono, gradito agli occhi e desiderabile” (Gen 3,6), mentre in realtà il suo frutto è la morte» (CCC, 2846-47).
In tale quadro vanno collocate le ripetute indicazioni di tentazioni che papa Francesco riconosce e fa emergere in tutti gli stati e i servizi della vita cristiana. Senza presumere di farne una recensione completa mi limito ad alcune citazioni.
Tentazioni
curiali e vescovili
La prima è quella da cui sono partito: la denuncia delle malattie o delle tentazioni dei collaboratori curiali. L’elenco delle 14 malattie curiali conosce innovazioni verbali – segnali di uno sforzo interpretativo inabituale – come il “martalismo” in riferimento all’attivismo di Marta, o l’alzheimer spirituale a indicare la sclerosi del discernimento o la schizofrenia esistenziale. La sequela degli ammonimenti ha un ritmo implacabile e severo. Ma, rovesciando l’immagine, il catalogo costruisce l’immagine più bella e l’elogio più convinto del collaboratore pontificio. Del resto, nell’incontro con la curia del 2013, aveva sottolineato: «Qui nella curia romana ci sono stati e ci sono dei santi! E l’ho detto pubblicamente più di una volta». Riassumo brevemente. Anzitutto il sentirsi indispensabile, col relativo complesso dell’eletto e il conseguente narcisismo. Poi il “martalismo”, l’immergersi nel lavoro trascurando la vita spirituale, il riposo e, quando vi sia, la propria famiglia. Ancora, l’ “impietrimento” mentale e spirituale, col pericolo di diventare una macchina di pratiche e di perdere la sensibilità umana. L’eccessivo funzionalismo favorisce la pretesa di pilotare la libertà dello Spirito nelle esigenze della burocrazia. Il cattivo coordinamento distrugge l’armonia funzionale e mina lo spirito di comunione. L’alzheimer spirituale si attiva col declino progressivo delle facoltà interiori, con la perdita di memoria dell’incontro con il Signore. La vanagloria si manifesta nell’inseguire le vesti e le insegne, nel falso misticismo del potere e nel quietismo dei piccoli interessi. La doppia vita manifesta la schizofrenia esistenziale e produce una vita oscura e dissoluta. Le chiacchiere, le mormorazioni e i pettegolezzi producono gravi danni di calunnia e ferite non rimarginabili. La divinizzazione del capo nasce dall’opportunismo e dal carrierismo. L’indifferenza impedisce la trasmissione delle competenze ad altri e atrofizza i rapporti. La faccia funerea e melanconica uccide lo spirito gioioso e non conosce la buona e necessaria dose di umorismo. Vi è anche la tentazione di accumulare beni materiali, ignorando che «il sudario non ha tasche», che la morte si incarica di separare da ogni cosa. I circoli chiusi diventano un cancro che minaccia la libertà degli appartenenti e l’armonia dell’insieme. Infine, la rincorsa all’esibizionismo, ad apparire sui media per avere conferma del proprio valore e delle proprie ragioni.
Il richiamo alle tentazioni dei vescovi è ancora più consueto. Cito il discorso ai vescovi italiani (giugno 2013) e quello ai vescovi del CELAM (consiglio episcopale latino-americano; luglio 2013). Parlando alla CEI dice: «La mancata vigilanza – lo sappiamo – rende tiepido il pastore; lo fa distratto, dimentico e persino insofferente; lo seduce con la prospettiva della carriera, la lusinga del denaro e i compromessi con lo spirito del mondo; lo impigrisce, trasformandolo in funzionario, un chierico di stato preoccupato più di sé, dell’organizzazione e delle strutture, che del vero bene del popolo di Dio». Ai vescovi latino-americani ricorda le tentazioni che si mimetizzano nella dinamica del discepolato: la ideologizzazione del messaggio evangelico («cercare un’ermeneutica di interpretazione evangelica al di fuori dello stesso messaggio del Vangelo»), il funzionalismo («la concezione funzionalista non tollera il mistero, va all’efficacia») e il clericalismo.
Per i laici
e i religiosi
Vi sono le tentazioni degli operatori pastorali e dei laici. Le ricorda nell’Evangelii gaudium, nn. 76-109. Si possono citare la tentazione «di una preoccupazione esagerata per gli spazi personali di autonomia e di distensione», l’«occultamento della propria identità cristiana», una tristezza «senza speranza che si impadronisce del cuore», il pessimismo sterile, il «cattivo spirito della sconfitta», il «consumismo spirituale» che porta al morboso individualismo, una «teologia della prosperità senza impegni fraterni», la «mondanità spirituale», che cerca la propria gloria, non quella di Dio. E ancora: la cura ostentata della liturgia con la distanza dalla vita dei credenti, il non imparare dai propri peccati, lo spirito di contesa ecc.
Vi sono le tentazioni dei preti. Parlando ai parroci di Roma (marzo 2014) li ha esortati alla misericordia e alle lacrime per la propria gente. «Tu piangi? O abbiamo perso le lacrime?»; «Tu lotti con il Signore per il tuo popolo, come Abramo ha lottato». Vi sono anche le tentazioni dei religiosi: fare i profeti senza esserlo, confondere l’istituto con l’opera, sottrarsi all’inculturazione del carisma, alimentare le malattie della fraternità, non avvolgere il conflitto dalla preghiera, dalla tenerezza, fuggire dalle frontiere geografiche e simboliche (incontro coi superiori maggiori, 29 novembre 2013).
Ma le sfide e le tentazioni «esistono per essere superate. Siamo realisti, ma senza perdere l’allegria, l’audacia e la dedizione piena di speranza!» (EG, 109).
Lorenzo Prezzi