Fortunato Enzo
Voci diverse ma in armonia
2015/11, p. 31
Per cinque giorni Assisi è stato un vivace ed efficace centro di riflessione culturale. Nel cuore verde dell’Italia, si sono date appuntamento le menti illuminate della società attuale per discutere il tema dell’ “Umanità” al “Cortile di Francesco”.
Il “Cortile di Francesco”
VOCI DIVERSE
MA IN ARMONIA
Per cinque giorni Assisi è stato un vivace ed efficace centro di riflessione culturale. Nel cuore verde dell'Italia, si sono date appuntamento le menti illuminate della società attuale per discutere il tema dell' "Umanità" al "Cortile di Francesco".
Un argomento intenso destinato a rendere la Seraphica Civitas megafono per la diffusione di un messaggio sociale che continua ad avere la voce di Francesco d'Assisi. Un messaggio che vuole lanciare un salvagente a un'umanità spesso alla deriva. Come per il "Cortile dei Gentili" in quello di Francesco gli incontri sono stati organizzati nei luoghi simbolo della "Città della Pace" per favorire il dialogo tra credenti e non credenti. Un confronto tra varie personalità delle culture laiche e cattoliche appartenenti al mondo del giornalismo, della religione, della politica e del sapere.
La grande famiglia francescana ha spalancato le porte dei suoi tesori a tutti per un momento partecipativo unico, proprio come lo avrebbe voluto san Giovanni Paolo II. Non è sfuggita la cifra innovativa che ha caratterizzato l'evento del "dialogo in libertà" in versione 3.0 con il portale web della rivista San Francesco che, garantendo la trasmissione in diretta streaming, ha raggiunto migliaia di persone sparse nel mondo in tempo reale. Un evento di respiro internazionale che si è concluso. Coinvolti 90 relatori per 48 incontri a cui si sono iscritte 20mila persone. 110 i giornalisti accreditati, 60 i collegamenti televisivi.
Il cardinale Gianfranco Ravasi ha descritto il "Cortile di Francesco" come un luogo in cui «due voci completamente diverse, vedendo una realtà importante, riescono ad entrare non completamente in sintonia, ma in armonia e questo è quello che è accaduto in questi giorni».
Il nome è stato scelto ispirandosi direttamente all’immagine del "Cortile dei Gentili" dell’antico Tempio di Gerusalemme costruito il 20-19 a.C. Oltre alle aree riservate ai membri del popolo di Israele in questo tempio era stata pensata un'area riservata a coloro che non erano ebrei, detti "Gentili", ma che volevano avvicinarsi allo spazio sacro e interrogare rabbini e maestri della Legge con domande di spiritualità, di religione, di Dio. Questo era il "Cortile dei Gentili", uno spazio che tutti potevano attraversare senza distinzioni di cultura, lingua o professione religiosa. Dove era possibile interrogarsi sulle grandi domande della vita e della società e così avvicinarsi al «Dio Sconosciuto».
Da qui il Pontificio Consiglio della Cultura ha tratto ispirazione per creare luoghi d'incontro e di dialogo, spazi di espressione libera e rispettosa per coloro che non credono e per coloro che si pongono delle domande riguardo alla propria fede. Il Cortile è una finestra sul mondo della cultura contemporanea che vuole mettersi in ascolto delle voci che vi risuonano.
Tre snodi
umanità, ambiente e arte
Umanità – Da questo tema prendono vita spunti diversi per affrontare ciò che dell'Umanità si compone per raggiungere la consapevolezza che, come disse il famoso statista tedesco Konrad Adenauer, "viviamo tutti sotto lo stesso cielo, ma non tutti abbiamo lo stesso orizzonte". È dunque necessario comprendere che una vita consacrata che non riesce a considerare le fragilità e le diversità come un'opportunità ma solo come un'occasione di "condanna" è destinata a schiantarsi. A collassare sulle proprie sicurezze.
Ambiente– A questo fa eco l'importanza della cura dell'ambiente e una nuova visione del nostro pianeta che non deve essere più antropocentrica, ma si rende necessaria la comunione con tutte le altre creature, come papa Francesco ha voluto sottolineare che Dio ci ha legato così strettamente al mondo intorno a noi, che la desertificazione è come una malattia per noi e possiamo lamentare l'estinzione di una specie come una mutilazione personale. Dopo aver parlato tante volte dell'uomo come centro della creazione, oggi abbiamo capito che dobbiamo insistere molto di più sul valore di ogni creatura. Il richiamo è alla nostra responsabilità: non più padroni, ma custodi della Natura. Per la vita consacrata prendersi cura di ciò che è di tutti diventa vita e impegno.
Arte – Dall'arte possiamo trarre un insegnamento importante, allo stesso modo in cui Giotto, con la sua arte va oltre la rappresentazione "ragionata" per proporre la verità ,per raccontare le lacrime, il sorriso, la gioia o il dolore. Con Giotto viene inventato il bello come il brutto, ci ha raccontato Philippe Daverio. E la stessa cosa possiamo dire che avviene nella vita consacrata. Una vita non attenta alle lacrime e al sorriso diviene, infatti, una vita consacrata spenta. Priva di empatia.
Molti i temi
affrontati
Molti sono stati i temi affrontati: da quello dell'immigrazione fino alle questioni di natura teologica, ambientale, artistica e sociale. Ogni relatore, con poche parole ha dato un significato profondo alla propria presenza, spalancando finestre di riflessione : «Siamo tutti stranieri» ha esordito Stefano Rodotà all'apertura dei lavori, mentre il sociologo e filosofo di taratura internazionale Zygmunt Bauman ha affermato: «Abbiamo trasformato i luoghi in cui viviamo in luoghi di sospetto e competizione. Per questo c'è poca solidarietà». Ben Moussa, direttore del Museo del Bardo di Tunisi, che ha ritrovato la forza di sorridere, sostiene che «l'altro, il diverso, è un dono».
Alla conferenza "Humanitas e responsabilità" la giornalista Maria Latella ha esordito chiedendo se le donne in politica sono più responsabili. «Sì, abbiamo una visione più complessiva della responsabilità» ha risposto il ministro della Difesa Roberta Pinotti. «Il valore culturale della presenza femminile deriva da fattori anche di sensibilità - risponde il ministro dell’Istruzione Stefania Giannini. Servono più donne in posizioni apicali, non perché siamo naturalmente migliori, bensì perché la storia non ha completato il grande passo avanti della vera parità tra i sessi». Il ministro delle riforme costituzionali Maria Elena Boschi invece ha detto: «Donne in ruoli di responsabilità? Ce lo chiediamo perché abbiamo il beneficio del dubbio». Mentre Gad Lerner ha voluto sottolineare che: «Riconoscere la comune umanità, anche quando è scomodo, è regola per capire noi stessi»
In un tempo di decadenza e di crisi è l’arcivescovo di Chieti-Vasto, monsignor Bruno Forte, a proporre il confronto tra due concezioni dell’uomo: la prima, frequente soprattutto nei tempi di crisi: «È un autentico vertice della rivelazione biblica il versetto in cui il profeta Michea presenta la vocazione della creatura umana alla luce della fede nel Dio della storia della salvezza: “Uomo, ti è stato insegnato ciò che è buono e ciò che richiede il Signore da te: praticare la giustizia, amare la bontà, camminare umilmente con il tuo Dio”. Il contesto è quello di un rimprovero d’amore: il Signore, che ha fatto tanto per la salvezza del Suo popolo, si rattrista di non essere riamato – “Popolo mio, che cosa ti ho fatto? In che cosa ti ho stancato? Rispondimi. Forse perché ti ho fatto uscire dalla terra d’Egitto, ti ho riscattato dalla condizione servile?” –, e il Profeta non esita a ricordare che non olocausti e sacrifici, ma amore umile e fattivo è quanto l’Eterno chiede al Suo eletto. Creatura voluta per amore e chiamata a corrispondere a questo gratuito e fedelissimo amore, l’uomo è il partner di un’alleanza sponsale, il protagonista di un patto eterno che dovrà essere scritto nell’umiltà e nella fatica dei giorni, rispondendo all’amore con l’amore. Si comprende così quanto sia fondata l’osservazione del pensatore ebreo Abraham Heschel, secondo cui “la Bibbia non è la teologia dell’uomo, ma l’antropologia di Dio”. La Sacra Scrittura si occupa molto più dell’uomo e di ciò che gli viene chiesto dall’Eterno, che non della natura del divino in se stesso. Anche così si capisce come il Dio biblico non sia in alcun modo il concorrente dell’uomo, ma il suo alleato, e come la gloria dell’Altissimo stia proprio – come dirà Ireneo – nell’uomo vivente: “Gloria Dei vivens homo".
Questa antropologia fondata sull’alleanza con Dio risulta alternativa a tutte le visioni che concepiscono l’uomo nella sua solitudine, frequenti soprattutto nei tempi di decadenza e di crisi, come quando – con le parole suggestive di Marguerite Yourcenar per descrivere la dissoluzione dell’antica Roma – “les dieux n’étaient plus, le Christ n’était pas encore: l’homme seul a été”. Anche al nostro tempo la decadenza e la crisi si sono affacciate. Lo aveva intuito nel cuore delle tragedie del Novecento Dietrich Bonhoeffer: “Non essendoci più nulla che duri, crolla la base della vita storica, cioè la fiducia, in ogni sua forma. Non essendoci più alcuna fiducia nella verità, il suo posto è preso dai sofismi della propaganda. Non essendoci più alcuna fiducia nella giustizia, si dichiara giusto quello che giova. Questa è la singolare situazione del nostro tempo, una situazione di vera decadenza».
Se non in sintonia,
in armonia
Un evento che oltre a mettere al centro l'umanità e l'incontro tra credenti e non credenti, sottolinea «l'altra parola fondamentale - ha commentato il cardinal Ravasi - è dialogo. Perché il cortile non è nell'interno del tempio e non è nell'interno del palazzo. Il cortile ha sopra il cielo aperto e quindi l'incontro delle voci degli argomenti avviene nella totale libertà. Abbiamo scelto il tema dell'umanità che ha almeno due accezioni: umanità significa tutti i figli di Adamo, uomini e donne. L'umanità nella sua molteplicità e diversità. Dall'altra parte vuol dire però anche, come diciamo noi popolarmente, una persona umana è dolce, tenera e comprensiva. Forse ai nostri giorni abbiamo bisogno un po’ di questa umanità, soprattutto quando vediamo il sangue che stria le strade in maniera violenta». Il Cortile secondo la presidente Rai, Maggioni, ha «il valore di tutti gli appuntamenti nei quali si incontrano persone che hanno storie, visioni e percorsi diversi e decidono di trovarsi in una sorta di terreno comune in cui confrontarsi, dialogare e guardarsi negli occhi e cercare un percorso possibile, che non vuol dire necessariamente un percorso che mette d'accordo tutti, ma un percorso nel quale ci si confronta con il gusto della scoperta dell'altro e non dell'opposizione all'altro». Perché non è una questione di stile di vita «ma – ha concluso la Maggioni – di sostanza».
Con lo sguardo
colmo di meraviglia
Concludo con la riflessione di padre Mauro Gambetti che suona quasi come un inno alla nostra umanità: «Nel Cortile il dialogo non è stata una strategia per convincere l'altro delle mie ragioni, ma il mio sguardo incantato sulla sua esperienza unica. Lo sguardo colmo di meraviglia conduce a vedere la bellezza del fratello e quindi all'amore per lui. Proprio l'amore mi ha spinto a comunicargli ciò che ho di più caro. Il Cortile è stata così un'esperienza di fraternità, nella quale l'umanità non è il minimo comun denominatore che appiattisce, ma che arricchisce; e non è nemmeno il massimo comun divisore che separa, ma che conduce al riconoscimento del fratello, bello perché differente da me. Insieme abbiamo dipinto l'universale armonia dei colori!».
L'umanità che si ritrova ad Assisi diventa fraternità. Per vivere tutto questo ci aiuta un episodio dell'assisiate raccontato nello "Specchio di Perfezione", in cui un frate gli aveva chiesto quale fosse per lui il frate perfetto, l'uomo perfetto. Noi, come Francesco rispondiamo che l'uomo perfetto è quello capace di cogliere nell'altro aspetti positivi, le sue qualità. Un cammino non semplice perché si tratta di indossare occhiali che sanno leggere in profondità, che sanno andare oltre i pregiudizi e capire che le differenze più delle volte arricchiscono l'umanità, non la impoveriscono.
p. Enzo Fortunato