Prezzi Lorenzo
Tutti hanno avuto voce
2015/12, p. 6
Collegialità, libertà di parola, attenzione ai processi di inculturazione, anche a quelli più complessi. Il sinodo dei vescovi che si è da poco concluso, ha visto all’opera «pastori che hanno i piedi ben piantati sulla terra e non vivono sulla luna». È questo il bilancio redatto, in questa intervista, dal segretario speciale mons. Bruno Forte.
Interviste sul sinodo a mons. Forte
tuttihanno avuto voce
Collegialità, libertà di parola, attenzione ai processi di inculturazione, anche a quelli più complessi. Il sinodo dei vescovi che si è da poco concluso, ha visto all’opera «pastori che hanno i piedi ben piantati sulla terra e non vivono sulla luna». È questo il bilancio redatto, in questa intervista, dal segretario speciale mons. Bruno Forte.
Vescovo Bruno, al suo ritorno dal sinodo, di cui è stato segretario speciale, cosa ha risposto ai suoi fedeli che le chiedevano: com’è andato?
Mi sembra che il sinodo sia andato molto bene, perché è stata una ricchissima esperienza di Chiesa, di comunione cioè dei vescovi, rappresentanti di tutte le Chiese del mondo, col santo padre Francesco, in un dialogo totalmente libero e ricco della complessità delle situazioni, testimoniate con franchezza dai padri sinodali per trovare vie di prossimità e di servizio evangelico alla famiglia e alle famiglie nei più diversi contesti.
Quali momenti hanno assunto un particolare rilievo nei lavori sinodali (Instrumentum laboris, relatio Erdö, alcuni gruppi di lavoro ecc.)?
La novità rilevante della metodologia sperimentata in questo sinodo è stata il largo spazio dato ai circoli minori, articolati per scelta linguistica. Essi hanno potuto dar voce non solo ai singoli padri, ma anche alla ricerca comune di soluzioni e proposte di cui poi la relazione finale si è fatta portatrice. Secondo il desiderio più volte espresso da papa Francesco, si è promosso anche così il maggior esercizio possibile della collegialità episcopale.
Il papa nel suo discorso conclusivo martella sul Vangelo da non ridursi a «pietre morte» da scagliare contro qualcuno, su una Chiesa di santi perché si riconoscono perdonati, di una dottrina che prende luce dalla misericordia di Dio. Quale impatto sull’assemblea?
I discorsi e gli interventi del vescovo di Roma sono stati decisivi per il Sinodo. Francesco si è proposto con autorevolezza come il vescovo della Chiesa “che presiede nella carità”, secondo la formula nota di Sant’Ignazio di Antiochia (Lettera ai Romani, Saluto). E questo stile di presidenza nell’amore ha mostrato tutta la sua efficacia e fecondità. Peraltro, il parlare di Francesco è semplice e netto, senza giri di parole: e questo ha stimolato il Sinodo alla necessaria “parresìa” da avere nei suoi pronunciamenti.
Quali i punti e i momenti di maggiore resistenza al cammino sinodale?
Che alcuni fossero contrari a ogni cambiamento rispetto alla disciplina in atto è risultato chiaro sin dall’inizio. Questo gruppo – ampiamente minoritario – è rimasto compatto sino alla fine, come si vede dalle votazioni sui 94 punti della Relatio finalis. Tuttavia, questo è stato un bene, dando forza al metodo collegiale voluto da Francesco ed evidenziando che nessuno è stato tenuto fuori e che, se si rinnova la disciplina, non per questo cambia la dottrina della Chiesa.
Quanto pesa la diversità culturale dei continenti e delle tradizioni dei popoli in ordine alla concezione familiare?
Parecchio. Avendo partecipato a sei sinodi, a tre come esperto e a tre come sinodale, non esito a dire che questo in due tappe (l’Assemblea straordinaria del 2014 e quella ordinaria di quest’anno) è stato il primo sinodo che ho sentito veramente tale. Tutti hanno avuto voce, tutti con piena libertà. Di qui è venuta anche una nuova attenzione ai contesti e ai processi di inculturazione, non sempre facili. Si pensi, ad esempio, alla questione della poligamia in Africa e alle sfide poste dalle nozze di una persona che si battezza e che precedentemente viveva in situazione poligamica…
Nel momento del voto della relatio finalis ha avuto l’impressione che vi fosse una volontà coordinata di bloccare alcuni punti?
Sì, ma era coerente col gruppo che sin dall’inizio si è espresso contro ogni modifica della disciplina esistente. Una coerenza che va apprezzata e che fa risaltare l’esercizio reale della sinodalità messo in atto in questo Sinodo.
La convergenza nella valorizzazione della coscienza e del foro interno può diventare prassi pastorale?
L’attenzione alla coscienza fa parte della più genuina morale cattolica, come dimostra ad esempio l’insegnamento di Sant’Alfonso Maria de’ Liguori, patrono della morale cattolica. Tenerne conto è da sempre dovere dei confessori. Valorizzare questa attenzione, come ha fatto questo sinodo, è lodevole e utile.
Ritiene che la recente ricerca della teologia morale sia stata adeguata a supportare il cammino dei pastori?
Credo di sì: e ciò è avvenuto non solo per l’apporto di non pochi padri sinodali, ben formati in materia e ricchi di esperienza pastorale, ma anche per la presenza di esperti di grande qualità.
La distanza della pratica dei fedeli da alcune indicazioni ecclesiali sulla morale familiare quanto ha inciso nel dibattito?
La realtà della prassi pastorale mi sembra sia stata costantemente presente agli occhi dei padri, che non vivono sulla luna, ma come pastori hanno i piedi ben piantati sulla terra. Il rischio può esserci per qualche membro della curia, che forse manca di pratica pastorale diretta e attuale…
Quali interventi dei sinodali ricorda come particolarmente efficaci?
Molti, anzi talmente tanti da rendere impossibile una scelta che non faccia torto alla verità. La franchezza richiesta da Francesco ha dato frutti che sono andati al di là delle attese…
C’è stato un sinodo raccontato dai media. Il racconto corrispondeva ai fatti?
Non credo, da quanto mi è parso; ma sarei più onesto a dire che non ho seguito attentamente i media nei giorni del sinodo, impegnato com’ero nel mio lavoro di segretario speciale, responsabile della redazione del testo finale.
Tre episodi sono stati letti come volontà di condizionare il sinodo: la vicenda di mons. Charamsa, la lettera dei 13 cardinali e la notizia di un tumore del papa. Lei come ha reagito?
Con estrema serenità, sull’esempio di Francesco, che non ha dato alcun peso a questi eventi e anzi ha scherzato sulle notizie infondate sulla sua salute. A me è parso che il papa stesse benissimo, meglio di me, che mi sono molto stancato… Quando gli ho chiesto se lui si fosse stancato, mi ha risposto sorridendo che per lui il sinodo era stato un periodo di riposo, perché aveva potuto ascoltare tanto e parlare poco…
Gli episcopati maggiormente resistenti sono stati indicati in quello americano e polacco. È vero?
Su alcuni punti mi sembra di sì, anche se dovunque ci sono posizioni articolate. Anche questa è collegialità in atto!
Una rinnovata coscienza del ruolo della famiglia ha imposto all’attenzione di tutti il progetto cristiano. Quali sono le tendenze culturali e sociali più pericolose e contrarie?
Fra i giovani la privatizzazione dei legami d’amore e la paura di impegni definitivi, fra i nubendi la fatica di raggiungere condizioni che rendano serena e possibile la creazione di una nuova famiglia, nelle società occidentali una certa crisi dell’istituto familiare, anche se il desiderio di famiglia riscontrato dalle risposte ai questionari inviati alle Chiese di tutto il mondo risulta amplissimo, proprio fra gli stessi giovani…
Perché il pensiero laico sembra impotente davanti ai temi come il rapporto uomo-donna, genitori-figli, famiglia-società?
Non so se una certa mentalità sia impotente, perché anzi incide parecchio nel creare sfiducia verso il patto familiare. In ogni caso, per creare una famiglia occorre scommettere sulla forza dell’amore e dell’amore per sempre, aperto alla fecondità. E questo richiede coraggio e fede: l’affidamento al Dio fedele appare l’orizzonte di senso più affidabile in questo campo.
Sui temi morali le Chiese cristiane come quella anglicana e alcune delle Chiese protestanti conoscono divisioni molto profonde. Non è successo per la Chiesa cattolica. C’è un compito ecumenico anche in questa ricerca sulla famiglia?
La Chiesa cattolica ha il dono del ministero universale di unità, esercitato dal successore di Pietro. Un dono che ormai tanti ci invidiano, come posso attestare a partire dal mio impegno diretto nel dialogo ecumenico… Si pensi solo alle difficoltà che tanti fratelli ortodossi mi hanno testimoniato per arrivare al sinodo panortodosso dell’anno prossimo.
Che funzione ha avuto il riferimento alla pratica della chiesa ortodossa sulle seconde nozze?
Nessuna, anche perché non si tratta di seconde nozze, ma di “accondiscendenza” (synkatábasis) a non privare dell’aiuto della grazia chi è in una situazione di fallimento del vincolo precedente e di un nuovo impegnativo cammino, che propriamente non è visto come nuovo matrimonio.
a cura di Lorenzo Prezzi