Dall'Osto Antonio
La teologia della missione in Asia
2015/2, p. 25
A partire dal Concilio, i vescovi dell’Asia hanno elaborato una teologia della missione, definita attiva e integrale, finalizzata all’edificazione del Regno di Dio e del suoi valori, nel rispetto e in solidarietà con le altre grandi religioni e culture del continente.

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Gli sviluppi a partire dal Concilio
la TEOLOGIA
DELLA MISSIONE IN ASIA
A partire dal Concilio, i vescovi dell’Asia hanno elaborato una teologia della missione, definita “attiva” e “integrale”, finalizzata all’edificazione del Regno di Dio e del suoi valori, nel rispetto e in solidarietà con le altre grandi religioni e culture del continente.
Il viaggio del papa in Sri Lanka e nelle Filippine dello scorso gennaio, dopo quello dell’agosto 2014 in Corea del sud, manifesta la particolare attenzione che papa Francesco ha verso il continente asiatico. È un’attenzione avvertibile oggi in tutta la Chiesa. L’Asia infatti è l’area geografica dove vivono circa i due terzi della popolazione mondiale, ma dove i cristiani, dopo duemila anni di attività missionaria, rappresentano solo una piccola minoranza che si aggira tra il 4 e il 6 per cento. Un autore americano, David Alkman, del Beijing Center for Chinese Studies, in una sua ricerca, è giunto alla conclusione che entro il 2030 il 20/30% della popolazione della Cina sarà cristiana. È una previsione ottimistica a cui nessuno crede. Le stesse Chiese asiatiche sono convinte che il cristianesimo in questo continente è destinato a rimanere una piccola minoranza accanto a religioni e culture di antichissima tradizione e fortemente radicate nell’animo popolare. Ne sono convinti anche i vescovi, i quali, soprattutto per iniziativa della Federazione delle Conferenze episcopali dell’Asia (FABC), hanno progressivamente elaborato una nuova teologia della missione, molto diversa da quella delle epoche precedenti, in particolare del periodo coloniale, basata sul riconoscimento di una realtà destinata a mantenere l’attuale equilibrio.
I germi di questa nuova concezione teologica della missione erano già presenti nei grandi documenti conciliari ma avevano bisogno di essere ulteriormente approfonditi. È nata così una teologia definita nella settima assemblea plenaria della FABC del 1990, “evangelizzazione attiva integrale”.
I cambiamenti
che l’hanno determinata
Il bollettino SEDOS, nel numero 11/12 di novembre-dicembre 2014, ha dedicato un lungo articolo a questo argomento, a firma di Jonhatan Y. Tan. Nella sua analisi, egli afferma che lo spartiacque di questa evoluzione è stato il Vaticano II, e ha avuto come centro propulsore la FABC. I vescovi dell’Asia, scrive, superando la teoria fino a quel tempo molto comune della missione come plantatio ecclesiae, di cui si trovano tracce anche nel decreto conciliare Ad Gentes, sono giunti ad articolare una teologia della missione radicata nel riconoscimento e rispetto dell’enorme ricchezza religiosa e culturale del continente, e della sua funzione provvidenziale nel piano salvifico di Dio.
Determinanti in questa presa di coscienza sono stati i rapidi cambiamenti avvenuti nel mondo e nella Chiesa nel periodo successivo alla seconda guerra mondiale e nel postconcilio. In primo luogo, il processo di decolonizzazione del continente e l’emergere di un’Asia post-coloniale. Si è trattato di un processo che ha visto affermarsi nuovi stati indipendenti, ponendo fine così al vecchio colonialismo europeo. Di conseguenza è venuta meno anche l’alleanza tra la Chiesa e le potenze coloniali su cui si reggeva in gran parte l’opera missionaria. Ma non si è trattato solo di un fenomeno politico. Assieme all’indipendenza, infatti, si è risvegliato dovunque un profondo senso di orgoglio nazionale, a cui si è accompagnato uno straordinario revival delle tradizioni religiose e culturali che sembravano fino a quell’epoca come assopite. In contrasto con le previsioni – e forse le attese di molti, tra cui anche di numerosi padri conciliari – le grandi religioni mondiali non solo non sono regredite, ma hanno cominciato a crescere e a prosperare. Si è trattato di un fenomeno che non ha riguardato solo l’Asia, ma anche altre parti del mondo come il Nord America, l’Africa e la stessa Europa.
Nell’Asia dell’est, per esempio, il buddismo non solo ha assunto nuova vitalità, ma ha dato origine anche a nuovi movimenti buddisti, iniziando a espandersi in altre parti del mondo. In India, l’induismo, inorgoglito dall’indipendenza, si è evoluto giungendo poco alla volta a rinnegare la tolleranza ereditata da Gandhi e ha visto nascere al suo interno movimenti nazionalisti radicali, tra cui quello religioso militante dell’Hindutva, affiancato dalla sua ala politica, il Bharatiya Janata Party. Secondo questo movimento, le altre religioni e tradizioni sono da considerarsi come dei corpi estranei alla cultura indiana. Per questo i loro aderenti cercano in tutti i modi, anche ricorrendo spesso alla violenza, di contrastarne l’attività e di minacciarne persino la presenza.
Anche l’islam in questi decenni ha consolidato la sua presenza nel continente, diventando la religione con il maggiore tasso di espansione, e ha visto nascere qua e là il fenomeno del fondamentalismo.
Questi sviluppi hanno posto nuovi problemi alla Chiesa. Oggi la sua azione missionaria si trova perciò davanti a delle sfide che i Padri conciliari non avevano nemmeno immaginato.
Una nuova
presa di coscienza
Poco alla volta, nella FABC, soprattutto attraverso le sue assemblee plenarie, si è affermata la convinzione che le varie culture, tradizioni, visioni filosofiche e religiose costituissero non un ostacolo e delle realtà con cui competere, ma una straordinaria ricchezza per l’intero continente. Bisognava perciò elaborare un nuovo modo di concepire la missione che fosse rispettoso del pluralismo culturale e religioso del continente con cui rapportarsi in maniera inedita. Più ancora: è maturata la convinzione – definita verità “ineluttabile” – che lo Spirito di Dio è all’opera in tutte le tradizioni religiose e agisce anche al di fuori della Chiesa visibile. In altre parole, che «la grazia salvifica di Dio non è limitata ai membri della Chiesa, ma è offerta a tutti: è una grazia che può guidare alcuni al battesimo e ad entrare nella Chiesa, ma non si può ritenere che questo sia sempre il caso. Le vie dello Spirito sono infatti misteriose e insondabili, e nessuno può dettarne la direzione».
Questo apprezzamento delle diversità e pluralità ha portato la FABC a collegare la missione cristiana e il Regno di Dio e ad affermare che esso “è la ragione stessa dell’essere della Chiesa”. Nella sua settima Assemblea plenaria, del 1990, è stata così coniata la nuova definizione della missione nel continente, come “evangelizzazione attiva integrale”. Si tratta di un’evangelizzazione a tutto campo, che riunisce insieme i vari aspetti prima separati e ora considerati come un tutt’uno con la missione come: l’inculturazione, il dialogo, l’ “asiaticità” della Chiesa, la giustizia, l’opzione per i poveri, ecc. «Questi argomenti, è stato detto nell’ assemblea, non rappresentano più degli ambiti separati, ma sono aspetti di un approccio integrato e globale della nostra Missione di amore e di servizio. Noi abbiamo bisogno di sentire e agire “integralmente”. Osservando i bisogni del 21° secolo, lo facciamo con cuore asiatico, in solidarietà con i poveri e gli emarginati, assieme a tutti i cristiani delle nostre numerose e diverse fedi: inculturazione, dialogo, giustizia e opzione per i poveri sono aspetti che devono caratterizzare qualsiasi cosa noi facciamo».
Convinzione questa sottolineata anche dalla Commissione teologica della FABC: «Il regno di Dio è una realtà universale che si estende molto al di là dei confini della Chiesa. È una realtà di salvezza in Gesù Cristo, condivisa dai cristiani e dagli altri... Visto così, un approccio “regno centrico” alla teologia della missione non minaccia in alcun modo la prospettiva cristocentrica della nostra fede. Al contrario il “regnocentrismo” richiama il cristocentrismo e viceversa poiché è in Gesù Cristo e mediante l’evento Cristo che Dio ha stabilito il suo regno sulla terra e nella storia umana».
Ripartendo
dal Concilio
È evidente che una visione del genere cambia profondamente non solo la teologia della missione, ma anche la prassi e la metodologia.
Questa evoluzione si può comprendere con maggiore esattezza se si riparte dal Concilio, come fa appunto J.Y.Tan. Una cosa che la FABC e il Vaticano II hanno in comune, scrive, è che ambedue sono pienamente d’accordo sulla necessità della missione in Asia. La FABC concorda con i Padri del Vaticano II, sul fatto che la Chiesa è missionaria per sua natura ed è pienamente in sintonia con il Vaticano II anche sulla possibilità che esistano mezzi di salvezza extraecclesiali (LG 16), e quindi sul rispetto che si deve verso gli elementi veri e santi che si trovano nelle altre religioni (NAI 2), e sull’opera misteriosa dello Spirito Santo nel piano della salvezza (GS 22 e AG 4). Nel decreto missionario Ad Gentes, i Padri conciliari si sono concentrati sul perché, che cosa, e sul per chi della missione. Non sorprende perciò, che l’Ad Gentes, abbia cercato di articolare una teologia della missione conforme alle prospettive dei missionari europei, i quali cercavano di portare Cristo ai non battezzati (AG, 8) e di “piantare la Chiesa tra quei popoli e gruppi dove finora essa non ha ancora posto radici” (AG, 6). La FABC dà invece per scontato il problema del perché, che cosa e del per chi della missione, e sottolinea piuttosto il come, ossia come fare missione cristiana in un contesto come quella asiatico caratterizzato dall’enorme diversità e pluralità di religioni e culture, e in solidarietà con i poveri e gli emarginati del continente.
Oltre il semplice
dialogo
Nel concilio era emersa la tensione fra dialogo (Nostra Aetate) e proclamazione (Ad Gentes). I padri conciliari non sono riusciti a risolverla. Si sono limitati a ribadire in Ad Gentes la necessità della Chiesa e della proclamazione del Vangelo, e a interrogarsi, nello stesso tempo, sulla presenza di verità e santità in altre religioni (Nostra Aetate), sul ruolo dello Spirito Santo al di fuori della Chiesa (Gaudium et Spes e Ad Gentes) e la possibilità della salvezza anche per chi non vi appartiene. (Lumen Gentium).
Di fronte a questa tensione irrisolta, i vescovi della FABC hanno scelto di contestualizzare la loro teologia della missione nella realtà asiatica, con le sue specificità, accettando le sfide e le opportunità offerte dalla diversità e pluralità delle religioni e culture, e l’invito a rispondere alla diffusa povertà ed emarginazione che molti asiatici esperimentano nella loro vita di tutti i giorni.
In concreto, rileva J.Y. Tan, i vescovi cattolici dell’Asia mentre sottolineano la necessità della missione nel continente, sono tuttavia convinti che ciò non significa essere chiamati a conquistare il mondo postcoloniale in nome di un Cristo trionfante o a costituire nel continente una cristianità trionfalistica. Al contrario, riconoscono le sfide del pluralismo ed esclusivismo religioso, come non era stato discusso e nemmeno compreso dai padri conciliari al Vaticano II, fatta eccezione per alcune brevi indirette allusioni in Gaudium et Spes, Nostra Aetate e Ad Gentes. Riconoscono, inoltre che i cristiani dell’Asia sono chiamati alla missione attraverso il dono di sé, per portare la vita e la speranza della Buona Notizia di Gesù Cristo ad un mondo assillato da grandi sfide e da mille problemi. In un continente lacerato dalla violenza e dai conflitti in nome di un fanatico esclusivismo religioso, si sentono stimolati ad andare oltre la superficialità di una crescita quantitativa della Chiesa, a favore di un approccio profetico qualitativo che cerca di criticare, trasformare e risanare le rotture delle culture e realtà asiatiche. È chiaro, osserva sempre J.Y. Tan, che la FABC è convinta e accetta che la Chiesa nel continente sarà sempre un “piccolo gregge”, nel vasto mare di un’Asia pluralistica. Per questo essa ha scelto di porre l’accento sulla critica profetica, la trasformazione e la guarigione delle rotture presenti nella realtà del continente per promuovere in essa, assieme agli altri, il Regno di Dio e i suoi valori.
È illuminante in questo senso il discorso programmatico che l’ex arcivescovo emerito di Dehli, Angelo Fernandes, tenne il 12 febbraio del 1991 alla BIRA (Istituto episcopale per gli affari interreligiosi), in cui affermò che gli asiatici appartenenti ad altre fedi non dovevano essere considerati degli “oggetti della missione cristiana”, ma come “partner della comunità asiatica, in cui deve regnare la reciproca testimonianza”. L’insistenza dell’arcivescovo Fernandes sugli asiatici delle altre fedi in quanto partner e collaboratori in una reciproca testimonianza è entrato così a far parte della teologia e prassi della missione della FABC in Asia.
Gli altri
come partner
Si può pertanto concludere che, secondo i vescovi dell’Asia, la Chiesa si sente chiamata oggi a lavorare per la redenzione degli abitanti del continente non versando olio sul fuoco del conflitto religioso e della violenza o impegnandosi in un proselitismo competitivo oppure cercando di primeggiare nei confronti delle altre religioni. I cristiani, piuttosto, intendono testimoniare il potere redentivo del Vangelo con l’esempio della vita quotidiana in compagnia e solidarietà con i loro vicini, lavorando, lottando e soffrendo insieme nella comune ricerca del significato della vita. Testimonianza di vita e dialogo costituiscono perciò due facce della stessa medaglia e definiscono il rapporto che deve esistere tra il Vangelo e le altre tradizioni religiose, consentendo così ai cristiani di condividere la Buona Novella con i loro compagni di viaggio asiatici. Più ancora, i cristiani dell’Asia non solo riconoscono e si rallegrano della diversità e pluralità delle religioni, ma cooperano insieme a comprendere che cosa significhi essere asiatici e cristiani nel continente. In ultima analisi per essere veramente asiatici e sentirsi a casa nel mondo asiatico, i cristiani si sentono stimolati ad abbracciare la diversità e la pluralità religiosa dell’Asia postcoloniale, sfidando nello stesso tempo profeticamente e purificando i suoi elementi oppressivi e negatori di vita in nome del Vangelo.
Occorre tuttavia ancora sottolineare – sottolinea J.Y.Tan – che la FABC non ignora l’importanza della proclamazione del Vangelo. Ma per attuarle essa intende percorrere la via dell’amicizia, della fiducia, delle relazioni, del dialogo e della solidarietà, quali fattori costitutivi della sua missione.
Più importante ancora, in questa missiologia, è il riconoscimento della fondamentale relazione ontologica, soteriologica ed esistenziale tra il Vangelo cristiano e i popoli dell’Asia con le loro ricche tradizioni religiose e culturali, come anche delle loro sfide economiche quotidiane. Una missiologia così intesa consente alla Chiesa locale di passare dalla mentalità della plantatio ecclesiae, in quanto “istituzione” piantata in Asia, a “una comunità evangelizzatrice”. Evidentemente la FABC nutre grandi speranze che la Chiesa locale possa inculturarsi profondamente nel continente e riuscire a diventare non una semplice Chiesa in Asia, ma realmente una Chiesa asiatica.
a cura di A.D.