Moya Pedro Achondo
Ascoltare i giovani, tornare a Gesù
2015/1, p. 27
La pastorale vocazionale può costituire una formidabile opportunità per trasmettere la gioia e la vitalità del Vangelo. Può diventare il principale veicolo di evangelizzazione, missione e annuncio, a condizione che guardiamo al di là della sopravvivenza dei nostri istituti.

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Testimoni
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Percorsi per una pastorale vocazionale rinnovata
ASCOLTARE I GIOVANI
TORNARE A GESÙ
La pastorale vocazionale può costituire una formidabile opportunità per trasmettere la gioia e la vitalità del Vangelo. Può diventare il principale veicolo di evangelizzazione, missione e annuncio, a condizione che guardiamo al di là della sopravvivenza dei nostri istituti.
Quando si parla di pastorale vocazionale (PV), la prima cosa da tenere presente è che oggi viviamo in tempi di cambiamento, di trasformazione, sia a livello ecclesiale che in quello planetario e culturale. La PV oggi può essere del tutto diversa da quella praticata in passato.
Lo scrive p. Pedro Achondo Moya, EE.CC. membro dell’équipe direttiva della rivista Testimonio della Conferenza dei religiosi/e del Cile in un articolo intitolato Proposte e intuizioni per una Pastorale Vocazionale rinnovata. Ma. come rinnovare oggi la pastorale vocazionale? Padre Pedro propone tre particolari piste.
La prima consiste nell’ascoltare con attenzione la voci dei giovani: che cosa cercano e sognano i giovani? Quali sono i limiti, le loro frustrazioni e perdite di speranza? Che cosa si attendono dalla Chiesa? Cosa significa la persona di Gesù per la loro vita? La congregazione ha una vera sensibilità per i giovani di oggi? Bisogna partire da questi interrogativi e da qui ricavare le risposte.
La seconda sta nel tornare a Gesù come Chiesa da lui convocata.
Può darsi, scrive p. Pedro, che le nostre pastorali vocazionali, senza accorgerci, si siano trasformate in una specie di propaganda carismatica. Ci sforziamo cioè tanto per far conoscere il fondatore o la fondatrice, moltiplichiamo opuscoli e documenti, frasi tipo slogan della fede e ogni genere di materiale che mostrano l’opera, la vita e la missione di ciascun istituto. Sono strumenti che aiutano a farci conoscere. Ma, e qui dobbiamo stare attenti, in nessun caso possono diventare il centro del nostro annuncio. La vita religiosa non annuncia se stessa. Non annuncia il suo carisma e nemmeno propone una specie di identità speciale: “essere francescano”, “essere gesuita”, “essere carmelitano, ecc. Non vogliamo essere fraintesi: ciò è importante e, in ogni modo, dice chi siamo e cosa facciamo. Ma il centro è Gesù e il Regno. Neanche Gesù ha annunciato se stesso. Quale distorsione della bella dinamica kenotica del Dio Trinità! La vita religiosa annuncerà oggi il Vangelo, il Signore Gesù vivo e risorto: e inviterà a un modo particolare di sequela. In questo senso, una buona PV sarà quella che sa tornare a Gesù, che è capace di mettere Gesù al centro della sua predicazione, del suo agire e del suo sguardo. Una buona PV lavorerà e si prodigherà per il Regno e si adopererà ad accompagnare i giovani nella loro ricerca spirituale (sete di Dio), sociale (sete di un mondo giusto) e umana (sete di una società fraterna e felice). Una sana PV lavorerà nella Chiesa, in comunità e per la comunità dei discepoli e discepole del Maestro. Saprà essere attenta e sufficientemente umile per orientare i giovani, a partire dalle loro ricerche, dove pensa che cresceranno maggiormente, dove saranno più felici e renderanno felici gli altri. In definitiva, la PV che mette Gesù al centro, consapevole del suo “essere Chiesa”, accompagnerà ciascun giovane a crescere nell’amore. E insieme, si cercheranno gli spazi, i luoghi, i momenti e le esperienze dove ogni giovane possa amare di più e servire meglio.
Rendere flessibile
la tradizione
Un’altra pista che può aiutarci, ma forse la più difficile da percorrere, sta nell’accogliere la diversità, e, di conseguenza, nel rendere flessibile le nostre strutture e pratiche tradizionali. Se annunciamo Gesù e lo facciamo a partire dai giovani e con i giovani con cui siamo in relazione condividendone la vita, dobbiamo essere disposti ad accoglierli ed essere totalmente aperti a chi bussa alla nostra porta. Ciò non significa relativizzare tutto, ma semplicemente tener fede alle opzioni indicate. I giovani verranno con le loro domande, storie e realtà tanto diverse e plurali. Essi e ciascuno di essi, dovranno essere accolti come un dono del Signore. Arriverà un Pietro, un Filippo, una Maria Maddalena, una Marta, due Giovanni, tre Lazzaro, un Giuda, un Nicodemo. Insieme formeranno la comunità degli amici di Gesù, condivideranno la vita e manifesteranno le loro inquietudini e critiche con amore; riempiranno il paesaggio congregazionale di colori e tingeranno la Chiesa con il passo dei tempi. In questo senso, la PV è il luogo di purificazione e di trasformazione di ciascun istituto. Essa deve diventare un pozzo profetico, aperto alla pluralità (testimonianza del Regno), mistico (aperto all’amore nella sua relazionalità diversa), ed etico (trasformatore della società e assetato di umanità).
Rendere flessibile la tradizione vuol dire aprire nuove strade con coloro che giungono e si uniscono a noi, cambiare ciò che non ha significato e rivedere ciò che lo Spirito suscita con i nuovi fratelli e le nuove sorelle che iniziano. È qui dove molte volte ci troviamo chiamati in causa (formazione iniziale e permanente). Non serve molto tornare a Gesù e ascoltare le voci dei giovani se, una volta entrati, o anche prima, essi trovano strutture rigide, ingessate, desuete o poco aperte alla novità. Se si trovano di fronte a comunità tristi, con una PV finalizzata al mantenimento delle opere.
Papa Francesco ha detto: “è nella pluralità che si manifesta la ricchezza incommensurabile del Vangelo: l’espressione della verità può essere multiforme” (cf. EG 41). E più avanti apre alla possibilità e necessità di “riconoscere consuetudini proprie (della Chiesa) non direttamente legate al nucleo del Vangelo... Possono essere belle, però ora non rendono lo stesso servizio in vista della trasmissione del Vangelo. Non abbiamo paura di rivederle” (EG 43). Su questa linea invitiamo a leggere il capitolo quinto della Evangelii gaudium in chiave di PV. Questo capitolo (Evangelizzatori con Spirito) può essere considerato la magna carta del rinnovamento della PV. Non capiti che i giovani assetati di amore e pieni di zelo per la casa del Signore (Sal 69,10. G v 2,13-17) abbiano a trovare una vita religiosa che non è disposta a “dare la vita” (Gv 15,13).
Tre azioni
concrete
La vita religiosa nella sua pluralità è chiamata a essere testimonianza, laboratorio di nuova umanità e segno del Regno. Tutto questo si vive in comunità fortemente laicali, con esse, al loro servizio. A volte come pastori, altre volte come pecore assetate e bisognose. Ascoltare i laici vuol dire avere fiducia in essi, confidare che lo Spirito di Gesù si manifesta nella comunità laicale e che alla fine sono anch’essi, laici e laiche, coloro che bevono ai pozzi carismatici e vivono la loro fede tinta del colore che ogni istituto può offrire. La PV non può continuare a rimanere chiusa entro la propria vita consacrata, perché siamo al servizio del popolo. Sarà questo popolo a dire di quale tipo di consacrati e consacrate ha bisogno e attende. Se prendiamo sul serio questo, possiamo camminare in équipe di PV composte di laici e religiosi, équipe miste, dove ci ascoltiamo, progettiamo e lavoriamo insieme. Nessuno possiede la ricetta. Uniti cercheremo nuove forme e metodologie adeguate. Ci pare strano pensare a laici che accompagnano processi di accompagnamento vocazionale alla vita religiosa?
Ci sono delle esperienze come queste; per alcuni non hanno significato. Bisognerà vedere. Molti religiosi e religiose sono stati accompagnati da laici nelle loro ricerche di fede. Per molti è stato un laico/a a inviarli a una comunità religiosa. Siamo tutti, uniti, a servizio del Regno. Allora lavoreremo insieme. E facciamolo anche e soprattutto nella PV.
Rafforzare la missione
delle frontiere
Senza dubbio oggi un giovane può cercare cose diverse. Molti giungono alla vita religiosa per la liturgia, per la bellezza e per una certa esperienza mistagogica. Altri si avvicinano per la vita fraterna, per la sete di una comunità che offra sostegno, sicurezza, affetto o per condividere la vita con altri, in forza della fede nel medesimo Signore. Altri vi giungono per la missione, desiderosi di uscire, di andare incontro ai più piccoli, dovunque si trovino. Altri per tutte queste cose. Molti con delle ricerche un po’ intuitive, delle motivazioni mischiate insieme che bisognerà purificare e discernere. Ognuno è una storia a sé; è chiamato per nome. Non per quello di un altro.
In tutto ciò crediamo che la PV abbia un vantaggio. È una pastorale per giovani, a partire dai giovani e perciò è una pastorale che “gode di buona salute” o meglio “ può godere di buona salute” se sapremo orientarla. Un’azione concreta e motivante per il rinnovamento della PV è la missione. Ci sono le forze, la voglia, la salute, la flessibilità e i sogni (in nessun caso questa affermazione è escludente; sappiamo di tanti religiosi/e che, già in età anziana, continuano a sognare, compiendo cose che persino molti giovani non sarebbero disposti a fare; le testimonianze non si contano!). Ma, è indubbio che la PV può essere il luogo per sviluppare una nuova metodologia di discernimento. Il discernimento nell’azione che non esclude in nessun caso la contemplazione, il silenzio o l’accompagnamento; qui vogliamo invitare a rafforzare qualcosa che a volte dimentichiamo nel discernimento vocazionale. La PV può costituirsi come gruppo missionario, come pastorale di frontiera, come invito costante a vivere esperienze (molte volte nella radice dell’intenzione del fondatore o della fondatrice) di annuncio della Buona Novella in situazioni e contesti difficili. Non dobbiamo avere paura di offrire questa opportunità. Una missione ben realizzata può costituire il momento più adatto per una rivelazione, un’epifania; per far sì che il giovane possa dire “questo è ciò che voglio vivere per tutta la vita”.
Una buona missione di frontiera comporterà la solitudine, la lettura della Parola (suo centro), l’incontro con i più poveri (i prediletti), un’esperienza di fraternità (con gli altri giovani e la gente). Una PV missionaria può essere il terreno più indicato per aprire gli occhi, per lasciarsi accendere di fuoco per Gesù il quale inviò i suoi discepoli come pecore in mezzo ai lupi (Mt 10,16). La PV deve assumere un ruolo attivo nella missione della Chiesa, in quella di ciascun istituto, nella missione che fin dai tempi primitivi ha caratterizzato i discepoli e le discepole di Gesù. Questo nuovo orientamento della PV richiede fratelli e sorelle (religiosi e laici) disposti ad andare, ad uscire e ad accompagnare i giovani missionari nell’incontro con il Maestro e i suoi piccoli.
Al centro
della pastorale giovanile
Infine, bisogna avere il coraggio di invitare a mettere la PV al centro della nostra attività giovanile. La PV possiede una dimensione universale (tutti sono chiamati) e una dimensione particolare (alla vita religiosa). Questa doppia natura può essere pensata in maniera dialogica e non a schemi (come in generale si fa). Si vuol dire che la PV è coinvolta in tutto. Alcuni parlano della cultura vocazionale, e ciò è interessante; infatti tutti sono chiamati a qualche cosa, a vivere in una certa maniera, a condividere la sorte di un certo gruppo o comunità. Tutto è vocazionale. Ovviamente ci sono sfumature da tenere presenti, certe cose caratteristiche per un buon processo di discernimento e di ricerca. Tuttavia, la PV può essere coinvolta nella catechesi, nelle comunità giovanili, nella cresima, nella pastorale sociale. A volte la PV si vive come una attività in più, all’interno della grande gamma di forme pastorali. E viene offerta a un piccolo, ridotto “gruppo di eletti”. Questo è difficile sostenerlo anche teologicamente. Ciò che qui proponiamo consiste nel collocare l’inquietudine vocazionale al centro della vita giovanile. Tutti i giovani cercano qualcosa e per questo si avvicinano alla comunità ecclesiale. È il Signore che può estinguere la sete. Questo è vocazionale! In concreto possiamo ripensare la pastorale giovanile, i gruppi della cresima, quelli missionari o di pastorale sociale, la visita ai malati, la pastorale scolastica, il volontariato di lavoro ecc. Tante cose che se le pensiamo insieme (e non come cellule isolate) possono dare corpo, significato e perfino una nuova lucentezza a tutta la pastorale giovanile. Al centro devono stare l’amicizia e l’amore per Gesù, e la domanda di ciascun giovane: Signore che cosa mi manca? (Mt 19,20).
Chiamata
alla risurrezione
È chiaro che c’è un compito da intraprendere. Quasi tutti gli istituti religiosi, le famiglie religiose e le congregazioni stanno cercando forme adeguate di PV, sia per accompagnare meglio i giovani, sia anche per condividere (e mantenere) una vita piena di gioia, una vita in cui crediamo, una vita fuori dal comune, di servizio, una forma che ci dà libertà e offre gioia e pienezza.
La chiamata al rinnovamento della PV è oggi un imperativo e come tale deve essere accolto e ben compreso. Non ha niente a che vedere col fare molte cose, poiché sappiamo che questo non garantisce la novità dei candidati: e nemmeno ha a che vedere con una certa angustia di avere comunità sempre più vecchie e ridotte. No, la chiamata è un’altra cosa. Scommettere per il rinnovamento della PV vuol dire scommettere per la freschezza del Vangelo per lo Spirito che ha molto da dire, da infondere, da cambiare e stimolare. Le nuove forme verranno dallo stesso Dio rivelato nella storia che continua a dire e a entrare in relazione. Una PV rinnovata per ascoltare la parole del Signore e mettere in pratica (Mt 7,21) sarà il vincolo per conoscere la cultura giovanile, il fuoco che contagerà tutta la comunità per uscire da certi accomodamenti e da certe stanchezze, sarà un laboratorio di creatività per la PV del presente e del futuro. È un compito enorme, una bella sfida.
Pedro Achondo Moya