Nava Pier Luigi
Il denaro deve servire non governare
2015/12, p. 22
Alla luce anche degli insegnamenti del Magistero di papa Francesco, (Evangelii gaudium e Laudato si’), sono state indicate le linee orientative per la gestione dei beni e i percorsi per concretizzare uno stile evangelico di servizio e di povertà proprio ad un istituto.

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55° Assemblea generale della CISM
“IL DENARO DEVE SERVIRE
NON GOVERNARE”
Alla luce anche degli insegnamenti del Magistero di papa Francesco, (Evangelii gaudium e Laudato si’), sono state indicate le linee orientative per la gestione dei beni e i percorsi per concretizzare uno stile evangelico di servizio e di povertà proprio ad un istituto.
La 55a Assemblea generale della CISM è stata celebrata a Bari dal 3 al 6 novembre scorso, sul tema “Il denaro deve servire e non governare” (EV 58). La responsabilità del Superiore Maggiore e suo Consiglio per l’amministrazione e gestione dei beni ecclesiastici.
L’Assemblea ha messo a confronto i responsabili dei Religiosi in Italia in linea con una specifica programmazione che ha per focus la “responsabilità” del Superiore Maggiore: la responsabilità personale (Bussolengo 2001); la cor-responsabilità del consiglio (Monopoli 2005); le responsabilità condivise nella formazione (Olbia 2006). A Bari il filo conduttore sono state le Linee orientative per la gestione dei beni negli Istituti di vita consacrata e nelle Società di vita apostolica, la lettera circolare della CIVCSVA pubblicata lo scorso 02.09.2014.
Cinque
percorsi
L’attualità del tema va ben oltre i risvolti mediatici della cronaca degli ultimi anni. Il Presidente della CISM, p. Luigi Gaetani o.c.d., – nella prolusione d’apertura – nel rivisitare gli insegnamenti del Magistero di papa Francesco, (Evangelii gaudium e Laudato si’), ha enucleato cinque percorsi per concretizzare uno stile evangelico di servizio e di povertà proprio ad un istituto.
Affratellare e creare comunione: non è con il molto che si condivide ma con il poco, come ha fatto Gesù, con stile eucaristico (Mt 14, 15-21).
Renderci non padroni ma ospiti ed ospitali in questo mondo, perché tutto ciò che abbiamo e siamo è dono di Dio; come dono va gratuitamente restituito a servizio degli altri, degli ultimi in particolare, degli impoveriti creati dalla economia dell’esclusione, degli immigrati.
Educarci alla responsabilità, come vera attenzione verso chi sta più indietro, facendosi povero tra i poveri. La responsabilità come attenzione e custodia per il creato, come attenzione all’altro, come sobrietà di vita e capacità di vincere l’indifferenza.
Attivare la fiducia come impegno ad uscire da se stessi in un’esistenza che si nutre non di appropriazione, ma di espropriazione di sé.
Avere cura di sé e trasparenza nella gestione dei beni personali e della comunità. Infine, rifiutarci di giocare in borsa, o di cercare il massimo profitto.
Non si può prescindere
dalla gratuità
In sintonia con le indicazioni del Dicastero si è offerta l’opportunità di puntualizzare alcuni aspetti di carattere canonico-giuridico e gestionale. Un’economia autenticamente umana non può prescindere dalla gratuità, altrimenti si esce insieme dall’umano e dall’economico. Così ha sottolineato l’economista sr. Alessandra Smerilli, fma, docente all’ Auxilium e alla Bicocca di Milano. Se l’economia è attività umana, essa non è mai eticamente e antropologicamente neutrale: o costruisce rapporti di giustizia e di charitas, o li distrugge: tertium non datur.
Gli Istituti vivono anche di questa gratuità. L’obiettivo primario è di crescere e svilupparsi senza perdere la fedeltà al movente ideale che l’ha originata, senza distaccarsi dal proprio carisma, quindi senza perdere la gratuità (charis). La gratuità non è il gratis (prezzo zero) ma il valore infinito, non è il disinteresse ma l’interesse per tutti e di tutti. Per queste innovazioni occorrono i carismi, religiosi e laici, persone capaci di vedere diversamente, dai crinali dell’agape, le pietre scartate del loro tempo e trasformarle in testate d’angolo. Il carisma diviene, quindi, il dono di “occhi diversi” per vedere risorse e cose belle dove gli altri vedono solo dei problemi. Soprattutto “occhi diversi” per conoscere “l’ampiezza del campo di Dio più del proprio stretto giardino” (Papa Francesco).
I religiosi
messi alla prova
Il binomio amministrazione-gestione dei beni ecclesiastici e responsabilità dei superiori maggiori costituisce oggi uno degli ambiti più delicati, più urgenti sui quali la vita consacrata è interpellata. Come ha puntualizzato p. Luigi Sabbarese, cs, Decano della Facoltà di Diritto canonico dell’Urbaniana. E ciò non solo per la complessità dell’amministrare ma anche per la domanda di senso e per un certo smarrimento che tale complessità di fatto comporta. I religiosi sono messi alla prova, in quanto la post-modernità ha prospettato modelli “altri” e ha elaborato criteri economico-finanziari, che rendono molto più complessa l’amministrazione-gestione dei nostri istituti. Da una parte, infatti, la vita consacrata e la sua regolamentazione canonica continua a pensare ai beni degli istituti come ecclesiastici, con le finalità proprie, con uno stile peculiare che eviti lusso, guadagno eccessivo, cumulo di beni (cf. can. 634 § 2), che faciliti la povertà, da testimoniare anche in forma collettiva (cf. can. 640). Dall’altra, i beni ecclesiastici e la loro amministrazione, confrontati con l’economia e la finanza, se non entrano in una relazione di giusto equilibrio, potrebbero essere facilmente fuorviati verso un percorso che induce a convincersi che i beni sono fine e non un mezzo e che, quindi, l’amministrazione e la gestione dei beni deve puntare al vantaggio massimo che può ottenere. Se si assolutizza tale prospettiva, si fa propria una prospettiva macroeconomica che sviluppa l’idea secondo cui l’uomo è orientato all’opportunità personale e alla risposta ai suoi bisogni.
Il patrimonio
stabile
Nell’ambito canonico p. Vincenzo Mosca, o.carm., docente di diritto canonico all’Urbaniana, ha presentato la Nota sul patrimonio stabile di un Istituto religioso, preparata dall’area giuridica CISM. Nella realtà contemporanea, non è più facilmente determinabile la distinzione tra beni immobili e mobili facendo ricorso al diritto romano. I beni immobili non hanno più la rilevanza che avevano nel passato. Pertanto per definire i beni inalienabili, quelli cioè che sono destinati ad assicurare la sussistenza e le finalità della persona giuridica, ha richiesto che si trovasse una nuova espressione che è appunto quella di “patrimonio stabile”. Questi beni non servono per la vita ordinaria della persona giuridica, ma costituiscono la base, il supporto finanziario, che permetta alla stessa lo svolgimento della sua attività per conseguire le sue finalità istituzionali. Ciò comporta vigilare sul fatto che la gestione dei beni appartenenti al patrimonio stabile continui ad essere in linea con le finalità proprie dell'Istituto, affinché esso non si sovraccarichi con patrimoni o attività lontane da quelle istituzionali. Occorre avere una visione dinamica del patrimonio intero, stabile, e non, con un dosaggio sapienziale di efficienza ma anche di spirito evangelico. Dove questi beni risultassero, sotto tutti i punti di vista, solo un aggravio è preferibile ipotizzare la loro dismissione.
Trasparenza
e onestà
Il prof. Nicola Colaianni, magistrato della Suprema Corte di Cassazione, ha fornito spunti di particolare interesse circa la trasparenza e l’onestà nell’amministrazione dei beni ecclesiastici. Nel conteso della legislazione civile la trasparenza è intesa come accessibilità totale delle informazioni concernenti l’organizzazione e l’attività delle pubbliche amministrazioni, allo scopo di favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche (cf. art. I, comma, del d.lgs, n. 33 del 14 marzo 2013). La legislazione civile fonda i due concetti – accessibilità e controllo – nelle leggi di varia natura e diverso rango (di rango costituzionale o legge ordinaria). Trasparenza e onestà oltre all’indiscutibile valenza deontologica, si esprimono come autentico senso ecclesiale, cioè nel modo con cui i fedeli sono e percepiscono l’essere Chiesa e la loro appartenenza alla Chiesa. In relazione agli istituti “la trasparenza è fondamentale per l’efficienza e l’efficacia delle missione” (Linee orientative, 10). Pertanto ci si deve dotare di strutture e meccanismi adeguati, efficaci, ossia all’altezza della propria missione e delle aspettative che in essa sono risposte. Di qui la stretta connessione – già richiamata da papa Francesco – di trasparenza con vigilanza.
Gli enti
ecclesiastici
Trascorso ormai un trentennio dall’Accordo di Villa Madama, la disciplina degli enti ecclesiastici appare saldamente ancorata ai principi bilateralmente convenuti alla metà degli anni ottanta. Il prof. avv. Venerando Morando, docente di diritto ecclesiastico all’Università di Lecce e responsabile dell’Osservatorio legislativo della C.E.I., ha presentato un’articolata disamina di alcune problematiche circa gli enti ecclesiastici. Recenti sviluppi del diritto comune rilevano l’introduzione di regole che interessano la condizione e l’attività degli enti ecclesiastici senza tener conto (o perlomeno senza tener conto adeguatamente) della loro specialità. Si tratta di interventi settoriali, di carattere normativo o giurisprudenziale, riferiti ad ambiti eterogenei e (anche per questo) rivelatori della pervasività di una linea di tendenza che potrebbe comportare problemi per l’unità e la coerenza del sistema. In questa prospettiva, il relatore ha richiamato in particolare, con riguardo al quadro normativo, il tema della cosiddetta “responsabilità da reato” delle persone giuridiche (D. lgs. n. 231/2001); del regime tributario in materia di Ici/Imu (D.M. n. 200/2012); delle proposte di riforma in materia di enti non profit (Ddl n. 2617) e, con riguardo alla giurisprudenza, il tema delle procedure concorsuali.
Richiamando il Magistero di papa Francesco, il presidente della CISM p. Gaetani, ha sottolineato – a conclusione dei lavori – che la vita consacrata «sceglie di essere profetica» per «non rischiare l’idolatria, svincolandosi dall’insignificanza e dalla mondanità spirituale, dalla “dittatura di una economia senza volto e senza uno scopo veramente umano» (EG n. 55). “Ah! Come vorrei una Chiesa povera e per i poveri”. «Questa opzione – ha continuato il presidente – allarga gli orizzonti, ci svincola da inutili e bizantini tentativi di rispondere alle cangianti fenomenologie dei poveri: chi sono, quanti sono, quali i nuovi poveri, dove si concentrano; ci solleva da quelle faticose e mai concluse riflessioni che domandano se una Chiesa povera può essere allo stesso tempo Chiesa per i poveri o se non ha essa bisogno, per fornire aiuto, di ospedali, scuole, case per anziani e altre opere. Orizzonti che portano la vita consacrata ben «oltre la semplice considerazione sullo scopo e uso dei beni affidati alla Chiesa» e alla missione della vita consacrata nella Chiesa.
Pier Luigi Nava smm