Brena Enzo
Spiritualità del catechista
2015/11, p. 20
Esiste una spiritualità del catechista? Che cos’ha di particolare rispetto alla spiritualità di ogni cristiano? Come si può esprimere oggi? La sua deve essere soprattutto una spiritualità contemplativa e profetica, di fiducia e di gioia.
Vita pastorale
SPIRITUALITÀ
DEL CATECHISTA
Esiste una spiritualità del catechista? Che cos’ha di particolare rispetto alla spiritualità di ogni cristiano? Come si può esprimere oggi? La sua deve essere soprattutto una spiritualità contemplativa e profetica, di fiducia e di gioia.
Chi sia, e in che cosa consista la missione specifica del catechista, in una cultura sempre in movimento come quella odierna, è tema attualissimo.
Frei Almir Ribeiro Guimarães lo affronta rivolgendosi ai catechisti di ogni livello, a coloro che si occupano dell’iniziazione degli adulti, dei gruppi di preghiera e biblici, compresi anche i sacerdoti che, per il loro ministero eterogeneo, sono i primi catechisti.
Per capire il ministero catechistico bisogna riconoscere che è un dono dello Spirito riconoscibile dalla presenza di diversi fattori – maturità umana, apertura e conoscenza della Parola di Dio, capacità di leggere i segni dei tempi, partecipazione e appartenenza a una comunità in cui dimora il Risorto, vita di comunione con le persone, soprattutto con gli emarginati – che fanno del catechista un collaboratore nella diffusione del Regno portato da Cristo.
Una spiritualità
contemplativa
Il catechista è chiamato a vivere la vita teologale, la preghiera e le virtù cristiane come ogni cristiano. La sua spiritualità non deriva dalla competenza dottrinale o dai metodi che utilizza, ma dal riferimento personale a Cristo, dalla pratica di una vita evangelica. La vita spirituale, infatti, è anzitutto docilità allo Spirito del Signore che agisce nella comunità, nel mondo, in ogni persona. Da ciò deriva che i catechisti non sono solo “funzionari” di cose sacre all’interno della comunità, ma uomini e donne che agiscono nello Spirito.
Non si è catechisti solo in certi momenti della vita, e non si esercita un’attività dissociata da ciò che si vive interiormente. Chi è inviato entra in uno stato apostolico che richiede unità di vita e missione e, perciò, attenzione a non vivere questo servizio in modo meccanico, frenetico, sommario, o insegnando una fede disincarnata, fatta solo di devozioni. Il servizio catechistico è un’azione integrata nel cammino e nella vita della comunità ecclesiale, alla luce dello Spirito.
In questo senso, la spiritualità del catechista è una spiritualità contemplativa. Come discepolo del Signore, il catechista osserva attentamente il mondo e impara a vederlo come lo vede Cristo. Contemplazione, infatti, non è isolamento o alienazione dal mondo, ma assimilazione della Parola che porta all’ammirazione, alla lode e al rendimento di grazie. «A partire dall’analisi del mondo, dalla distanza che esiste tra il progetto di Dio e ciò che verifichiamo nella storia, il catechista si colloca davanti all’abisso dell’amore di Dio. Contempla il volto di Cristo sfigurato nel fratello che soffre e il suo splendore di Risorto. Il catechista è immerso nel Signore».
Vivere una spiritualità contemplativa vuol dire anche essere “affamato e assetato” di Dio. Il discepolo si siede ai piedi del Signore e ascolta in silenzio con attenzione profonda, ricerca ardente, apertura affettuosa e fiducia senza limiti. Una cosa è conoscere tutto su Cristo, altra cosa è incarnare la Parola nella vita, praticando quel “rimanere” in Lui tanto centrale nel vangelo di Giovanni (Gv 15). A livello spirituale, la fame di Dio si sperimenta quando si sente insoddisfazione per il proprio stile di vita. E la fame di Dio non è mai sazia: più lo si cerca, più si sente il bisogno di cercarlo.
I catechisti e tutti gli incaricati dell’annuncio del Vangelo sono chiamati a coltivare questa dimensione contemplativa, attraverso «momenti di riflessione e di preghiera, lettura spirituale, momenti di silenzio abitati dalla Parola» che illumina il mondo dei nostri desideri.
Una spiritualità
profetica
Si è parlato e si parla molto di profezia, dei cristiani come profeti nel mondo. L’istituzione non può fare a meno della profezia, che dà colore e sapore all’istituzione stessa: l’una non può sussistere senza l’altra. Anche il catechista è un profeta che annunzia il bene e denuncia il male, sempre in sintonia con il Signore pronto a smuovere una Chiesa che tende ad accomodarsi. Spiritualità profetica, allora, significa essere consapevoli del proprio ministero e della propria responsabilità di testimonianza.
Chi agisce nella pastorale è ministro e servo. Il ministro non parla da sé, o di sé, non inventa, ma è fedele dispensatore al servizio di una Parola che non gli appartiene, di ciò che gratuitamente gli è stato donato. Condivide vita e convinzioni con i suoi catechizzandi. Libri e audiovisivi non possono sostituire la sua persona.
La testimonianza è l’elemento caratterizzante della catechesi. Il catechista testimonia l’evento di Gesù, figlio di Dio fatto uomo, nato da Maria, crocifisso, morto e risorto, che ha mandato lo Spirito Santo per continuare a guidarci. «L’evangelizzatore dà testimonianza di un’esistenza trasfigurata nel cuore della comunità che si riunisce attorno al Risorto». E, perciò, denuncia tutti quei meccanismi di morte e ingiustizia che rendono l’uomo meno uomo, tutto ciò che mina la piena dignità umana e divina all’uomo. Parola e testimonianza vanno a braccetto nella vita del catechista.
Oggi più
di ieri
Si sente spesso dire che i nostri tempi sono difficili per l’evangelizzazione. Frei Almir Ribeiro è convinto che coloro che sono al servizio del Vangelo debbano amare il nostro tempo con le sue trasformazioni, vivendole senza esagerati allarmismi né arretramenti disfattistici.
Cambiamenti e trasformazioni vedono sorgere negli ambienti ecclesiali reazioni di amarezza, senso di smarrimento, nostalgia dei tempi passati. «Ciò non porta a nulla. Persone e comunità si colpevolizzano rimproverandosi di non aver fatto abbastanza. Possono sorgere reazioni integriste e conservatrici, esagerazioni nei segni identitari, un proselitismo conquistatore, testimonianze segnate più dall’emotività che dalla ragione. Tali atteggiamenti rivelano insicurezza o addirittura una sensazione di fallimento nel processo di comunicazione della fede».
Bisogna invece vivere questo momento storico, tanto scomodo, nella fiducia e nella gioia. Una sana mancanza di preoccupazione dovrebbe caratterizzare il catechista, che non drammatizza e non fa dipendere tutto dal suo impegno e dalle sue capacità, ma vive nella consapevolezza che uno semina e un altro raccoglie. Dopo aver fatto tutto quello che dovevamo fare dovremo dire: «siamo servi inutili» (Lc 17,10).
Questi riferimenti evangelici ci ricordano che la trasmissione della fede non dipende solo dai nostri sforzi. Non abbiamo la possibilità di creare nell’altro la disponibilità all’ascolto del Vangelo e alla fede: bisogna fidarsi dell’umano che c’è nell’altro. Catechesi ed evangelizzazione non si danno senza questa fiducia di base nell’uomo, unita alla fiducia nell’azione dello Spirito Santo nella storia umana. Perciò catechisti ed evangelizzatori vivono un gioioso disarmo per essere disponibili allo Spirito di Dio che agisce nella Chiesa. Un disarmo che non significa passività, inattività o imprevidenza.
Disarmo interiore significa divenire più coraggiosi nell’azione, più creativi nel pensare al futuro, più liberi di lavorare senza scoraggiarsi, e non pretendere di essere il protagonista dell’evangelizzazione. Compito del catechista è creare le condizioni che rendano la fede comprensibile e desiderabile. Obiettivo raggiungibile se la sua persona non sarà troppo ingombrante, al punto da portare chi ascolta a sé anziché a Cristo e alla Chiesa. La tentazione di desiderare che l’altro cresca a propria immagine era presente già nei primi tempi della Chiesa, quando i cristiani provenienti dal giudaismo volevano che tutti rispettassero leggi e costumi della tradizione ebraica.
Nessun catechista può o deve confondere la fede cristiana col suo personale modo di vederla e viverla. Quante visioni ristrette della fede, dovute a storture e limitazioni personali sono passate con la catechesi!
L’atteggiamento appropriato del catechista consiste nel fare distinzione tra credere con e credere come. Noi oggi non crediamo allo stesso modo dei nostri genitori e nonni. I contesti culturali mutano e con essi le modalità di espressione della fede. L’ideale della catechesi, come per l’educazione, non è l’imitazione o la mera riproduzione. Crediamo sempre in Gesù, figlio di Dio e Salvatore, ma non crediamo oggi con le stesse accentuazioni, le stesse domande, la stessa spiritualità o la stessa teologia di chi ci ha preceduto nella fede. «Indubbiamente il catechista può testimoniare il suo modo di vivere la fede. L’importante, però, non è la riproduzione del modello che egli rappresenta, ma l’autenticità dell’appropriazione creativa del Vangelo da parte di coloro che ricevono la catechesi».
Accogliere
senza esclusione
Per vivere tutto ciò, è necessario accogliere l’altro dove è possibile incontrarlo. Quello dell’accoglienza è un tema molto attuale in campo pastorale, che il catechista dovrà curare di mettere in atto con strutture e atteggiamenti adeguati.
Ora, l’accoglienza può presentare aspetti di ambiguità. Per esempio, può implicitamente dare adito a un atteggiamento di superiorità: io ti do ciò che tu non hai! Il Vangelo suggerisce un atteggiamento differente: non tanto accogliere ma lasciarsi accogliere dall’altro, confidando nelle sue virtù umane e spirituali. Il Vangelo ci chiede di rischiare l’accoglienza dell’altro: «chi accoglie voi, accoglie me» (Mt 6,10). E Gesù manifesta questa disposizione con Zaccheo, così come con i discepoli di Emmaus. Bisogna uscire dal proprio mondo, aprirsi al mondo dell’altro con tutto ciò che ha di diverso, inaspettato o disorientante quanto a stile di vita, linguaggio, mondo interiore.
Aprirsi a tutti, senza escludere nessuno. Il catechista non deve avere preconcetti circa la disponibilità dell’altro all’ascolto del Vangelo. Non è raro vedere catechisti che preferiscono rivolgersi a persone che ritengono più recettive e lasciare indietro o da parte quelli che non ritengono tali. Sono criteri di affinità personale alieni dal principio della destinazione universale del messaggio evangelico, al diritto di tutti di ricevere una catechesi.
Con i cosiddetti “lontani” Gesù aveva un atteggiamento diverso. Si comportava secondo il cuore di Dio. Il buon samaritano, la donna cananea, la povera vedova, il buon ladrone, la donna adultera sono esempi di apertura alla fede dove non era prevedibile, al punto che le prostitute precedono i dottori della legge nel Regno dei cieli. Il fatto che gli ultimi possano essere i primi la dice lunga sul fatto che la Parola debba essere seminata generosamente, senza pregiudizi.
È importante, allora, stabilire rapporti personalizzati con i destinatari della catechesi, senza ridursi alla semplice animazione del gruppo. «L’esperienza insegna che, in assenza di legami interpersonali, gli effetti del gruppo in catechesi possono essere ingannevoli e i risultati effimeri». L’appropriazione della fede richiede la mediazione di incontri interpersonali rispettosi dell’individualità di ciascuno. È spiritualità del “farsi compagno”.
La catechesi richiede almeno tre condizioni interconnesse: continua ricerca della verità, rispetto della libertà e impegno per la costruzione della fraternità. Fare catechesi è portare la persona a scrutare il mistero di Cristo in tutte le sue dimensioni. Il catechista deve essere abile nel risvegliare e accompagnare un rigoroso interrogarsi rispetto al mistero cristiano. Nello stesso tempo, deve rispettare la libertà dei catechizzandi, rinunciando a ogni forma di violenza, pressione o manipolazione. Se questi due passi sono rispettati, si creano le condizioni per una relazione di fraternità, poiché le relazioni che si stabiliscono in un gruppo che si interroga nella libertà aprono alla condivisione e alla comunione nello Spirito.
La catechesi non è difficile – conclude Frei Almir Ribeiro – ma è esigente e rigorosa. Non ci si può lanciare nella catechesi con spirito dilettantistico. Il rigore, per il catechista, «consiste nella distanza critica che cerca di mantenere rispetto a ciò che fa o che dice e in relazione a ciò che accade. E riguarda, nel contempo, anche i contenuti della catechesi, i metodi e l’organizzazione… facendo sì che i catechizzandi possano con piacere giungere a conoscenza della fede e credere che è salutare per la propria esistenza». La fraternità e la collaborazione tra catechisti, infine, è la disposizione strategicamente più efficace per il bene di tutti: catechisti e comunità ecclesiale.
Enzo Brena