Cozza Rino
Dalla vita religiosa alla vita evangelica
2015/1, p. 33
La Vita Religiosa deve affermarsi in maniera diversa: se prima si trovava bene a celebrare la storia, oggi deve trovare forme che celebrino, la “vita evangelica” con la funzione di creare l’incontro tra Dio e l’uomo, tra l’uomo e Dio e degli uomini tra di loro.

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Verso nuove aperture
DALLA VITA RELIGIOSA
ALLA VITA EVANGELICA
La Vita Religiosa deve affermarsi in maniera diversa: se prima si trovava bene a celebrare la storia, oggi deve trovare forme che celebrino, la “vita evangelica” con la funzione di creare l’incontro tra Dio e l’uomo, tra l’uomo e Dio e degli uomini tra di loro.
Se finora si è detto che la vita religiosa è vittima della mancanza di vocazioni, è arrivato il tempo di prendere atto del contrario, vale a dire che è l’attuale forma di VR la causa non solo della mancanza di vocazioni ma anche dello “spegnersi” delle attuali.
Il Papa parlando ai vescovi disse: «promuovete la vita religiosa; ma se ieri la sua identità era legata soprattutto alle opere, oggi costituisce una preziosa riserva di futuro a condizione che sappia porsi come segno visibile, sollecitazione per tutti a “vivere secondo il Vangelo”».1
«Spero che ci rimuova la paura di rinchiuderci nelle strutture (fisiche e mentali) che ci danno false protezione».2
Parole di papa Francesco che invitano ad essere attenti a forme di vita chiaramente evangeliche, aperte e incompiute e pertanto suscettibili di ulteriori arricchimenti, la cui bellezza e fecondità non sia data dagli atti religiosi e neppure dai “servizi” che presta, ma dalla capacità di testimoniare il vero volto di Dio manifestatosi in Gesù Cristo, offrendo ragioni per credere e motivi di luce, guardandosi dal pensare che la capacità di illuminare di una torcia elettrica (istituzione) sia data dal puntare gli occhi sulla torcia piuttosto che su quanto sia capace di rischiarare.
Il ricollocarsi nasce dal misurarsi con i nuovi scenari evangelici.
La vita evangelica è oggi caratterizzata da una grande biodiversità. Le nuove forme hanno configurazioni di appartenenza al vangelo più ampie e coinvolgenti riponendo la sequela nella trasparenza della vita battesimale, atta ad inserire la vita nel dinamismo del disegno di Dio. Sono nate dal non prediligere sistemi organizzativi complessi caratterizzati da spinte spersonalizzanti che creano dipendenza, ma da configurazioni che diano un volto nuovo, originale alla santità. Investono su ciò che è al cuore del Nuovo Testamento, l’annuncio (kerigma) per il quale la bellezza del vivere non è data dalla religiosità ma dall’essere estensione nel tempo dei gesti di Gesù affinché ognuno sia per gli altri una opportunità di incontro con Dio. Per poter fare tutto ciò le nuove forme discepolari hanno abbandonato ciò che era ideale del mondo antico: l’ordine statico e leggi immutabili.
Oggi in cui la Chiesa va definendosi differentemente da quella preconciliare, la vita religiosa deve affermarsi in maniera diversa: se prima si trovava bene a celebrare la storia attualmente deve trovare forme che celebrino, trasparentemente e coraggiosamente la “vita evangelica” con la funzione di creare l’incontro tra Dio e l’uomo, tra l’uomo e Dio e degli uomini tra di loro.
«Voi fate parte di quella Chiesa povera e in uscita che sogno»(papa Francesco)
Queste parole che ogni forma di VC vorrebbe sentir dire di sé, il papa le disse ai rappresentanti di una forma di vita evangelica (Istituti secolari),3 che verso la metà degli anni ’50, nel momento in cui i religiosi si chiedevano che cosa fare in un tempo di questioni nuove, i laici si chiedevano che cosa fare in un tempo il cui mondo è totalmente nuovo. Sorprendente è stato il fatto che nella Chiesa a capire il significato di “fine di un’epoca” e la capacità di confrontarsi con la dinamica del cambiamento, non sia venuto dai professionisti della religione, ma dai laici o da coloro che ponendosi la questione “che cosa debbo fare per avere la vita?” hanno intravisto la risposta all’interno dei nuovi orizzonti ecclesiologici che vedevano il laico e la laicità protagonisti.
Rivoluzionario è stato il pensare che non ci poteva essere alcuna forma di vita evangelica al di sopra del mondo, né a fianco ma nel cuore delle vicende umane, segno di quella Chiesa dialogante di cui parlò Paolo VI nell’Enciclica Ecclesiam suam: «Non si salva il mondo dal di fuori; occorre, come Colui che si è fatto uomo, immedesimarsi, in certa misura, nelle forme di vita di coloro a cui si vuole portare il messaggio di Cristo; occorre condividere, senza porre distanza di privilegi, o diaframma di linguaggio incomprensibile, se si vuole essere ascoltati e compresi».
Per vocazione – disse papa Francesco agli Istituti Secolari – siete laici come gli altri e in mezzo agli altri, senza la visibilità di opere specifiche; ricchi solo dell’esperienza totalizzante dell’amore di Dio e per questo capaci di conoscere e condividere la fatica della vita nelle sue molteplici espressioni, fermentandole con la luce e la forza del Vangelo, capaci di trovare strade nuove e coraggiose per raggiungere tutti, incoraggiandoli ad essere “rivoltosi” lì dove si gioca la politica, l’economia, l’educazione, la famiglia, ovunque si gioca la salvezza non solo delle persone ma anche delle istituzioni.
Da allora in poi nella Chiesa iniziò una nuova primavera dello Spirito. Circa quindici anni dopo, Giovanni Paolo II parlando delle nuove forme di vita evangelica (movimenti) che andavano affermandosi, dirà: «manifestazione di energia e di vitalità ecclesiale da considerarsi certamente uno dei frutti più belli del vasto e profondo rinnovamento spirituale promosso dall’ultimo Concilio». E Benedetto XVI rivolgendosi ai movimenti4 disse: «voi discepoli in questo nostro tempo siete convocati per proclamare la gioia del credere». Il riferimento a “questo nuovo tempo” viene a dire che l’efficacia dell’annuncio è in proporzione della capacità di misurarsi con i paradigmi dell’oggi. Ancora Benedetto XVI: «le vostre numerose realtà ecclesiali mostrano quanto viva sia l’azione dello Spirito santo nel popolo di Dio».5
Le nuove forme discepolari sono nate dal coraggio di passare dalla “religiosità” all’ ”evangelismo”.
Da questa istanza è nato il cristianesimo non quale religio ma alleanza conseguente ad un patto che non fa della fede la costrizione di una legge ma una proposta alla coscienza. Il cristianesimo con la Buona Notizia – scrive M.Gauchet – deve essere la «religione uscita dalla religione».6 Concetto fondamentale nella teologia di Bonhoeffer (ed oggi di tanti altri teologi). Nei vangeli il sacerdote, il levita, gli osservanti scribi e farisei non sono modelli dell’orientamento di vita svelato da Gesù, il quale, anzi, ha talvolta elogiato la fede di persone che non praticavano la sinagoga. Gesù non ha voluto fondare una nuova religione, ma umanizzare ogni forma di religiosità, affrancando le persone dai timori da questa generati, riconducendo la legge, liberata da tutta una precettistica complicata, al suo centro, che è la carità, quella che privilegiando l’essere autentico rifugge dal formalismo. In fondo i conflitti che Gesù ebbe e continuò ad avere con il tempo sacro (il sabato) e con lo spazio sacro (il tempio) sono la manifestazione di una libertà sorprendente e persino scandalosa nei confronti della religione ufficiale.
Ma tutto era incominciato a cambiare dopo il periodo apostolico: la spiritualità di alcuni gruppi si era portata ad essere di tipo sacrale arrivando via-via a un profilo monastico-clericale che della sequela aveva fatto suo un privilegio esclusivo e quindi escludente.
Oggi siamo nel tempo in cui sta per finire quella religiosità che si è protratta fino ai nostri giorni, e con essa quel modo di essere religiosi e religiose proprio di quella società in cui il sacro costituiva una sorte di collante collettivo nel senso della religio (da religare) che ha talvolta veicolato una fede distante dalle domande segrete dell’uomo in quanto uomo.
Oggi la VR è nella necessità di misurarsi con una sensibilità che le impone di ripensarsi daccapo e in radice.
Che cosa fare perché anche la vita religiosa possa essere sognata?
È necessario ripartire dal riconoscere ciò che le è estraneo al Vangelo. Non fa certo sognare il quadro estetico fissatosi nell’immaginario dei giovani come un catalogo di schemi dottrinali e comportamentali, che hanno dato forma a una spiritualità spesso molto rigida vincolata a schemi propri di un’altra epoca, sovraccarichi di forme devozionali teologicamente e biblicamente poveri diffidenti delle attuali correnti spirituali.7
Non è più il tempo della retorica. Papa Francesco continua a ripetere che una chiesa chiusa, ripiegata su se stessa, che non si apre, è una chiesa malata. Con queste espressioni invita a non concentrarsi unicamente su se stessi e su ciò che favorisce la conservazione rispetto alla proiezione verso il mondo e i suoi problemi, perché le risposte del Signore sono sempre all’interno di un “oggi”. Se il passato ha spesso legato strettamente la rigida ascesi penitenziale quale emblema di coloro che intendevano seguire Cristo più da vicino, non si può concludere che la vita consacrata faccia un tutt’uno con quel tipo di ascetismo. Al suo posto sta nascendo un cristianesimo che dall’esteriorità dottrinale vuole passare all’interiorità di una fede vissuta e praticata, in grado di liberare nuove energie, capaci di annunciare Dio in modo nuovo, e farlo apparire nella sua bellezza accogliente e ospitale dell’umano.8
È tempo di prendere le distanze da ciò che fa percepire i religiosi come funerei, votati alla sofferenza piuttosto che alla festa e alla gioia, dimenticando la promessa: “a questi appartiene il regno dei cieli.
È il momento – scrive B. Secondin – di un nuovo modello di santità collettiva, non più sintonizzata sui parametri di una perfezione troppo debitrice al modello astorico del platonismo e dello stoicismo volontaristico. Il nuovo modello dovrà generarsi da un ascolto intenso e sistematico della parola, in un clima di ecclesialità e in compagnia della storia e delle cose.9 Un modello di spiritualità che si faccia disposizione d’animo a percepire dall’interno le inquietudini dell’uomo, con disponibilità a stare nel mondo abitandolo, non “beneficandolo” dal di fuori senza condividerne le ansie.
Evangelica è una “vita insieme” se vissuta “da fratelli e sorelle”.
Le nuove forme di vita evangelica vengono a dire che la visibilità convincente non è più quella istituzionale, ma la potente umile testimonianza di vita che parla all’uomo d’oggi. Da qui la domanda: al cuore della vita evangelica c’è la comunità o la vita fraterna? La comunità può esistere e durare anche nelle società feudali e ineguali – dice L. Bruni – ma la vita da fratelli e sorelle richiede molto di più. Le comunità possono essere abitate da anonime e sole terze persone, mentre la vita da fratelli e sorelle va alla ricerca di quel qualcosa che possa dare un sovrappiù al senso della vita perché non devii verso una tiepida moderazione e si trasformi in un noioso adempimento di costumi.
È ancora il papa a dire: «se non si vive la fraternità non si è fecondi; se una persona non riesce a vivere la fraternità non può vivere la VR».
Una fraternità non giocata sulla perfezione ma che, come ha insegnato Gesù, ci sia di aiuto a gestire l’imperfezione; una comunità che non ci giudichi se non avremo raggiunto l’ideale, ma se avremo camminato nella buona direzione senza arrenderci.10 Diceva Jean Guitton: «la verità non sta per forza dalla parte della precisione (perfezione)».
Siccome il vangelo contiene una concezione della vita umana, prima di una teologia, la prima operazione è cercare di risvegliare l’umano, offrire spazi di umanità interessante, credibile, che possa attirare l’attenzione, sviluppare interrogativi e domande «promuovendo efficacemente la crescita del benessere non solo spirituale ma anche psichico, fisico» in risposta al desiderio di autenticità, di realizzazione, in fedeltà anche a se stessi, cioè alla propria verità e al nome scritto da Dio in ognuno. È attraverso figure umane interessanti capaci di sviluppare un atteggiamento di stupore e meraviglia che la fraternità sarà umanamente viva.
Infine una domanda carica di speranza: potremo avere una vita fraterna più vera e più leggera, meno pesata dall’istituzione, ma più comunionale, esperienziale e soprattutto serio laboratorio di comunione?
Rino Cozza csj
1.20.5.14
2.EG 49
3.Ai rappresentanti degli Istituti Secolari l’11.5.2014. In quella occasione poi aggiunse: «Per questo io penso che con la Costituzione Apostolica “Provida mater ecclesia” la Chiesa abbia fatto un gesto davvero rivoluzionario». Riportato da I. Scaramuzzi, Vatican insider.
4.Pentecoste 2005
5.Benedetto XVI al IV Conv. Naz. Ecclesiale di Verona, 16-20 ottobre 2006
6.F.Scalia in Servizio e potere nella Chiesa, di G.Miccoli-F.Scalia-R.Virgili-A.Rizzi-R.Fioroni, Gabrielli, Verona 2013, p.63
7.B.Secondin, Inquieti desideri di spiritualità, EDB, Bologna 2012, 188
8.Piero Stefani
9.B.Secondin, Inquieti desideri di spiritualità, EDB, Bologna 2012,41
10.F. Papa nella II domenica di Pasqua: dal vangelo della divina misericordia