Prezzi Lorenzo
Chiostro, storia e presente
2015/11, p. 13
San Colombano (543-615) è tra i fondatori del monachesimo occidentale. A 1400 anni dalla sua morte è utile riprendere alcune sue intuizioni: dalla percezione dell’Europa al senso della peregrinatio, dall’ascesi alla spiritualità, dalla riforma ecclesiale al servizio culturale, fino al rapporto delle sue fondazioni con quelle benedettine.
San Colombano: 1400 anni dalla morte
CHIOSTRO, STORIA
E PRESENTE
San Colombano (543-615) è tra i fondatori del monachesimo occidentale. A 1400 anni dalla sua morte è utile riprendere alcune sue intuizioni: dalla percezione dell’Europa al senso della peregrinatio, dall’ascesi alla spiritualità, dalla riforma ecclesiale al servizio culturale, fino al rapporto delle sue fondazioni con quelle benedettine.
«Il beato Colombano, trascorso il giro d’un anno, dopo aver vissuto una vita santa nel suddetto cenobio di Bobbio, rese al cielo la sua anima, sciolta dai legami del corpo, in data 26 novembre 615. Se si vuole conoscere il suo energico zelo, lo si troverà in ciò che ha detto. I suoi resti sono sepolti in quel luogo, e risplendono della bellezza di molti miracoli, sotto l’egida di Cristo, al quale appartiene la gloria per i secoli dei secoli. Amen».1 Si chiude così il primo libro della Vita di Colombano e dei suoi discepoli, scritta da Giona di Bobbio a pochi anni dalla morte. La ricorrenza dei 1400 anni dalla morte ha visto numerose celebrazioni, legate ai luoghi della sua vita pellegrinante, in particolare nella diocesi di Down and Connor (Irlanda) e soprattutto nella diocesi di Piacenza-Bobbio. Tuttavia, nonostante il lodevole impegno profuso, Colombano merita un interesse più vasto, visto il suo ruolo nella storia del monachesimo cristiano e della spiritualità della vita consacrata.
12 compagni
e la via
Nato nel 543 nella regione irlandese di Leinster, entra ventenne nel monastero di Bangor. A cinquant’anni, con altri dodici compagni, inizia una lunga peregrinazione che lo porta nella Gallia merovingia dove avvia una fondazione a Annegray e poi a Luxeuil, dove rimane una ventina d’anni (dal 591). Nel 609 il re di Borgogna, Teodorico II lo espelle dai suoi territori. Ricomincia un pellegrinaggio che lo vede in varie città dell’attuale Francia, per poi lambire i territori germanici, scendendo lungo la regione del Reno fino al lago di Costanza. Nel 612 riparte per l’Italia e arriva a Milano. Da qui giunge a Bobbio. In pochi decenni sono una quarantina le fondazioni monastiche nell’area italo-franco-svizzera che prendono avvio dal suo insegnamento e carisma.
«Verso la fine del secolo VI un soffio potente venuto dall’Irlanda, passò sulla Gallia merovingia. Dopo avervi turbinato per una ventina d’anni, si allontanò verso Est, passò le Alpi e discese sull’Italia. Questo ciclone, che scosse molte cose nella Chiesa e nella società, è quello del monaco Colombano. A una cristianità corrosa dal peccato e circondata da popoli ancora pagani, questo monaco celtico portava il “rimedio della penitenza”, compresa in modo nuovo, e lo zelo missionario. La giovane fede dell’Irlanda, un vigoroso ideale di rinuncia, un’osservanza monastica senza compromessi costituivano la forza di questo barbaro colto, capace tanto di costruire quanto di predicare. Intransigente e ostinato, non meno attaccato al proprio particolarismo irlandese che al Vangelo universale che annunciava, si urtò con i re e con i vescovi, subì persecuzioni e bandi, ma la sua santità si impose a tutti e la sua opera prosperò nella prova» (Adalbert de Vogüé).2
Un evento di grande rilievo la cui memoria si è progressivamente sfrangiata fino ad essere quasi rimossa. Per questo vanno apprezzate le iniziative recenti di rivalutare i suoi insegnamenti e il suo ricordo. A partire dalle attività delle Comunità colombane che hanno organizzato nelle scorse settimana il 18° Columban’s day, raccogliendo a Bobbio il 21-22 agosto circa 300 giovani e la settimana successiva (28-30 agosto) 1500 pellegrini dall’Irlanda, Francia e Italia. Si devono aggiungere le sollecitazioni di Benedetto XVI nella catechesi dell’11 giugno 2008, la lettera pastorale di mons. Gianni Ambrosio, vescovo di Piacenza-Bobbio, nell’agosto del 2014, la lettera del Segretario di stato, card. Pietro Parolin, e la presenza alla celebrazioni del card. Angelo Scola come inviato speciale di papa Francesco.
Totius Europae
Si possono accennare alcuni elementi di significativa attualità della tradizione colombiana.
Europa. «Irlandese per famiglia e formazione, Colombano ha sempre nutrito un’idea “europea” del suo impegno ecclesiale. Nella lettera indirizzata al papa Gregorio Magno nell’anno 600, egli fa direttamente riferimento al compito di tutti i cristiani di collaborare affinché le diverse genti del continente vivano nella pace e nell’unità» (Parolin). Tanto da essere considerato da Roberto Schuman «il patrono di coloro che si prodigano per la causa dell’Europa». «L’attuale situazione europea attesta l’urgente necessità di questa ricerca di una “unione spirituale”. Nonostante il cammino di pace e di unificazione fin qui realizzato, oggi la causa dell’Europa unita si trova in grande travaglio. Non solo per l’insorgere dei localismi e per la scarsa solidarietà, ma anche – e soprattutto – per la miope visione culturale che domina l’Europa, una visione che offusca la concezione dell’uomo e la coscienza europea. Senza la storia da cui deriva la sua origine e senza l’humanitas che l’ha resa grande, capace di dire la dignità della persona umana, l’Europa non solo dimentica le radici ma finisce anche di far scomparire il cielo dall’orizzonte dei cittadini europei» (Ambrosio).
Stabilitas e peregrinatio. La vita monastica irlandese nasce prima di Colombano, con Patrizio e Germano di Auxerre e ha, fra le sue caratteristiche, un forte radicamento nei territori e nella struttura clanica della società, con una prevalenza di preti sui fratelli e una rilevanza ecclesiale nel popolo di Dio ben più marcata dell’episcopato. Da qui si comprende l’importanza della predicazione e della scelta di molti monaci di uscire dai condizionamenti etnici per un «pellegrinaggio» verso nuove fondazioni in territori esterni alla loro tradizione. Supremo esercizio di perfezione, il viaggio da pellegrino è un taglio con il proprio passato e con le istituzioni e i legami locali. Esuli in terra straniera i monaci testimoniano la loro scelta definitiva per il Cristo. Come Colombano scrive nelle Istruizioni: «Noi amiamo la via più della patria, per non perdere la patria eterna. Conserviamo salda in noi questa convinzione, così da vivere nella via come viandanti, come pellegrini, quali ospiti del mondo, senza legarci ad alcuna passione, senza desiderio alcuno dei beni terreni, ma in modo tale da colmare le nostre anime della bellezza delle realtà celesti e spirituali».
Penitenza e confessione. «Anche la mortificazione, intollerabile per i superbi e i duri di cuore, è una consolazione per colui al quale piace solo ciò che è umile e dolce… La mortificazione comprende tre punti: non aver divisione nel proprio cuore; non lasciare che la lingua dica ciò che le piace; non andare in nessun luogo senza permesso»: le note contenute nella Regola dei monaci vanno affiancate alla dura Regola cenobiale, dove ogni piccola mancanza viene aspramente censurata e duramente repressa, con il ricorso a colpi di bastone, digiuni e quarantene. Colombano eredita e trasmette un monachesimo assai austero. Del tutto coerente con quella rinnovata comprensione del sacramento della confessione, cosiddetta “tariffata” che prevede, per ogni mancanza una adeguata e corrispettiva penitenza. «La diversità delle colpe richiede la diversità delle pene», afferma il Penitenziale. L’acuto senso del peccato e la necessità conseguente di ristabilire un corretto rapporto con Dio ha favorito il passaggio dalla penitenza «canonica», amministrata pubblicamente sotto l’autorità del vescovo, a una prassi sacramentale celebrata privatamente col confessore e frequentemente reiterabile.
Missione
Spiritualità. La severità delle norme e delle consuetudini monastiche è sostenuta da una viva esperienza di Dio. «Dio mio, donami, ti prego, nel nome del tuo Figlio Gesù Cristo, quella carità che mai viene meno, perché la mia lucerna si mantenga sempre accesa, nè mai si estingua; arda per me, brilli per gli altri. Degnati, o Cristo, dolcissimo nostro salvatore, di accendere le nostre lucerne; brillino continuamente nel tuo tempio e siano alimentate perennemente da te, che sei la luce perenne, perché siano rischiarate le nostre oscurità e fuggano da noi le tenebre del mondo» (Istruzioni). Le sue parole su Cristo e il Padre sono spesso struggenti e appassionate, consapevoli che nel rapporto con Dio si decide del senso della vita del singolo, della Chiesa e del mondo: «È il Signore, il nostro Dio Gesù Cristo, la sorgente della vita, per questo ci invita a sé, che è la fonte, perché di lui beviamo» (Istruzioni).
Riforma. Da qui l’appello alla costante riforma della Chiesa, le aspre critiche ai comportamenti dei vescovi (che comprano la loro carica), alla vita dissoluta dei presbiteri, ai monaci che lasciano i cenobi, agli scandali degli uomini e donne di potere, come la regina Brunechilde e lo stesso Teodorico II. Davanti a vaste aree di paganesimo, alle deviazioni ereticali degli ariani, alle fratture intraecclesiali espresse nella dottrina dei «tre capitoli», l’efficacia del Vangelo è legata anche alla vigilanza dei pastori. «Vigila, o papa, vigila e ancora ti dico: Vigila… Vigila innanzitutto sulla fede, poi sulle opere della fede… la tua vigilanza sarà salvezza per tutti, come, al contrario, la tua incuria sarà di rovina per molti» (lettera a papa Bonifacio).
Cultura. Alla sua morte lo scrittorio di Bobbio non è meno importante di quello di Montecassino. Qui vengono raccolte opere letterarie, scientifiche, di grammatica e di diritto. Pur essendo eminentemente uomo di azione, Colombano è un acuto lettore della Bibbia e dei Padri, mostra di conoscere i grandi poeti latini, da Orazio e Ovidio a Giovenale, come anche i poeti cristiani come Venanzio Fortunato e Prudenzio. In alcune delle sue opere, come le Lettere o i Carmi si respira un diffuso senso di bellezza e di raffinata estetica, anche se calibrata sui contenuti e lo stile monastico.
Colombano
e Gregorio
Tramonto. Alcuni decenni dopo la sua morte molte delle sue fondazioni assunsero la Regola di Benedetto che divenne rapidamente il riferimento principe per le esperienze monastiche. Il travaso, percepito come naturale, nulla toglie alla grandezza di Colombano, anzi ne esalta la missione di monaco pellegrino di e per Cristo. Come un missionario che fa da battistrada, egli ha evangelizzato (o ri-envagelizzato) i popoli europei introducendo la spiritualità monastica nel Nord dell’Europa e dell’Italia e aprendo così la porta delle sue numerose fondazioni alla spiritualità benedettina. Il travaso, percepito come naturale, non toglie nulla alla grandezza di Colombano, ma fa sorgere la domanda circa il tramonto (relativo) di una grande esperienza carismatica: «Lo si è fatto scomparire dietro la figura maestosa di S. Benedetto», annota Ezio Franceschini. Gli storici più avveduti non imputano il fatto al rigore dell’ascesi quanto piuttosto alla malleabilità del modello e alla sapienza normativa. Il rigore con cui Colombano difendeva le tradizioni irlandesi relative alla data della Pasqua, alla forma della tonsura monastica, all’autonomia dal vescovo e al rito del battesimo, era meno percorribile della capacità di adattamento dell’intuizione di Benedetto, ulteriormente rafforzata dalla sapienza di governo espressa nella Regola di quest’ultimo. Tutto ciò non toglie nulla alla grandezza dell’irlandese che con papa Gregorio Magno ha rappresentato la risposta più alta alle sfide della Chiesa di quel secolo, innervando di riferimenti spirituali le vicende successive della vita monastica e religiosa.
Così Benedetto XVI sintetizza la sua figura: «Il messaggio di san Colombano si concentra in un fermo richiamo alla conversione e al distacco dai beni terreni in vista dell’eredità eterna. Con la sua vita ascetica e il suo comportamento senza compromessi di fronte alla corruzione dei potenti, egli evoca la figura severa di san Giovanni Battista. La sua austerità, tuttavia, non è mai fine a se stessa, ma è solo il mezzo per aprirsi liberamente all’amore di Dio e corrispondere con tutto l’essere ai doni da Lui ricevuti, ricostruendo così in sé l’immagine di Dio e al tempo stesso dissodando la terra e rinnovando la società umana» (11 giugno 2008).
Lorenzo Prezzi
1Giona di Bobbio, Vita di Colombano e dei suoi discepoli, Jaca Book, Milano 2001, p. 143.
2 ibidem, p. XV (citato nella presentazione di I. Biffi). Al volume dedicato alla vita di Colombano, nella collana «Biblioteca di cultura medioevale», si affianca un secondo: San Colombano, Le opere, Jaca Book, Milano 2001. I curatori dei due voll. sono Aldo Granata e Inos Biffi. A questi voll. si riferiscono le citazioni riportate.