Dal Direttorio (1993) alla Relatio (2015)
2015/12, p. 8
L’ampio dibattito che ha caratterizzato il percorso
sinodale, ha visto attiva la Chiesa italiana, che ha
riscontrato numerose conferme di esperienze e di
contenuti da tempo elaborati. Così si è espresso mons.
Solmi, nell’intervista che segue.
Interviste sul sinodo a mons. Solmi
Dal direttorio (1993)alla relatio (2015)
L’ampio dibattito che ha caratterizzato il percorso sinodale, ha visto attiva la Chiesa italiana, che ha riscontrato numerose conferme di esperienze e di contenuti da tempo elaborati. Così si è espresso mons. Solmi, nell'intervista che segue.
Lei si è molto occupato di famiglia e ha presieduto la Commissione episcopale per la famiglia. Ha partecipato al sinodo dell’anno scorso e a quello di quest’anno. Quanto l’esperienza della chiesa italiana in merito si è specchiata nelle discussioni del sinodo? Quanto ha dato e quanto ha ricevuto?
L’ampio dibattito che ha caratterizzato il percorso sinodale, perché tale si qualifica, ha visto attiva la Chiesa italiana, che ha riscontrato numerose conferme di esperienze e di contenuti da tempo elaborati. La nostra Chiesa ha potuto offrire una storia ormai lunga e feconda di intuizioni che, a partire dagli anni post bellici, è progredita in un crescendo continuo fino ad arrivare alle elaborazioni e alle proposte del periodo post – conciliare. È forse mancata una acquisizione profonda di tale processo da parte della pastorale ordinaria delle chiese locali, lasciando di fatto la pastorale familiare in un settore particolare, senza “prendere sul serio” la possibilità di un suo impianto organico dentro la vita e la missione della chiesa. Uno dei contributi più forti del percorso sinodale è proprio quello di far superare questa mancanza che, alla fine, si è rivelata fondamentale. D’ora in poi, infatti, dice papa Francesco, non si può più parlare della famiglia come prima; ora è stata messa al posto che le spetta ( cfr. LG 11) dentro alla chiesa. Questa è l’acquisizione necessaria per la Chiesa italiana, maturata e offerta dal percorso sinodale.
Quali sono le linee più condivise delle esperienze di servizio pastorale alle famiglie in Italia?
È esperienza storica (ufficialmente risale al 1969) l’impegno per la preparazione al matrimonio, con l’obiettivo addirittura di ricavarne dei percorsi catecumenali, come il Sinodo ora ha voluto affermare con fermezza. La considerazione della famiglia ( in Italia fino agli anni ’80 si sarebbe detto della “coppia” e della “famiglia”) come soggetto di pastorale dotato di un particolare ministero, acquisizione precedente alle chiare affermazioni di Familiaris Consortio. L’esperienza di percorsi di formazione per gli sposi e le famiglie attraverso l’esperienza di “gruppi famiglia”, che hanno assunto un ruolo sempre più importante dentro alle parrocchie, con lo sforzo di darsi - a livello diocesano - una identità precisa, un collegamento, una differenziazione per le varie fasi della vita. Un patrimonio di riflessione teologica e pastorale, nata dal basso, sostenuta da un fecondo dialogo con teologi e pastori disponibili, che ha tenuto desta la tensione pastorale per la famiglia. Possiamo citare – come espressione del concretizzarsi di questa relazione – la pubblicazione del Direttorio di Pastorale Familiare (1993), che raccoglie una storia vera per rilanciarla, e il lavoro continuo della Conferenza Episcopale, che ha sostenuto un ricco mondo di confronti e di scambi che ha interessato l’intero territorio nazionale.
3. Come ha raccontato ai suoi fedeli quello che è successo in sinodo? L’immagine dei media corrisponde a quanto è successo?
Mentre ero al sinodo, ho mantenuto uno stretto contatto con la diocesi, cercando di offrire chiavi di lettura di quanto stava accadendo.
Ne ho parlato subito al presbiterio e, subito dopo, all’intera Chiesa, presentandone la relazione finale, con lo spessore di riflessioni e di dibattiti che l’hanno caratterizzata come, tale ritengo sia stata, frutto di un’esperienza di Chiesa guidata dallo Spirito Santo. Ne ho sottolineato anche la necessaria incompletezza, perché essa è stata consegnata a papa Francesco, che dovrà portare a compimento un percorso già estremamente ricco e gravido di forti e “sconvolgenti” conversioni pastorali.
Moltissimi media durante il Sinodo ordinario hanno perduto un’occasione irripetibile di capire la vita della Chiesa e di entrare veramente nel merito delle questioni che dibatteva, del metodo scelto e del suo reale interesse. Sono rimasti spesso ancorati in luoghi comuni e stereotipati, appagando più le esigenze di un palato poco fine che cercava lo scoop o le polemiche, che servendo un’informazione vera e corretta. Mi spiace!
Nello scorso sinodo alcuni dei numeri della Relatio finalis non avevano ottenuto i due terzi necessari per l’approvazione. Quest’anno non è successo. Perché?
Personalmente mi sorprese questo esito dal momento che, nel Sinodo straordinario, i numeri che non hanno raggiunto i due terzi, erano descrittivi di un dibattito, più che assertivi in ordine alla indicazione di una nuova via. Resto fermo nella convinzione che la “via nuova” il Sinodo l’ha aperta ( forse trovandola tracciata dal vissuto di tanti sposi) ribadendo il valore della famiglia per la Chiesa e la sua pastorale, più che andarla a cercare in questioni specifiche che, proprio in questo rinnovato impegno, trovano il luogo per un loro approfondimento e per soluzioni di autentica misericordia già percorribili. Il Sinodo ordinario, approvando tutto, ha colto questa “svolta”, affidando a papa Francesco un testo che deve trovare un suo compimento. Credo che qui possa risiedere il motivo dell’approvazione dell’intera relatio finalis.
Se dovesse indicare le urgenze maggiori che la famiglia affronta a livello mondiale quali priorità indicherebbe? Quali sono le risorse spirituali e pastorali più condivise?
Ho usato un’immagine che ripeto: comporre una carta Peters della famiglia mondiale, che non abbia al centro la concezione e le problematiche maturate in Occidente e che (ben conscio della globalizzazione) sia rispettosa del modo di intendere il matrimonio e la famiglia in tutte le culture. Questa è un’urgenza dal punto di vista culturale, oltre che un atto di giustizia, perché tante famiglie sono vessate dal nostro modo di intendere fino a subire un “colonialismo culturale”, e straziate da tragedie quali la povertà, la persecuzione e la miseria. L’incontro di amore tra un giovane e una giovane, la fecondità, il senso di fede e di Chiesa, mi sembra siano emersi come valori antropologici e cristiani (non dimentichiamo mai la stretta loro connessione nel sacramento del matrimonio) dall’esperienza della famiglia in tutto il mondo.
Il ruolo di papa Francesco sembra essere stato importante. Cosa si aspetta dalla post-sinodale?
Papa Francesco ha ascoltato, è stato con il Sinodo, che ha vissuto cum Petro e sub Petro, un “Kairòs” di comunione. Mi aspetto un colpo d’ala, portando ancor più la famiglia nello stile dell’Evangelii gaudium e riservandoci le sorprese che lo Spirito Santo certamente le detterà.
A suo avviso quale rapporto ci può essere fra vita consacrata e famiglia? Quali aiuti reciproci?
È un tema da tempo discusso che ha trovato nella Chiesa italiana occasioni importanti di dibattito e di confronto. Credo che vada valorizzato il dato che entrambi, anche se in forma analogica, sono famiglie e – al di là di sostegni e di servizi reciproci – possono crescere nella conoscenza e stima. Resta una sfida importante per la Chiesa cercare di tessere tra tutti i doni dello Spirito un ordito bello e credibile; consacrati e sposi sono trame fondamentali di questo tessuto.
a cura di Lorenzo Prezzi