Fede, cultura, educazione
2015/2, p. 46
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Testimoni
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NOVITA’ LIBRARIA
Fede, cultura, educazione
Facendo tesoro delle riflessioni maturate nella prospettiva dell’Anno della fede, e volgendo lo sguardo al Convegno ecclesiale di Firenze (9-13 novembre 2015) sul tema «In Gesù Cristo il nuovo umanesimo», i contributi di sociologi, psicologi, filosofi, teologi,biblisti, matematici e tecnici, toccano questioni centrali per il cammino decennale della Chiesa italiana, e in particolare per chi intende educare alla vita buona del Vangelo, cercando di riconciliare fede cristiana e cultura moderna. Sfide che provengono dalla cultura scientista e tecnocratica, valori educativi e frantumazione dell’umano, fede e relativismo in un’epoca di grandi cambiamenti, verità e relativismo nelle Scritture, attenzione alle periferie esistenziali… sono tutti nodi cruciali presi in esame dalla CEI per un discernimento orientato alla cura e all’evangelizzazione delle persone «per creare un ambiente culturale e un agire comunicativo a dimensione umana, capaci di contrastare i tratti idolatrici dell’odierno apparato culturale-comunicativo».
Nodi e prospettive
Con uno sguardo positivo e fiducioso sulla realtà, mons. Giuliodori, presidente della Commissione episcopale per la cultura e le comunicazioni sociali, afferma che «nonostante gli elementi di evidente criticità, individuati nel relativismo e nella frantumazione del tessuto umano, c’è la tensione vitale che le persone e le società hanno verso un recupero di elementi costitutivi dell’esistenza, tra i quali spicca la domanda religiosa. In questo senso si percepisce nelle pieghe della società, nei circuiti scientifici, nel dibattito culturale, il desiderio di ritrovare il punto focale dell’esperienza umana. È per questo che l’inesauribile novità di vita che ci viene donata in Gesù Cristo rappresenta la principale risorsa per proporre il nuovo umanesimo».
Quale spazio oggi per il vangelo?
Le sfide che la nostra cultura occidentale lancia a chi volesse evangelizzare la fede sono certamente tutte da aprire, affrontare, inventare. La grande sfida che la verità del Vangelo lancia oggi al mondo occidentale è quella della relazione e della solidarietà umana, a fronte di una concezione individualistica e autonoma della persona, che conduce all'esperienza della solitudine. «Solitudine dinanzi alla propria libertà, quindi nel campo morale, dove lo smarrimento nasce dal fatto di non avere più l'altro come confine; solitudine nel campo sociale, per cui i sistemi economici sono diventati quasi delle strutture inaccessibili, che hanno, però, una ricaduta fatale sul destino di vita e di morte degli abitanti della terra». La persona è spesso «vittima di una mentalità privata e proprietaria, in cui la libertà della condivisione, della condiscendenza, della compagnia, della compassione, della comune sorte, sembra, oltre che illecita, impossibile. Si vive in una libertà anch'essa privata, che costringe ogni esperienza dentro uno spazio autoreferenziale». Per questo, anche da una prospettiva pastorale, occorre insistere su una forma di Chiesa capace di accogliere, accompagnare, ascoltare, essere dispensatrice di misericordia; papa Francesco insiste molto su questa “Chiesa in uscita”, che si fa prossima a tutti e rimane con le braccia aperte soprattutto nelle “periferie esistenziali”. Si tratta di aprire sempre di più la fede vissuta e celebrata, anche nelle nostre comunità, oltre i confini puramente individuali e devozionali, verso forme comunitarie di ricerca, di riflessione, d'impegno concreto, di carità, di prassi solidale e di prassi profetica che contesta le scelte e le situazioni che rendono disumano il mondo e l'uomo.
Il malessere degli adulti
«La prima periferia esistenziale ha a che fare con la profonda mutazione che ha colto l'attuale generazione degli adulti, i quali, come ha efficacemente scritto Galimberti, stanno male perché, anche se non se ne rendono conto, non vogliono diventare adulti. La categoria del giovanilismo li caratterizza a tal punto da abdicare alla loro funzione, che è poi quella di essere autorevoli e non amici dei figli. Gli amici, i figli li trovano da sé, e per giunta della loro età. Dai genitori vogliono esempi, e anche autorità, perché i giovani, anche se non lo dimostrano, sono affamati di autorità. È da questo malessere adulto che dipende l'attuale fatica del lavoro educativo e della trasmissione della fede».
Nella realtà, aperti all’Infinito
Il momento qualificante del compito educativo diventa quello finalizzato a rendere evidente «la trascendenza della coscienza morale e spirituale rispetto ai comportamenti accettati o sanzionati dal consenso sociale». L’educazione non è solo “formazione” ma “trasformazione”: è ricerca ed esperienza delle ragioni profonde della vita, e non solo delle tecniche e delle pratiche della sopravvivenza. Soltanto se l’educatore è uomo di speranza e promotore di libertà, diventa testimone credibile dello stretto rapporto tra la crescita della persona e il suo protagonismo storico, diventa ponte percorribile tra la cultura scettica e virtualistica del nostro tempo e l’urgenza di vivere nella pienezza della realtà fino a sperimentare la ricchezza e la bellezza della pienezza umana.
Anna Maria Gellini