Dall'Osto Antonio
Brevi dal mondo
2015/11, p. 36
BETLEMME
La Casa “Hogar Niño Dios”
A Betlemme c’è una casa chiamata “Hogar Niño Dios” dove cinque suore – tre argentine, una peruviana e un'egiziana – con l'aiuto di volontari e benefattori, assistono, educano e curano con fisioterapia, idroterapia e musicoterapia, bambini down, disabili, autistici, senza differenza di età o religione.
Come riferisce l’agenzia Zenit in un servizio del 18 settembre scorso, “Hogar Niño Dios” è un luogo allegro, dove i bimbi giocano, ridono, interagiscono tra loro, ricevono attenzione. Una realtà che stupisce, perché raccoglie diversi “casi”: sette bambini sulla sedia a rotelle, altri hanno la sindrome di Down, oppure sono autistici, iperattivi, disabili gravi. Un piccolo “Cottolengo”, insomma, con le suore e il cappellano, padre Gabriele Romanelli, che con pazienza infinita e grande affetto, soccorrono, curano, educano, e soprattutto amano i piccoli ospiti. In totale, questi, sono attualmente 25; ognuno di loro gode di un'attenzione particolare, in base ai problemi fisici ma anche educativi e affettivi.
Lo scorso 15 settembre la casa ha ricevuto la visita dei vescovi partecipanti alla Plenaria della CCEE (Consiglio delle Conferenze dei Vescovi d'Europa ). Ad accoglierli c’era suor Maria Pia superiora della comunità che ha raccontato loro le origini della struttura: è nata all’inizio della seconda Intifada, dalla constatazione da parte delle consorelle e dei confratelli della Famiglia religiosa del Verbo Incarnato dell’urgenza di fondare una casa per accogliere bambini malati, disabili, abbandonati, poveri.
La necessità è grande, ha spiegato suor Maria Pia, anche perché il tipo di cultura, come pure le cattive condizioni economiche, portano a considerare la nascita di figli con handicap o con problemi fisici e psicologici come un grave disonore. Ed è in questo contesto di povertà, violenza e tensione, dove i bambini malati spesso non vengono riconosciuti e rischiano di venire abbandonati, che hanno deciso di intervenire le cinque suore.
La casa offre ad ogni bambino un programma di fisioterapia, idroterapia e musicoterapia. Quest'ultimo corso è svolto da un giovane armeno. Dei 25 bambini 17 sono musulmani e alcuni medici che visitano e curano i bambini sono ebrei. C'è quindi anche uno spirito ecumenico nella casa “Hogar Niño Dios” che porta ad accogliere tutti, indipendentemente dalla differenze religiose e di etnia.
La casa non riceve aiuti pubblici e tutte le spese vengono coperte dalla provvidenza, cioè della carità di tanti benefattori locali e internazionali. Dopo averla visitata, mons. Mario Grech, vescovo di Gozo (Malta), con gli occhi lucidi, ha commentato: «Questo è il cristianesimo... il lavoro di queste persone è un'opera di misericordia che porta sollievo ai bambini e che salva anche noi».
CINA
Preti e suore obbligati ai corsi di ri-educazione
Ai preti e alle suore della diocesi di Shanghai, come riferisce l’agenzia Uca News, è stato imposto di frequentare delle lezioni di “rieducazione” sul tema centrale del Congresso nazionale del partito comunista. Circa 30 preti e una dozzina di suore hanno così dovuto prendere parte al programma tenuto dal 9 all’11 giugno scorso presso l’Istituto del socialismo di Shangai, a cui ha fatto seguito un secondo corso in settembre per gli altri preti e suore della diocesi.
Frequentare questi corsi è stato reso obbligatorio dopo che il loro vescovo, Thaddeus Ma Daqian è stato posto agli arresti domiciliari presso il seminario di Sheshan perché aveva lasciato drammaticamente l’incarico che gli era stato assegnato, subito dopo la sua ordinazione, il 7 luglio 2014, nell’Associazione della chiesa patriottica. Attualmente la diocesi di Shanghai è retta da un gruppo di cinque membri, una struttura questa che ha consentito all’Ufficio per gli affari religiosi di rendere più rigido il controllo al suo interno.
Quest’anno il programma di rieducazione è stato gestito dall’Ufficio per gli affari religiosi di Shanghai e dall’Istituto del socialismo. Il tema svolto riguardava lo “stato di diritto”, che è anche quello della quarta sessione plenaria del 18° Congresso nazionale del partito comunista.
Le suore e i preti hanno così dovuto ascoltare lezioni sullo “stato di diritto e la Chiesa cattolica cinese” e sulla “situazione attuale della Chiesa e la sua missione”. “Sembra una grande presa in giro, ha affermato una fonte che ha voluto rimanere anonima, ascoltare un argomento del genere. Noi vogliamo sapere in base a quale legge il nostro vescovo è detenuto senza nessun capo d’accusa”.
Il presidente del partito governativo Xi Jinoing ha inasprito il controllo sui gruppi etnici e religiosi, perché considerati effettivamente o potenzialmente come sediziosi. Lo strumento di cui si serve è la detenzione extragiudiziaria delle persone che considera una minaccia politica o per le loro convinzioni religiose. Secondo Amnesty International, con sede a Londra, questi corsi legalizzati di rieducazione in Cina sono dei veri e propri “lavaggi del cervello”.
Le comunità religiose e i profughi
Serve una specie di vademecum
L’invito del papa agli istituti e alle comunità religiose, oltre che alle parrocchie, di accogliere, nella misura del possibile, i profughi, ha trovato una pronta risposta un po’ dovunque. Come scrive Vito Salinaro nell’Avvenire del 30 settembre scorso, gli esempi sono tanti. Da nord a sud. Come quello dei Paolini, a Vicenza, che accolgono 40 profughi; i padri Rosminiani, a Isola di Capo Rizzuto, sono nel progetto Cara (Centro accoglienza richiedenti asilo) che dà risposte quotidiane a 1.700 persone; i Sacramentini, a Bergamo, hanno abbracciato 60 profughi; altre 60 persone sono seguite dal Pime, ancora sempre nella bergamasca, a Sotto il Monte; mentre i padri Saveriani, a Salerno, ne ospitano 18. Ma sono esempi anche quelli dei padri Rogazionisti, a Messina, che prestano la loro assistenza sistematica a chi non ha casa, e dell’Opera Don Orione, a Roma, nei confronti degli indigenti. E molti altri casi potrebbero essere citati.
Padre Luigi Gaetani, della Conferenza italiana dei superiori maggiori (Cism), dopo aver indicato lo sforzo che gli istituti religiosi hanno intrapreso, osserva che ora «è il momento di dare precisi segnali di unità e superare le frammentazioni. Servono criteri inequivocabili, una sorta di vademecum per capire dove accogliere chi, in che tempi e come superare le non marginali questioni di carattere legale, fiscale e assicurativo». L’accoglienza è legata «agli spazi disponibili e fruibili, alle diverse condizioni e alle responsabilità: per esempio va definito chi determina se una struttura sia a norma o meno per determinate finalità». Perché «un conto sono le esigenze di una comunità religiosa, altro conto quelle legate alla presenza di profughi e richiedenti asilo».
Riguardo a chi accogliere, p. Gaetani osserva: «Anzitutto ci rivolgiamo a coloro che hanno avviato o concluso l’iter della domanda di asilo. Le nostre strutture non devono fare profitto ma sono a disposizione dell’umanità sofferente: nulla di nuovo, è quanto noi religiosi facciamo da secoli. E non ci tireremo certo indietro proprio adesso rispetto a quanto il Papa ci chiede nell’esercizio della carità e della misericordia, come dimostrano tutte le attività già in atto su questo fronte». A tal fine però «serve conoscere condizioni e tempi per svolgere nel miglior modo possibile la nostra opera in perfetta sinergia con la Chiesa italiana».
FILM
Le migliori pellicole sulla vita consacrata
Aleteia, rete cattolica mondiale di informazione, approfondimento e condivisione di risorse, su questioni di fede, vita e società, ha selezionato fra cento titoli, i seguenti film sulla vita consacrata che ritiene i migliori:
Uomini di Dio (2010)
Anzitutto Uomini di Dio (2010), di Xavier Beauvois, ritenuto, con ogni probabilità, il film che riflette meglio i vari aspetti della vita consacrata. La sua vera dimensione deriva dalla testimonianza di martirio dei sette monaci trappisti dell’abbazia di Nostra Signora dell’Atlante di Tibhirine (Algeria), assassinati nel 1996. Nella pellicola si riflettono la portata della vocazione personale dei monaci, sia la loro preghiera che i dubbi e le decisioni. Particolarmente accattivante è il finale. La fila dei monaci che vanno a morire in un’obbedienza sovraimposta, deboli e prigionieri, accompagnati dai loro sequestratori.
Andrei Rublev (1966)
Si può definire un capolavoro l’Andrei Rublev (1966) di uno dei grandi del cinema spirituale, Andrei Tarkovsky. La pellicola mostra come l’esistenza dei monaci in mezzo alla barbarie abbia mantenuto la presenza della bellezza come segno di Dio.
Dead man walking (1995)
Indimenticabile è anche Dead man walking (1995), di Tim Robbins, sulla vita di suor Helen Prejean nel corridoio della morte mentre accompagnava un condannato. L’amore paziente e il sacrificio della religiosa, sostenuta dalla sua comunità, aiuteranno Patrick Sonnier (Sean Penn), un omicida condannato a morte, a scoprire il perdono e la redenzione.
Mission (1986)
Mission (1986), di Roland Joffé, ci ha mostrato la vita dei gesuiti nelle reducciones del Paraguay. Risulta interessante l’antagonismo tra padre Gabriel (Jeremy Irons) e il capitano, cacciatore furtivo di indios, Rodrigo Mendoza (Robert De Niro), che si converte dal suo passato violento e diventa fratello gesuita. Né il pacifismo spirituale dell’uno né la difesa organizzata in modo militare dell’altro riescono però a salvare gli indigeni, che vengono annientati insieme ai religiosi.
Monsieur Vincent (1947)
Tra i classici va sottolineato Monsieur Vincent (1947), di Maurice Cloche, un ritratto interessantissimo di san Vincenzo de’ Paoli, fondatore dei Missionari Paolini e delle Figlie della Carità. Spiccano soprattutto la sua lotta a favore dei poveri e il suo testamento alla giovane religiosa alla fine del film.
Vision. La storia di Ildegarda di Bingen (2009)
È la storia di Ildegarda di Bingen (2009), una presentazione caratterizzata dal rigore storico e dalla personalità poliedrica della santa benedettina, anche se ci sono difficoltà a rappresentare la dimensione spirituale delle sue visioni.
Storia di una monaca (1959)
La protagonista, Gabrielle van der Mal (Audrey Hepburn), dopo aver rinunciato alla sua comoda vita a seguito di non pochi dubbi, emette i voti perpetui diventando suor Lucia. Nell’ospedale in cui lavora come infermiera, conosce il qualificato e ateo dottor Fortunati (Peter Finch), che l’aiuterà a superare la tubercolosi che contrae e per il quale sentirà un’attrazione ricambiata. La sua vocazione non supererà la prova dell’esigenza di neutralità che impone la sua congregazione di fronte all’invasione nazista del Belgio, e quindi lei, in fedeltà alla sua coscienza, smetterà di essere una religiosa.