Ferrari Matteo
Dalla Parola le parole
2015/12, p. 19
Siamo veramente uomini e donne che attendono e sperano? Cosa speriamo, cosa attendiamo? E al ritorno del Signore crediamo veramente? Si tratta di domande fondamentali per vivere l’Avvento.
Riscoprire il vocabolario dell’Avvento
DALLA PAROLA
LE PAROLE
Siamo veramente uomini e donne che attendono e sperano? Cosa speriamo, cosa attendiamo? E al ritorno del Signore crediamo veramente? Si tratta di domande fondamentali per vivere l’Avvento.
L’Avvento è un tempo che potremmo definire “sfuggente”. Ci capita spesso anche in molte altre occasioni dell’anno liturgico di correre il rischio di dire “parole vuote”, che hanno un grande valore nella storia della teologia e della spiritualità, che in realtà sono lontane dalla nostra vita. Questo è un rischio particolarmente insidioso per l’Avvento, che parla di venuta del Signore, di attesa, di vigilanza, di speranza. Si tratta di realtà e di termini che sono sulle nostre labbra nelle catechesi sull’Avvento, nei testi liturgici, nelle omelie. Tuttavia quanto essi sanno veramente toccare e trasformare la nostra vita? Siamo veramente uomini e donne che attendono e sperano? Cosa speriamo, cosa attendiamo? E al ritorno del Signore crediamo veramente? Si tratta di domande fondamentali per vivere l’Avvento, che ogni anno dobbiamo porci.
Chi può dare una risposta a queste domande? Che cosa può rendere il “vocabolario dell’Avvento” capace di toccare la nostra esistenza e di dirle una parola autentica e significativa? L’unica realtà che può accompagnarci per vivere in modo significativo il tempo di Avvento è la Parola di Dio, il Lezionario che ci guida giorno dopo giorno nell’itinerario tracciato da questo tempo dell’anno liturgico. Cerchiamo allora di cogliere qualche spunto a partire dai testi biblici che la liturgia della Parola delle domeniche di Avvento dell’anno C ci presenta, sapendo che le domeniche sono le tappe fondamentali che segnano il cammino di ogni tempo liturgico.
Il Lezionario
dell’Avvento
Prima però di addentrarci nelle singole domeniche, cerchiamo di comprendere come è costruito il Lezionario dell’Avvento. È importante fare questa premessa, per poter interpretare correttamente i testi biblici e il rapporto che intercorre tra le varie letture della celebrazione eucaristica domenicale. I criteri di scelta dei testi biblici del Lezionario liturgico vengono dati dall’Ordo lectionum Missae. Al n. 93 di questo documento leggiamo:
«Le letture del Vangelo hanno nelle singole domeniche una loro caratteristica propria: si riferiscono alla venuta del Signore alla fine dei tempi (I domenica), a Giovanni Battista (II e III domenica); agli antefatti immediati della nascita del Signore (IV domenica).
Le letture dell’Antico Testamento sono profezie sul Messia e sul tempo messianico, tratte soprattutto dal libro di Isaia. Le letture dell’Apostolo contengono esortazioni e annunzi, in armonia con le caratteristiche di questo tempo».
Innanzitutto si afferma che il brano evangelico di queste domeniche è scelto con criteri tematici e di conseguenza indica l’itinerario che la Chiesa compie in questo tempo. Questo primo dato ci dice una cosa importante per l’interpretazione del lezionario: nel tempo di Avvento le domeniche non vanno viste separatamente l’una dall’altra ma come “un percorso” che la liturgia ci fa compiere. Si parte dalla fine, cioè da brani evangelici tratti dai discorsi apocalittici presenti nei vangeli sinottici. Nella II e III domenica la figura di riferimento è Giovanni il Battezzatore, come precursore del Messia e figura dell’attesa. Infine nella IV domenica si leggono testi tratti dai vangeli dell’infanzia, che narrano i fatti che precedono la nascita di Gesù. Il tema escatologico tuttavia non riguarda solo la prima domenica, ma, come abbiamo già affermato, rimane un criterio interpretativo di fondo di tutti i brani evangelici dell’Avvento, compreso quello della IV settimana che sembrerebbe riferirsi maggiormente alla prima venuta del Signore.
I testi delle prime letture sono tratti principalmente da libri profetici. In essi, vi sono gli annunci della venuta del Messia, in modo che tutta la storia della salvezza e dell’umanità viene letta come animata da una gioiosa attesa di Dio, capace di ridare speranza. Se la letteratura profetica si presenta come parola di Dio rivolta a momenti concreti della storia dell’umanità, anche oggi una tale parola risuona nella nostra storia per aprirla all’attesa e alla speranza. Infine le seconde letture hanno principalmente un tono parenetico o di annuncio della manifestazione di Dio in Cristo Gesù. Senza scadere nel moralismo, esse indicano quale può essere una condotta di vita adeguata per chi abita la storia, sapendo che essa è in attesa di colui che viene per portare salvezza.
Questi sono brevemente i criteri che il Lezionario ci offre per interpretare i testi biblici del tempo di Avvento. È sempre molto importante, per leggere le letture del Lezionario e per preparare un’omelia, ritornare ai criteri di fondo che sono stati assunti per costruire il Lezionario stesso.
I Domenica:
alzate il capo
Con la prima domenica inizia la lettura del vangelo di Luca, che ci accompagnerà in tutto l’anno C. Tra tutti gli evangelisti, Luca sembra essere quello che maggiormente pone attenzione ad una lettura della storia come “storia di salvezza”. La storia, per Luca, è divisa in tre tempi: il tempo della promessa; il tempo della realizzazione, cioè Cristo che costituisce “il centro del Tempo”, e infine il tempo della Chiesa nel quale, sotto l’azione dello Spirito Santo, i credenti sono chiamati a vivere la loro esistenza senza fughe dalla realtà, né false illusioni. Questi tre tempi della storia, che Luca contempla a partire da Cristo, che ne costituisce il centro e la chiave interpretativa, sembrano essere il tema anche delle tre letture di questa domenica.
Nella prima lettura infatti (Ger 33,14-16) Geremia, nel tempo della promessa, invita il popolo di Dio, che vive l’esperienza della sconfitta e dell’esilio, a non dubitare delle promesse di Dio, perché Dio non viene meno nel realizzare ciò per cui si è impegnato: «Ecco verranno giorni oracolo del Signore nei quali io realizzerò le promesse di bene che ho fatto alla casa di Israele e alla casa di Giuda». In un altro brano di Geremia troviamo un passo molto bello e suggestivo che parla della fedeltà di Dio, come un “vegliare/vigilare di Dio” sulla sua Parola per realizzarla. Al profeta YHWH dice: «io sto vigilando sulla mia parola per eseguirla» (Ger 1,12). Se l’Avvento è il tempo della vigilanza del credente nell’attesa del Signore che viene, in questo testo si parla di un “vigilare teologico”. Anche Dio vigila e l’Avvento è il tempo anche di questa vigilanza, che si pone come fondamento e senso della vigilanza dell’uomo. Se Dio non vigilasse, il nostro vigilare sarebbe una pura illusione, un inutile rifugiarsi in sterili vie di fuga.
La seconda lettura, tratta dalla Prima lettera ai Tessalonicesi (1 Tes 3, 12-4,2), guarda alla vita presente del cristiano e invita alla carità: «Il Signore poi vi faccia crescere e sovrabbondare nell’amore scambievole e verso tutti». Questa, secondo l’Apostolo, è la prospettiva con la quale “stare” nella storia: quella dell’amore.
Infine il brano del Vangelo (Lc 21,25-28.34-36) non parla del “cuore” della storia, cioè del “tempo della visita” di Dio in Cristo Gesù, ma della storia dell’umanità a partire da tale centro. Come vivere nella storia e nel tempo dopo la venuta di Gesù? Con quali occhi guardare il presente e il futuro? Sono queste le domande alle quali il brano del vangelo di Luca di questa domenica tenta di dare una risposta.
II Domenica:
la parola nel deserto
Nella II domenica di Avvento compare una delle figure che maggiormente caratterizza questo tempo liturgico, quella di Giovanni Battista (Lc 3,1-6). La figura di Giovanni il battezzatore, che è presente nella seconda e nella terza domenica di Avvento, con tutti i richiami veterotestamentari che essa evoca (Elia, Geremia, i profeti…), si mostra come “icona” particolarmente forte di questo tempo che la Chiesa celebra.
Giovanni, possiamo dire, è l’uomo dell’Avvento, “cerniera” tra l’antica attesa, che nella venuta del Messia Gesù si è realizzata, e l’attesa di una compimento pieno e totale che ancora attendiamo e alla cui luce già ci muoviamo. Infatti Giovanni è per il Nuovo Testamento il “precursore”, quella figura che nell’Antico Testamento doveva precedere la venuta del tempo del Messia. Ma, se è così, il tempo di Giovanni non è solo icona che ci parla dell’attesa della venuta nella storia del Messia, ma rimane sempre annuncio dei tempi ultimi e del “giorno di YHWH” che ancora attendiamo nella fede, nella speranza e nella carità.
Proprio per questo motivo la figura di Giovanni Battista può essere considerata, anche oggi, come la figura di un “uomo dell’Avvento”, parola sempre rivolta ad ogni uomo e ad ogni donna che attraversano la storia in cammino verso l’incontro ultimo e definitivo con Colui che deve venire. E ad ogni uomo e ogni donna Giovanni continua a dire che questo è il tempo di “Colui che viene!”.
Nel complesso la liturgia della Parola aiuta a collocare una tale figura nella prospettiva dell’Avvento. Nel libro del profeta Baruc (Bar 5,1-9) si annuncia agli esuli un ritorno futuro, usando il linguaggio dell’esodo. Mentre la seconda lettura tratta dalla Lettera ai Filippesi ci cala nell’oggi e ci mostra come ciò che viene annunciato è una realtà che non riguarda solo il passato ma tocca la nostra esperienza di credenti.
III Domenica:
rallegratevi nel Signore
Un tema che attraversa la liturgia della III Domenica di Avvento è certamente quello della gioia (Sof 3, 14-18; Is 12; Fil 4, 4-7; Lc 3, 10-18). Un tema che troviamo in questo anno C, ma che caratterizza un po’ tutti gli altri cicli liturgici: potremmo dire un tema trasversale. La terza domenica nella liturgia risuona come un “tempo di gioia” per una presenza attesa e “toccata”, che si fa sempre vicina.
Invece di pensare che la domenica III è la “domenica della gioia” perché ci avviciniamo al Natale, o perché si vive come un momento di sosta gioiosa nell’impegno del cammino dell’Avvento – tema che per altro sarebbe più logico per la Quaresima che per l’Avvento –, potremmo ritenere questa domenica come la domenica della gioia dell’Avvento. Quindi non si tratterebbe di “isolare” il tema della gioia a questa domenica per la vicinanza del Natale, né si tratterebbe di considerarla come una “sosta” nel cammino di questo tempo, bensì di vedere in essa come la manifestazione di quella gioia che dovrebbe illuminare tutto il tempo liturgico dell’Avvento e quindi tutta l’esistenza cristiana.
Mi pare una prospettiva molto più ricca e più vera: la terza domenica di avvento – con le letture bibliche che la caratterizzano – ci narra “la gioia dell’Avvento”. Il tempo della vita dell’uomo può essere abitato dalla gioia, perché proteso verso un incontro, e abitato da una Presenza. È questo l’evangelo che per il tempo dell’uomo è il “sacramento” dell’Avvento.
Ma non basta usare la parola “gioia”, occorre dare un volto a questo sentimento che la liturgia di oggi ci invita a scoprire come proprio della esperienza credente. Quale volto ha la “gioia dell’Avvento”, cioè, più in generale, quale volto ha la gioia cristiana? Sono le letture della liturgia di questa domenica a narrarcene il volto!
IV Domenica:
la gioia dell’incontro
Con la quarta domenica di Avvento la liturgia, dopo essere “partita dalla fine”, dal compimento della storia e dalla venuta del Figlio dell’uomo, dopo aver ascoltato la “parola” che è Giovanni il Battezzatore, l’uomo del deserto e dell’Avvento, nell’ultima tappa iniziamo la lettura di quei testi che nei Vangeli narrano la venuta storica del Messia. In particolare sono i “poveri” di YHWH a fare la loro comparsa nella liturgia di questa domenica, e saranno essi i “protagonisti umani” di tutto il tempo di Natale: coloro che sanno accogliere! Gli umili e i poveri sono coloro che hanno occhi per vedere e riconoscere la “visita di Dio”. Fino alla solennità dell’Epifania saranno il “modello” per il credente che oggi è chiamato a vedere che Dio continua a visitare il suo popolo e ad incarnarsi nella storia perché tutto in Lui sia “re-intestato” (Ef 1,10).
Nel testo di Michea (Mic 5,1-4) si parla di piccolezza e di grandezza nel medesimo tempo. Betlemme è una piccola borgata della Giudea che è chiamata ad essere il luogo della nascita di colui che “pascerà il suo popolo con la gloria del Signore”. Nel brano evangelico (Lc 1,39-48) il farsi strada della salvezza nella storia assume il linguaggio di un incontro. Le relazioni umane di due donne appartenenti al popolo di Israele sono il linguaggio che il vangelo di Luca utilizza per descrivere l’arrivo dei tempi del Messia. L’incontro di due donne incinte, entrambe custodi della vita che attende di sbocciare, diviene immagine della storia “gravida” che sta per partorire un tempo nuovo e definitivo. Una donna sterile e anziana, come ai tempi di Abramo il primo padre; una donna vergine, sposa pronta per l’incontro con il suo sposo, come il popolo che nel suo esilio si sente promettere da Dio di essere “rifatto vergine” per grazia: «Ti farò mia sposa per sempre, ti farò mia sposa nella giustizia e nel diritto, nella benevolenza e nell’amore, ti fidanzerò con me nella fedeltà e tu conoscerai il Signore» (Os 2,21-22). Una donna “sterile” ed una donna “vergine” diventano immagini dell’umanità che diviene capace di generare la vita. Lì, proprio lì, dove sembra che sia impossibile ogni segno di vita, ogni speranza di futuro, l’intervento di Dio fa fiorire la gioia, la danza, l’esultanza e il canto.
Questo breve percorso attraverso i testi biblici del Tempo di Avvento dell’anno C non può – e non deve – dare risposta alle domande che ci siamo posti all’inizio. Può solo indicarci una strada: l’ascolto personale e comunitario della Parola di Dio che può dare consistenza e verità ad un “vocabolario dell’Avvento” che altrimenti rischia di non toccare e trasformare la nostra esistenza.
Matteo Ferrari, monaco di Camaldoli