Guglielmoni Luigi
Una chiesa senza consacrati?
2015/11, p. 8
Si ha l’impressione che l’anno della vita consacrata sia stato “contratto” dal Sinodo sulla famiglia, dall’annuncio del Giubileo sulla misericordia, dall’ostensione della Sacra Sindone, dai programmi pastorali delle singole chiese locali… Si rischia di perdere un’occasione preziosa per riscoprire e valorizzare il carisma dei religiosi/ e nelle comunità cristiane?

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Testimoni
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Intervista a E. Bianchi: UNA CHIESA SENZA CONSACRATI?
Si ha l’impressione che l’anno della vita consacrata sia stato “contratto” dal Sinodo sulla famiglia, dall’annuncio del Giubileo sulla misericordia, dall’ostensione della Sacra Sindone, dai programmi pastorali delle singole chiese locali… Si rischia di perdere un’occasione preziosa per riscoprire e valorizzare il carisma dei religiosi/e nelle comunità cristiane?
Va riconosciuto che negli ultimi decenni la Chiesa sembra temere l’ordinarietà della vita cristiana, e per questo si decidono iniziative diverse e frequenti, si vogliono “eventi” sempre nuovi. Si assiste a una sorta di bulimia di “assemblee al lavoro”, che certamente sono anche necessarie, ma a condizione di essere “assimilabili” dal popolo di Dio. Questa tendenza va in parallelo a quella che si manifesta nella vita liturgica: inventare giornate o domeniche (della misericordia, del ringraziamento, della pace, ecc.), come se si avesse timore della vita ordinaria. A me, monaco, viene da pensare ai padri del deserto che a volte vivevano la sequela di Cristo addirittura, per lunghi periodi, senza vita sacramentale, come è avvenuto per sant’Antonio e san Benedetto: sorriderebbero al vedere l’attuale moltiplicazione di iniziative, alle quali i cristiani non riescono neppure a stare dietro…
L’anno della vita consacrata ha fatto le spese di questa situazione. È ormai alla fine, e pochi se ne sono accorti, anche tra i religiosi: vi è stato qualche incontro specifico, e nemmeno in tutte le diocesi, ma nessuna meditazione sul fatto che la vita religiosa sta scomparendo, con un conseguente mutamento profondo della vita della chiesa cattolica. Ormai le suore sono una presenza rarissima, con un’età media molto alta che non consente loro di incidere in modo significativo sulla vita ecclesiale, e le vocazioni religiose sono quasi scomparse per certe forme di vita. Eppure nessuno sembra preoccuparsene, come se questa fosse la volontà di Dio di fronte alla quale c’è solo la nostra impotenza. L’enfasi retorica e l’apologetica sono tutte dedicate alla famiglia, ma quale messaggio la Chiesa dà oggi a quanti sono chiamati a lasciare la famiglia in vista del regno di Dio (cf. Mc 10,29-30 e par.)?
Confesso che a volte piango nel pensare a questa diminutio della vita religiosa e a questa quasi scomparsa dei monaci. Ho creduto e credo in questa forma di sequela, non migliore della sequela ordinaria, ma necessaria come segno escatologico, come memoria evangelica nella storia. Ma vedendo che oggi la Chiesa non presta attenzione ad essa, confesso che me ne vado da questo mondo nella sofferenza…
L’invecchiamento del clero e la scarsità di vocazioni nei seminari, la crescente presenza di clero di altri paesi e l’avvio delle unità pastorali, i cambiamenti sociali e culturali … ripropongono la centralità della preparazione spirituale-culturale-pastorale dei futuri presbiteri e della formazione permanente degli attuali pastori. A suo giudizio, quali sono i punti da privilegiare?
Sì, mancano i preti, e le vocazioni, almeno nelle regioni del nord e del centro Italia (come il mio Piemonte), sono crollate e ormai rarissime: ci sono diocesi che non ordinano più nemmeno un presbitero all’anno! Vi è poi un problema della qualità dei candidati, non solo dal punto di vista culturale e intellettuale ma soprattutto di umanità. A causa dell’angoscia pastorale dettata dalla mancanza di presbiteri, si ordinano troppo facilmente candidati che non hanno una postura di saldezza, una capacità di discernimento, una maturità umana, a volte neppure una capacità di parola, tutti doni essenziali per essere pastori nel popolo di Dio. È vero che l’attuale società mostra molte fragilità, ma si faccia attenzione: i candidati sono presi dalla società, ma poi occorre farli crescere, prepararli e alla fine compiere un discernimento assolutamente necessario. In caso contrario, avremo una Chiesa con un numero considerevole di pastori senza qualità umana per stare in medio populi Dei, pastori funzionari con indole impiegatizia, e a volte pastori affetti da un pericoloso narcisismo clericale.
Qui occorre una svolta. Ripeto, innanzitutto in termini di discernimento dei candidati, poi nella loro preparazione integrale, umana e cristiana. Occorre inoltre fortemente incoraggiare e dare forma a vite comuni di presbiteri, non forgiate sul modello monastico ma compatibili con una vita pastorale, in mezzo al gregge. Troppi presbiteri sono soli e ciò li induce spesso a compensazioni affettive che li pongono in gravi e patologiche contraddizioni con la vocazione e gli impegni assunti davanti alla Chiesa. Si arriva poi alla convinzione dell’importanza di una formazione continua, lungo tutta la vita, perché occorre non smettere mai di cercare, studiare e pensare in un lavoro non solipsistico ma fatto “insieme”, in una situazione sinodale, con il vescovo, gli altri presbiteri e l’intera comunità cristiana.
La vita del presbitero, pur nella necessità di portare la croce dietro al Signore Gesù, deve essere una vita umanamente bella, una vita buona, segnata dal bene, e una vita che conosca la beatitudine, dunque beata.
a cura di Luigi Guglielmoni*
*cf. Settimana 36/2015 pp. 8-9.