Lamberto Gian Paolo
La castità ricostruisce e risana
2015/10, p. 33
Noi siamo assetati di assoluto e di infinito. Con il celibato non solo affermiamo ma sperimentiamo che solo Dio può essere il nostro tutto. Dio infatti è l’unico che mi può dire: “Ti ho amato di amore eterno”.

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Testimoni
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Custodire l’amore esclusivo
La castità
ricostruisce e risana
Noi siamo assetati di assoluto e di infinito. Con il celibato non solo affermiamo ma sperimentiamo che solo Dio può essere il nostro tutto. Dio infatti è l’unico che mi può dire: «ti ho amato di amore eterno».
A volte affrontando il tema della crisi di vocazioni sacerdotali, sembra che una delle soluzioni più semplici sia quella dell’abolizione del celibato sacerdotale.
Sembra quasi automatico che il matrimonio sia “di per sé” la via alla felicità e alla pace dei sensi. Ma se guardiamo alla vita matrimoniale vediamo come è alto il numero di tradimenti e divorzi, quindi ne possiamo dedurre che non basta avere la fidanzata, e a volte non ne basta solo una. E se il prete non solo si sposa ma si risposa? (è capitato!).
Noi siamo assetati di assoluto e di infinito, e un altro essere umano, limitato come è, non può soddisfare questa sete per me. Con il celibato noi non solo affermiamo ma sperimentiamo che solo Dio può essere il nostro tutto. Dio è l’unico che mi può dire: «ti ho amato di eterno amore».
La castità
risana
Quando si parla di castità spesso si affronta l’argomento dal punto di vista dei problemi che ne sorgono oppure da quello delle motivazioni teologiche. A me piacerebbe invece parlare della castità guardando al bene che fa a noi e al mondo.
Quando nel 1989, appena ordinato, fui destinato per un tempo negli Stati Uniti, ebbi l’opportunità di frequentare alcuni corsi di counseling. Già molto prima dei famosi scandali, si parlava degli abusi sessuali come di un cancro di tutta la società, che lasciano ferite che durano tutta la vita. Il nostro professore/terapista ci spiegava che una di queste profonde ferite è la perdita del senso dei “confini” (boundaries è la parola tecnica) dell’io fisico e psicologico riguardo alla sessualità.
Per noi cristiani ci sono perlomeno due condizioni in cui questi confini sono molto chiari e ben definiti: il matrimonio e la vita consacrata. Queste sono due relazioni di tipo “esclusivo”:
Nella relazione marito/moglie l’amore della coppia è aperto ai figli, ai familiari e a tutti, ma il loro rapporto a due è solo per loro, nessun altro ci può entrare, e questo mette dei limiti chiari alla loro relazione e a quelli che girano intorno a loro. Di per sé esclude già ogni tradimento e ogni abuso ed è la base di una famiglia sana e funzionale.
E lo stesso succede nella mia relazione di donazione a Dio. La vita consacrata suppone un rapporto esclusivo con Dio: nessun altro può entrare in questo rapporto. Io sono aperto a tutti nel mio amore ma quando c’è di mezzo la mia relazione con Dio traccio una linea netta: io appartengo a Dio, non posso darti quello che è Suo e non posso prendere quello che falserebbe la mia relazione con Lui.
Se io sono in una di queste due relazioni quando incontro un’altra persona, tutto il mio essere e il mio comportamento dicono: “Ti voglio bene, ma c’è una chiara linea che ne tu né io possiamo oltrepassare. Al di là di quella linea io appartengo ad un altro. Oltrepassarla sarebbe un tradimento, una bugia, cioè dirti che posso darti qualcosa che è di un altro, ti offrirei una pienezza che non è tale, e per potertela dare dovrei rompere quell’altra relazione.”
Le due
porte
La mentalità dominante e anche quella istintiva ci dice che io valgo solo in quanto sono amato, posso avere la felicità solo se ricevo amore, se sono oggetto di amore. Ecco allora che lascio tutte le porte aperte a ciò che mi fa oggetto di amore. Tutto ciò che mi dà piacere e conforto immediato lo cerco e lo ricevo senza discriminare. E allo stesso tempo tendo a chiudere le porte del cuore a chi non mi dà amore o perlomeno non mi restituisce o non potrà restituire quello che io gli do. E così mi chiudo nel mio egoismo. L’altro ha valore in quanto mi ama, fino all’estremo di esistere in funzione di me. Io cerco sì l’altro, ma per me. E questo è un rovesciamento completo dell’amore cristiano. Mi è lecito tutto quello che può essere per me, il mio ricevere deve superare il mio dare casomai rimanessi senza abbastanza amore, e la gratuità mi fa paura.
Gesù invece, mi dice che io sono già “stato-amato” prima della Creazione e di nuovo nella Redenzione. Proprio per questo, da adesso, io esisto e valgo in quanto amo, posso avere la piena felicità solo se sono soggetto di amore. L’amore di Dio in me, che è più grande di me, nel mio amarti dà valore a te e a me, e nell’amare te io conosco il vero me, perché l’Amore che mi ama diventa vivo in me. Quindi apro le porte del mio cuore a tutto ciò che mi permette di amare te, nella gratuità più totale, come hanno fatto i santi, ma chiudo le porte a tutto ciò che mi può separare dall’esclusività del rapporto con l’Amore che è Dio, a tutto ciò che è peccato perché rompe questa relazione.
Ricostruire,
sanare, custodire
In certi casi, al di là della pura sessualità, c’è la tendenza a formare relazioni di tipo esclusivo, autocentrate, chiuse, possessive, virtuali, che creano divisioni nella comunità, gruppi, conflitti, gelosia, insomma è un modo di impostare le relazioni interpersonali malato e immaturo!
Ma chi si avvicina a una persona consacrata alla castità per il Regno, deve per forza scontrarsi con il confine (boundary) dell’esclusività per Dio. Non può cercare me per sé. Nel rapporto con me deve lasciare cadere ogni pretesa di possessività. La purezza di intenzioni e atteggiamenti avvicina a Dio solo e apre alla comunione.
Allo stesso modo il consacrato che si avvicina all’altro vuole purificarsi da ogni connotazione che possa fare di lui un oggetto del suo desiderio, per fare della sua relazione un dono puro, che non cerca altre cose sia pur buone e lecite.
Sia il consacrato che l’altra persona nella relazione sono come costrette a riconsiderare dove sono i loro confini affettivo/fisico/psicologici e a rafforzarli. Questo genera una rete di relazioni sane, come nella famiglia, dove i figli non possono entrare nella relazione di mamma e papà e sanno che un “uomo o una donna estranei” non entreranno in quella relazione.
Custodire l’amore esclusivo richiede un impegno attivo di chiudere le porte del cuore a chi e cosa è estraneo a questa relazione. Nello stesso modo la via alla mia realizzazione come soggetto di amore mi fa spalancare le porte del cuore a chiunque è fuori di questa relazione, ma con limiti e confini molto chiari che generano relazioni stabili, non in balia di sentimenti o passioni o interessi, e che quindi generano sicurezza e che possono fare guarire sia me che l’altro in quanto i confini psicologici ora sono chiaramente definiti.
Ora, se una delle ferite più profonde che lascia l’abuso sessuale è la perdita o confusione del senso dei propri confini psicologici (“boundaries” ) nelle relazioni interpersonali, una relazione in cui i confini della relazione sono tracciati in modo netto e chiaro, indubbiamente è un fattore che può aiutare a guarire. Tanto più se chi si pone davanti a me, in virtù della sua scelta di consacrazione, esclude dal rapporto ogni connotazione che possa fare di me un oggetto del suo desiderio. E quindi aiuta anche me a costruire e mettere dei confini precisi nei suoi confronti. Se questo viene applicato anche agli altri tipi di relazione, si vede che la castità produce salute nella rete dei rapporti umani e sociali. Aiuta il processo di indipendentizzazione per cui l’individuo si evolve e diventa adulto come speciale e staccato dagli altri, senza traumi, rotture e confusioni. È chiaro perciò che la castità è un fattore altamente positivo: la castità risana!
Alcune
considerazioni
Quando il Padreterno ha visto la debolezza umana e ci ha dato come comandamento: “non desiderare la donna d’altri” non gli è passato per la testa neanche per un secondo di abolire il matrimonio, anzi…! In modo simile la fragilità umana non è elemento sufficiente per giustificare l’abolizione del celibato sacerdotale! Noi non siamo solo quello che siamo per natura ma anche quello a cui siamo chiamati a essere per grazia!
Perché il matrimonio funzioni non basta che la natura faccia il suo corso. Così per la castità non c’è niente di automatico dopo la professione perpetua o l’ordinazione. In tutti e due i casi ci vuole impegno, fedeltà, custodia del cuore, costanza, sacrificio, bisogna “volere” voler bene, è una decisione spesso eroica.
La società, che ha visto la preziosità e la fragilità del matrimonio, lo ha istituzionalizzato per proteggerlo e rinforzarlo. E la Chiesa ha fatto bene a fare lo stesso con il celibato.
Il matrimonio cristiano si pone come ideale davanti al matrimonio pagano, come quando nella lettera a Diogneto si dice che i cristiani condividono la mensa ma non il talamo. Certo non è facile, bisogna andare contro corrente, è un ideale molto alto, ma posso citare almeno i miei genitori che l’hanno vissuto bene e tanti altri.
È così anche con il celibato sacerdotale: non è facile, bisogna andare contro corrente, è un ideale molto alto, ma posso citare due parroci e una decina di curati che sono stati al mio paese da quando sono nato, i preti della mia diocesi e i tanti missionari del mio istituto con cui ho condiviso parte del mio cammino: persone concrete, non marziani!
Non c’è tanto da chiedersi se abolire il celibato ma: “sono pronto io a pagare il prezzo che la donazione totale e l’amore puro sul modello di Gesù richiede?”. Specialmente ora sapendo che la castità non mi distrugge ma ricostruisce e risana me e chi mi sta intorno.
Uno che voglia mettersi a servizio totale del Signore e non sia disposto a pagare il prezzo dell’amore, certamente, lascia un po’ a desiderare!
p. Gian Paolo Lamberto IMC
missionario in Corea del sud