Prezzi Lorenzo
Fondamenti e buone pratiche
2015/10, p. 7
Cronaca del convegno svoltosi a Capiago (17-21 agosto) su «Consacrati nella Chiesa oggi. Un nuovo cammino». La ricerca dei valori fondamentali della scelta religiosa apre alle buone pratiche di vita in un contesto storico che segnala un passaggio epocale per la Chiesa e la società.

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Testimoni
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Anno della vita consacrata
FONDAMENTI
E BUONE PRATICHE
Cronaca del convegno svoltosi a Capiago (17-21 agosto) su «Consacrati nella Chiesa oggi. Un nuovo cammino». La ricerca dei valori fondamentali della scelta religiosa apre alle buone pratiche di vita in un contesto storico che segnala un passaggio epocale per la Chiesa e la società.
Poco oltre la metà dell’anno della vita consacrata si è svolto a Capiago (Como, 17-21 agosto) il convegno nazionale su Consacrati nella Chiesa oggi. Un nuovo cammino, organizzato dalla comunità dehoniana locale e dalla nostra rivista. 170 presenze (una trentina i religiosi), 4 giorni di lavori, 6 relatori,1 una decina di ore per il confronto in assemblea, le celebrazioni liturgiche e gli spazi di silenzio: questa una breve sintesi quantitativa. Entrando nei temi si riconosce la presenza di due filoni principali: uno relativo ai fondamentali della vita consacrata e un secondo più attento ai dati concreti, alle sfide quotidiane, alla dimensione progettuale. Il riferimento continuamente evocato è il magistero di papa Francesco e in particolare la sua lettera ai consacrati del novembre scorso (cf. Testimoni 1/2015 p.41). L’idea di dover dare una restituzione a papa Francesco per la sorprendente rivalutazione da lui operata della vita consacrata ha avuto riscontro fra i presenti che hanno valutato positivamente il tentativo compiuto all’Unione superiore maggiori d’Italia (USMI) nella sua ultima assemblea, con il conseguente invito a estendere il compito all’insieme dei religiosi italiani.
Tre correnti
maggiori
Le prime due relazioni (L. Guccini e L. Prezzi) sono state dedicate ai percorsi recenti della vita consacrata e alla situazione attuale. Senza sconti in ordine alla sua crisi. Sono state richiamate le tre correnti maggiori che l’hanno interpretata. Si potrebbero indicare con i termini: aggiornamento, riforma, modelli storici. O altrimenti: declino, infedeltà, insufficienza. La prima è legata ai processi di aggiornamento avviati nel post-concilio che hanno riguardato l’intero spettro della esperienza spirituale religiosa: costituzioni, inserimento, opere, formazione ecc. Un cammino generoso che ha incrociato i temi della persona, della comunità, della missione, del codice, del carisma fino alla sintesi espressa nella post-sinodale Vita consecrata e al primato riconosciuto alla vita spirituale nell’ultimo decennio. Esso si è sviluppato in parallelo ad una drammatica crisi numerica: le suore italiane negli ultimi cinquant’anni si dimezzano (da 155mila a circa 85.000), i religiosi calano di un terzo (da circa 30mila a 20.000). Le prime e i secondi hanno a che fare con un rapido invecchiamento, scarsità di vocazioni, chiusura di opera, affanni amministrativi, sfide formative impreviste.
Una seconda corrente addebita la crisi della vita consacrata alla sua infedeltà, alla necessità di una riforma non ancora compiuta. La crisi è legata all’infedeltà, o quantomeno, a non aver posto l’attenzione su una più radicale riforma spirituale. Stili di vita che appannano il Vangelo, forme di spiritualismi non ancorati alla Scrittura e al battesimo, scarsa trasparenza del riferimento a Cristo nelle proprie opere. Così si esprime L. Guccini nel volume Vita consacrata e mondanità spirituale (EDB, Bologna 2015): nel post-concilio si «lavorava moltissimo a livello istituzionale e dell’aggiornamento, ma quando ci siamo messi a studiare più in profondità, e cioè da un punto di vista spirituale serio, il “perché” della vita consacrata e le principali componenti di essa – missione, comunità, voti – ci siamo resi conto che c’era un punto troppo ignorato e da ritrovare: occorreva rileggere in modo nuovo, in una prospettiva teologico-spirituale e di fede, le grandi parole che definiscono la vita consacrata… Non i problemi strutturali e organizzativi pur importanti, ma i contenuti, la qualità di vita evangelica che li deve caratterizzare. Si dirà che questo s’è sempre saputo ed è del tutto scontato. Purtroppo si fa proprio così: si dà per scontato ciò da cui dipende tutto: Gesù Cristo e il Vangelo» (p. 69). Alla sua voce si possono aggiungere quella di M. Rupnik, di G. Canobbio, di F. Ciardi e molti altri.
Una terza corrente punta invece l’attenzione sull’esaurirsi del modello della vita religiosa apostolica (in particolare). Nelle grandi partizioni storiche della vita consacrata – il monachesimo nei primi secoli, gli ordini mendicanti del XII secolo, le congregazioni moderne del tridentino e le congregazioni sociali dell’800 – saremmo oggi davanti ad un nuovo paradigma che inesorabilmente non azzera, ma certamente emargina, il modello della congregazione sociale. Ne parlava già nel 1993 p. Cada nel contesto del primo convegno internazionale della vita consacrata. Un attento studioso come Giancarlo Rocca l’ha così espressa in varie parti e ultimamente su L’Osservatore romano (12 marzo 2015). In questi 50 anni sono scomparsi 370 istituti religiosi. La contemporaneità della loro fine fa pensare che a terminare non sono i singoli istituiti, ma appunto il modello delle congregazioni di vita attiva. Su questa linea si possono riconoscere le interpretazioni di G. Dal Piaz, G.Pegoraro, A. Riccardi.
Dal battesimo,
nella Chiesa
In realtà le posizioni non sono così differenziate e spesso si combinano fra loro. La più decisiva mi sembra quella che richiama la riforma, ma tutte e tre hanno delle plausibili ragioni. Il convegno è andato diretto ai fondamenti e alle buone pratiche.
Il tema della vita consacrata non si pone più per sé. Emerge dalla vita della Chiesa e si struttura attorno al battesimo e all’eucaristia. Si può parlare di scelta religiosa solo dentro la Chiesa, a partire dalla Trinità e da quella relazione all’alterità che in essa si compie, dove essere e relazioni coincidono. Nel battesimo avviene il passaggio dall’individuo alla persona, dalla solitudine segnata dal peccato alle relazioni informate dallo Spirito. Non c’è nessuna spiritualità prima o oltre i sacramenti, perché la vita spirituale non è altro che l’esercizio della vita nuova in Cristo ricevuto grazie allo Spirito nel battesimo. Lì «ci immergiamo nella comunione personale nella quale siamo resi figli». «L’uomo emerge dal soffio donato nel battesimo; nessuna vita è in lui se non la comunione trinitaria» (M. Rupnik). «L’esistenza umana è legata a un principio di vita divina trasmessa a noi dalla chiamata di Dio alla vita, alla vita in Lui e con Lui, ridonataci, dopo il peccato, nel battesimo. Il peccato infatti ci aveva staccati dalla vita divina, ma la redenzione ci ha nuovamente inseriti in Cristo e con il battesimo ci viene data la grazia di questa vita nuova, alla quale ci è chiesto di aderire con la nostra vita concreta, scelta secondo una vocazione specifica» (T. Simionato).
Vi è quindi una priorità della Chiesa entro la quale può prendere forma la vita consacrata. «Per quanta creatività si possa riscontrare nelle forme di vita consacrata, appare imprescindibile che esse siano successive alla Chiesa. Ne sono l’efflorescenza sia in quanto “rappresentano” la forma di vita di Gesù, sia in quanto confessano vitalmente la sua signoria di Risorto, sia in quanto prefigurano il compimento dell’umanità significata dalla Chiesa» (G. Canobbio). La stessa logica è attiva nel rapporto della vita consacrata con la Chiesa locale: «È quasi superfluo precisare, a scanso di ogni possibile equivoco, che i due interlocutori non vanno considerati su posizioni similari e parallele. La vita consacrata infatti è dentro la Chiesa particolare, non di fronte o accanto ad essa» (G. Gardin).
Voti, regole, carismi, teologie, processi formativi si plasmano dentro l’identità eucaristica della Chiesa, dove l’umanità nostra e dei fratelli e sorelle si fa cibo. Tutto concorre a rafforzare la dimensione simbolica della vita consacrata. Il simbolo permette di scoprire una verità più profonda che lì incomincia a dischiudersi, che attrae e unisce. La vita religiosa «è simbolica perché è vita. Laddove si parla di vita il solo linguaggio possibile è quello simbolico. Il simbolo “non rimanda”, “non significa”, ma piuttosto manifesta, rende presente, svela e coinvolge. Solo così si arriva alla verità, che è la vita stessa di Dio Trinità» (M. Rupnik).
Da questo ceppo battesimale, trinitario, eucaristico ed ecclesiale nascono e si alimentano le dimensioni caratteristiche della vita consacrata, come la comunione, la profezia e la missione. La vita comune è «il luogo simbolico dell’umanità riconciliata e quindi germe di una riconciliazione tendenzialmente universale. Non attorno ad una idea o a una attività bensì attorno all’unico Signore che ha abbattuto il muro di separazione (Ef 2) attraverso la dedizione fino alla morte» (G. Canobbio). La vita fraterna in comunità è il riflesso nella piccola storia quotidiana della risurrezione di Gesù. Il suo valore apostolico è quello di annunciare l’eschaton, l’ulteriorità della fede. Anche oltre i limiti delle percezioni ecclesiali attuali che tendono a non vedere le dimensioni della consacrazione – primato di Dio e quella della comunione – fraternità a vantaggio della missione – carità, spesso però ricondotta ai servizi immediati.
Pratiche
per il futuro
Il capitolo delle buone pratiche ha attraversato tutte le relazioni, ma in particolare quelle di G. Gardin e T. Simionato. Ne recensisco solo alcune. Anzitutto il passaggio dalla formazione alla probazione. È spesso già nei fatti per i ridottissimi numeri dei e delle postulanti. Ma può diventare una opportunità. Non più un curricolo con scansioni prefissate, diversità di riferimenti formativi, case differenti ecc., ma un circuito virtuoso fra esperienza diretta di comunità, competenza formativa, legame coi territori e le Chiese locali, esperienza internazionale, competenza teologica. Un secondo elemento è la comunità fraterna. Non si tratta solo di passare da una comunità di regola a una comunità di relazioni, ma di capire che la necessità di vivere del proprio lavoro non più individuabile nell’opera (scuola materna o altro) impegna alla professione e alla corresponsabile gestione della casa. In terzo luogo, l’arte del lasciare. La sapienza di non farsi travolgere da opere non più in grado di essere trasparenti del Vangelo richiede forza di decisione, dialogo con le Chiese locali, ma anche l’intelligenza di discernere i luoghi, le comunità e le attività capaci di futuro. E ancora, il servizio petrino. La diversità dei territori (le province religiose non coincidono con le diocesi) e la pratica della missio ad gentes candida la vita consacrata a testimoniare nella Chiese locali la dimensione universale della Chiesa. L’interculturalità di molte comunità religiose, se non è un cattivo esempio di tratta di forze giovani per opere senza futuro, diventa una preziosa sperimentazione di Chiesa e di inculturazione della fede. Persino la limatura delle differenze di carismi similari (basti pensare alla vicinanza di riferimenti ispiranti fra molte congregazioni femminili e maschili) può diventare elemento prezioso per un diverso rapporto col mondo monastico e una disponibilità a facilitare il discernimento sulle nuove fondazioni a livello locale. Anche l’irrisolto tema del religioso presbitero può diventare una buona pratica in ordine alla domanda di spiritualità emergente dal presbiterio delle Chiese locali.
Il convegno e più ancora il vissuto dei relatori e dei presenti hanno trasmesso una percezione assai viva di un cambiamento radicale ormai imminente. Non si tratta della facile previsione in ordine ai numeri e alle presenze religiose nel prossimo futuro, ma di un mutamento ecclesiale e storico, annunciato dal magistero di Francesco. Un febbrile e imminente trapasso della figura complessiva della Chiesa che è in qualche maniera anticipata nella sofferta transizione dei religiosi. Sullo sfondo: un vero e proprio cambiamento di paradigma e di civiltà. Il richiamo al modello binario delle epoche organiche (nesso fra uomo-natura-creato e Spirito) e critiche (il primato del pensiero, dell’individuo e delle successioni idea-pratica) del pensiero di V. Ivanov stimola la percezione di una nuova epoca dove la domanda di senso e il dono dello Spirito rappresentano la soluzione davanti all’abisso dell’in-umano e alle domande sul post-umano e il trans-umano. Un tempo dove più facilmente emergeranno gli interrogativi ultimi, la domanda su Dio e il senso della vita.
Lorenzo Prezzi
1 I relatori sono stati i dehoniani Luigi Guccini e Lorenzo Prezzi; p. Marco Rupnik, gesuita-artista, animatore del Centro Aletti di Roma; mons. Giacomo Canobbio, professore alla Facoltà teologica di Milano; mons. Gianfranco Gardin, vescovo di Treviso; suor Teresa Simionato, ex superiora generale delle Suore maestre di Santa Dorotea ed ex-presidente dell’USMI.