Chiaro Mario
Persecuzioni e violenze nel mondo
2015/2, p. 9
Le persecuzioni sono conseguenza di quella “cultura merceologica” che domina oggi la globalizzazione neo-liberista. Si tratta di un’indole del rifiuto che induce a non guardare l’altro come un fratello da accogliere, ma lo trasforma o in concorrente o in suddito da dominare.

Accedi alla tua area riservata per visualizzare i contenuti.

Questo contenuto è riservato agli abbonati a
Testimoni
.
Un fenomeno in continua crescita
PERSECUZIONI
E VIOLENZE NEL MONDO
Le persecuzioni sono conseguenza di quella “cultura merceologica” che domina oggi la globalizzazione neo-liberista. Si tratta di un’indole del rifiuto che induce a non guardare l’altro come un fratello da accogliere, ma lo trasforma o in concorrente o in suddito da dominare.
In questo doloroso frangente storico, per le continue feroci violenze perpetrate anche in nome di un credo religioso, riaffiora purtroppo il tema dello scontro di civiltà, evocato dallo statunitense Samuel Huntington (famoso il libro del 1996 sul nesso tra conflitto di civiltà e nuovo ordine mondiale). A molti oggi sembra confermata la sua previsione sulla fine dell’assetto internazionale bipolare (la “guerra fredda”) come foriera di un mondo non più unito ma più diviso a causa di nuovi conflitti lungo le linee di confine di vasti gruppi umani formatisi nei secoli. Huntington indicava ben nove civiltà distinte: occidentale, cristiana orientale (ortodossa), latino-americana, islamica, indù, cinese, giapponese, buddista, africana. Per chi ne cavalca oggi il pensiero, siamo di fronte alla riedizione conservatrice e aggiornata dell’incubo del “tramonto dell’Occidente”, agitato già all’inizio del Novecento, che identifica la matrice dei conflitti nelle culture piuttosto che nella competizione economica o nelle ideologie politico-militari. Si elencano i valori occidentali “indipendenti dalla modernizzazione”, che sono estranei alle altre civiltà: separazione fra autorità spirituale e temporale; stato di diritto (dominio della legge contro l’arbitrio delle autorità al potere); pluralismo sociale (società civile oltre la famiglia e il clan); corpi rappresentativi sviluppatisi nella forma dei moderni parlamenti; individualismo. Questa lettura del mondo, a fronte di nuove continue persecuzioni dei cristiani, si è spesso saldata con una certa “nostalgia di cristianità” che permane e incalza chi invece batte la via tracciata dal Vaticano II per un rinnovato “dialogo con il mondo”. Su questi snodi le comunità cristiane, impreparate, prestano il fianco a nuove strumentalizzazioni.
Provvidenziale appare allora la visione proposta da papa Francesco, sulla scia dei pontefici precedenti, sulle persecuzioni “contro i credenti” di ogni religione e non solo contro i cristiani. Il pontefice inquadra questa persecuzione nella più generale “cultura merceologica” che domina oggi la globalizzazione neo-liberista. Si tratta di un’indole del rifiuto che induce a non guardare l’altro come un fratello da accogliere, ma lo trasforma o in concorrente o in suddito da dominare. Si tratta di una «mentalità che genera quella cultura dello scarto che non risparmia niente e nessuno: dalle creature, agli esseri umani e perfino a Dio stesso. Da essa nasce un’umanità ferita e continuamente lacerata da tensioni e conflitti di ogni sorta».
Nuovi centri di gravità
delle persecuzioni
Con questa prospettiva, insieme al Rapporto di Aiuto alla Chiesa che soffre (ACS 2014) sulla libertà religiosa, scorriamo la World Watch List (WWL), Rapporto 2014 di Open Doors (Porte Aperte) che è un’organizzazione di soccorso non confessionale. Osservati speciali sono Medio Oriente, Africa e Asia, proprio per il crescente attacco alle minoranze cristiane. In cima a WWL 2015 troviamo dieci nazioni: Corea del Nord, Somalia, Iraq, Siria, Afghanistan, Sudan, Iran, Pakistan, Eritrea e Nigeria. Secondo il Rapporto ACS invece le dieci nazioni che primeggiano per violazioni e persecuzioni sono: Iraq, Libia, Nigeria, Pakistan, Siria, Sudan, Azerbaigian, Cina, Egitto e Repubblica Centroafricana. C’è dunque concordanza solo per cinque nazioni. Di sicuro, in tutto il mondo, più di 100mln di cristiani sono attaccati a causa della loro fede o etnia. Dall’analisi della WWL 2015 risulta che tra i più colpiti, come negli anni precedenti, sono ancora i cristiani. Nella Corea del Nord: circa 70mila di essi sono stati imprigionati in campi di lavoro. Il paese ha visto purghe, in cui oltre 10mila persone sono state bandite, arrestate, torturate e/o uccise a causa dei loro presunti legami con lo zio di Kim Jong-un, Jang Song-Thaek. Sulla scia del sequestro e arresto del missionario sudcoreano Kim Jeong-Wook, decine di persone (presumibilmente cristiane) sono state catturate e molte torturate e assassinate. Peggiora la situazione anche in Africa, soprattutto in Somalia, con la milizia islamista Al-Shabaab, quindi in Sudan, Eritrea e Nigeria con il clima di gravissima violenza generato dal gruppo islamico Boko Haram (il nome significa “l’educazione occidentale è peccato”).
Dunque l’estremismo islamico assume nuove e inattese forme con due centri di gravità globali: uno nel Medio Oriente arabo e l’altro nell’Africa subsahariana. L’estremismo islamico è una delle principali fonti di persecuzione in 40 paesi sui 50 della WWL 2015; seguono le violenze legate alla “paranoia dittatoriale” (vedi Corea del Nord) e alla “criminalità organizzata” (vedi l’America del Sud). L’imponente fenomeno dei rifugiati/profughi in fuga (da Siria, Iraq, Nigeria e altri paesi africani) sta davvero cambiando la geografia cristiana di quelle regioni. I paesi dove i cristiani hanno sperimentato “maggiore violenza” sono nell’ordine: Nigeria, Iraq, Siria, Repubblica Centrafricana, Sudan, Pakistan, Egitto, Myanmar, Messico e Kenya. Secondo WWL 2015, oltre 4mila cristiani sono stati uccisi per ragioni collegate alla fede e più di 1.000 chiese sono state attaccate per lo stesso motivo.
Stato islamico
e Boko Haram
La violenza dell’IS (Stato Islamico) in Iraq e Siria ha giustamente dominato i titoli delle testate internazionali. In Siria, il livello di libertà per i cristiani è praticamente scomparso. Già nel febbraio 2014, i cristiani della città di Raqqa sono stati costretti a firmare un contratto che viola la loro libertà. Dall’inizio della guerra civile nel 2011, 700mila cristiani sono fuggiti dal paese, di cui 200mila l’anno scorso. Così in Iraq, da quando è stato costituito il califfato islamico in alcune zone, un flusso di cristiani e di yazidi (fedeli di un’antica religione monoteista della Mesopotamia), di musulmani sciiti e di shabaq (altra minoranza religiosa autoctona) è in fuga. Molti cristiani sono profughi interni fuggiti nella regione curda; gran parte della comunità cristiana (140mila) è scomparsa, come a Mosul o nella piana di Ninive e i rimasti sono stati costretti a convertirsi all'islam.
Già da tempo nel mirino dei Rapporti di ACS, per la prima volta invece in WWL 2015, troviamo poi il paese africano del Sudan, a causa del deterioramento della situazione dei cristiani convertiti dall’islam e della violenza collegata alla fede contro i cristiani sulle montagne di Nuba. Dal distacco del Sudan del Sud, a maggioranza cristiana, il Nord è diventato a maggioranza musulmana e subisce l’influenza dei radicali. Una pressione simile è presente in Eritrea, in particolare contro comunità protestanti non tradizionali, ortodossi spostatisi nelle chiese protestanti non tradizionali e cristiani ex musulmani: l’azione del presidente Isaias Afewerki spinge i cristiani eritrei a lasciare il paese per cercare una vita migliore. Come detto, anche la Nigeria è tra le prime nazioni della WWL: il gruppo Boko Haram ha annunciato un califfato simile a quello mediorientale nella città di Gwoza (nord del paese), diffusosi anche nello stato di Borno e di Adamawa. I Boko Haram sono ritenuti responsabili di quasi 4mila morti nel 2014, di cui la maggior parte cristiani. Nel paese è scoppiata pure la violenza dei pastori/nomadi islamici Hausa-Fulani contro persone innocenti: le mosse governative per istituire pascoli a loro vantaggio faranno espropriare i terreni delle comunità cristiane indigene.
Un’islamizzazione strisciante coinvolge anche Kenya, Gibuti e Tanzania. In Kenya (a maggioranza cristiana, mentre il 10/15% della popolazione è musulmana a prevalenza sunnita), i musulmani vogliono inserire la sharia nella legislazione statale. Per le influenze radicali provenienti dalla Somalia, i politici musulmani progettano l’eliminazione della Chiesa. A Gibuti invece l’islam è religione di stato e cresce la tendenza ultraconservatrice nella forma del wahhabismo saudita (movimento islamico sorto alla fine del 1700). In Tanzania il centro gravitazionale della persecuzione è la Uamsho (Associazione per la mobilitazione e la propagazione islamica, nota anche come “Risveglio”), che utilizza Zanzibar come trampolino per promuovere la realizzazione di uno stato islamico dove non ci sarebbe posto per cristiani e persone di altre religioni. Secondo un ricercatore di Porte Aperte: «I bambini vengono molestati nelle aree di istruzione e ricreazione sociale nelle isole e nelle zone a maggioranza musulmana. I bambini cristiani vengono maltrattati e abusati».
Ci sono anche nuovi paesi a rischio. In Messico sono in forte aumento le violenze contro i cristiani per l’aumento della criminalità legata al traffico di droga, spostatasi dalla Colombia verso l’America centrale. Le organizzazioni criminali prendono di mira i cristiani, considerati fonti di entrate (estorsioni) e perché essi promuovono forti alternative al crimine. Ma anche le comunità indigene, convertite dalle religioni tradizionali, sono vittime di violenza. In Turchia chi si converte al cristianesimo può sempre andare incontro a problemi, con pressioni per tornare all’islam. Solo due le denominazioni riconosciute: Chiesa Greco-Ortodossa e Chiesa Apostolica Armena (insieme formano il 70% della popolazione cristiana); ma la legislazione vieta loro di gestire seminari di formazione del clero. Sventato nel 2014 un complotto per assassinare il patriarca greco-ortodosso di Fener, Bartolomeo. Infine, in Azerbaigian sempre meno chiese sono in grado di funzionare legalmente; molti cristiani non riescono a trovare o mantenere i posti di lavoro e sono monitorati dai servizi segreti, mentre il governo autoritario limita le espressioni pubbliche delle minoranze religiose.
Il sacrificio di tanti
operatori pastorali
I cinque operatori pastorali uccisi in Messico sono la punta dell’iceberg presente nel Rapporto 2014 curato dall’Agenzia Fides. Nel 2014 si contano 26 operatori uccisi, tre in più rispetto al 2013. Per il sesto anno consecutivo, il numero più elevato di delitti si registra in America. Nel complesso, dal 1980 al 2014 hanno perso la vita in modo violento ben 1062 operatori. Solo il decennio 1990-2000 presenta il numero di 604 operatori uccisi: cifra elevata a causa delle morti causate dal genocidio del Rwanda (1994) e del nuovo criterio di calcolo (ai missionari ad gentes in senso stretto si aggiunge il personale ecclesiastico ucciso in modo violento o che ha sacrificato la vita pur di non abbandonare le persone a loro affidate).
Concentrandosi sull’ultimo decennio (2004-2013), troviamo che sono 230 gli operatori pastorali uccisi, di cui tre vescovi. Più dettagliatamente, sono morti in modo violento 17 sacerdoti, 1 religioso, 6 religiose, 1 seminarista, 1 laico: 14 delitti sono avvenuti in America (12 sacerdoti, 1 religioso, 1 seminarista), 7 in Africa (2 sacerdoti, 5 religiose), 2 in Asia (1 sacerdote, 1 religiosa), 2 in Oceania (1 sacerdote, 1 laico), mentre si conta 1 sacerdote ucciso in Europa. Ancora una volta, la maggior parte degli operatori ha trovato la morte in seguito a tentativi di rapina o furto, «segno del clima di degrado morale, povertà economica e culturale», contesti in cui «violenza e mancanza del minimo rispetto per la vita umana diventano regola di vita. Nessuno di loro ha compiuto azioni o gesti eclatanti, ma ha vissuto con perseveranza e umiltà l’impegno quotidiano di testimoniare Cristo e il suo vangelo in tali complesse situazioni». Sul versante delle indagini riguardanti gli uccisori, si ricorda che nel 2014 sono stati condannati i mandanti dell’omicidio del vescovo di La Rioja (Argentina), Enrique Angelelli, trent’otto anni dopo il suo assassinio camuffato da incidente stradale; condannati anche mandanti ed esecutori dell’omicidio di Luigi Locati, vicario apostolico di Isiolo (Kenya), assassinato nel 2005; arrestati, ancora, i responsabili della morte del rettore del Seminario di Bangalore (India), p.Thomas, ucciso nel 2013.
«Desta ancora preoccupazione, afferma Fides, la sorte di altri operatori pastorali sequestrati o scomparsi, di cui non si hanno più notizie, come i tre sacerdoti congolesi Agostiniani dell’Assunzione, sequestrati nel nord Kivu (Repubblica democratica del Congo) nel 2012; del gesuita italiano p. Paolo Dall’Oglio, rapito in Siria nel 2013; di p. Alexis Prem Kumar, rapito nel giugno 2014 ad Herat, in Afghanistan». Agli elenchi provvisori stilati annualmente dall’Agenzia Fides, deve sempre essere aggiunta la lunga lista dei tanti, di cui forse non si avrà mai notizia, che soffrono e pagano con la vita la loro fede in Gesù Cristo.
Mario Chiaro