Chiaro Mario
Piccolo gregge, grande testimone
2015/1, p. 20
Il quadro complessivo del Simposio, ha sintetizzato il direttore di AsiaNews p. B. Cervellera, indica la continuità dell’operato dei pontefici in Asia. I cristiani asiatici sono chiamati a essere profetici nel campo dei diritti umani e a gettare ponti di dialogo.

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I cristiani in Asia, simposio di AsiaNews
PICCOLO GREGGE
GRANDE TESTIMONE
Il quadro complessivo del Simposio, ha sintetizzato il direttore di AsiaNews p. B. Cervellera, indica la continuità dell’operato dei pontefici in Asia. I cristiani asiatici sono chiamati a essere profetici nel campo dei diritti umani e a gettare ponti di dialogo.
Nel 1995 Giovanni Paolo II durante il suo viaggio nelle Filippine, da Manila, affermava che “l’Asia è il nostro compito per il terzo millennio”. Da quella sua visione è nata l’esperienza dell’agenzia del PIME (Pontificio Istituto Missioni Estere), AsiaNews, che ha organizzato il Simposio internazionale 2014, il 18 novembre scorso presso l’Università Urbaniana di Roma sul tema “La missione in Asia: da Giovanni Paolo II a papa Francesco”. Il servizio missionario a partire dalle “periferie”, argomento già caro al papa polacco, oggi è messo ancor più in luce dal papa argentino. Egli ha mostrato infatti di voler puntare subito sull’Asia. Dopo aver visitato la Corea del Sud (agosto 2014), ora ha in programma un viaggio in Sri Lanka e nelle Filippine, (gennaio 2015).
Ma allo studio c’è anche un viaggio pastorale in Giappone e c’è il forte desiderio di visitare anche Cina e Iraq. Non è un mistero che lo stesso Bergoglio si sarebbe voluto recare in gioventù in Giappone, dove hanno operato due confratelli diventati superiori generali della Compagnia di Gesù, P. Arrupe e l’attuale superiore A. Nicolás. La santa Sede è poi da sempre interessata a migliorare i rapporti con la Cina, custodendo la memoria della missione nel 1500 del gesuita Matteo Ricci. Intanto, papa Francesco incoraggia una “conversione” del mondo dell’economia e della finanza a favore proprio delle popolazioni del continente asiatico.
Una piccola
grande Chiesa
Il Simposio ha offerto un’ampia panoramica della situazione della Chiesa nel continente. A questo scopo erano stati invitati relatori di primo piano a cominciare dal giovane card. Tagle, arcivescovo di Manila il quale, nel suo intervento, ha ricordato anzitutto i danni derivanti da decine di tifoni naturali che si abbattono annualmente sulla regione. Essi rimandano ad altri “tifoni” che straziano milioni di poveri: la corruzione politica e le mancanze di buone pratiche a favore delle famiglie. Molti indicatori segnalano, ad esempio, che le Filippine sono motore trainante delle economie del sud-est asiatico: però la futura “tigre” del continente porta però dentro di sé un costante aumento della forbice tra ricchi e poveri. Davanti a queste sfide, la missione della chiesa filippina, oltre alla denuncia delle disuguaglianze sociali, ha occhio per i poveri (con cibo, aiuti sanitari, servizi educativi o assistenziali, occasioni di lavoro ecc.). Quest’attenzione sociale prioritaria si salda con l’impegno per la custodia del creato. Le Filippine si segnalano anche per i nuovi protagonisti pastorali: ai sacerdoti e ai laici, ai fidei donum e ai missionari ad gentes, si sono aggiunti migliaia di donne e uomini migranti che riempiono le chiese delle nazioni in cui lavorano. Per esempio a Milano, ha affermato con foga il card. Tagle, i ventimila filippini ivi presenti non sono il futuro, ma il presente della Chiesa! Certo «la chiesa in Asia potrebbe sempre rimanere un piccolo gregge, ma essa ha numerosi martiri, la maggior parte di loro senza nome. Essa è proprio una chiesa dei senza nome, ma che ha professato e continua a professare il Nome che è al di sopra di ogni nome, Gesù Cristo». Una “piccola” chiesa che rimane una “grande” testimone della fede: «Noi in Asia siamo abituati a essere un piccolo gregge. Ma i numeri non sempre determinano la vitalità della Chiesa nella vita e nella missione. Nella sua piccolezza, una comunità rimane sempre Chiesa, la presenza del popolo di Dio. La gioia missionaria può essere sperimentata anche in una situazione di umile minoranza. Vi è una forza inspiegabile proveniente dalla fede, che scorre dinamica nella debolezza e nella sofferenza». Le chiese asiatiche cercano di vivere la missione non come “conquista trionfale”, ma come annuncio della persona di Gesù nel dialogo, portando frutti di umanizzazione sociale e di inculturazione della fede.
Corea: ammalata
di “nostalgia del papa”
Il vescovo di Daejeon, mons. You Hueng-sik, era un giovane prete quando Giovanni Paolo II fece la prima visita in Corea del Sud nel 1984, per celebrare i suoi 103 martiri nell’occasione del bicentenario dell’evangelizzazione del paese. Nel Simposio di AsiaNews, riflettendo sulle conseguenze della visita di papa Francesco, il presule ha affermato che si avverte «un cambiamento in atto: da chiesa che ha ricevuto a chiesa che deve donare. Attualmente la chiesa coreana ha numerose vocazioni e invia religiosi, laici, missionari in tutto il mondo a sostegno e aiuto della Chiesa universale».
La visita apostolica dell’agosto 2014 ha portato i giornali coreani a scrivere che il popolo ha contratto una nuova malattia: la “nostalgia del papa”. Francesco ha inciso così in profondità che a qualcuno è sembrato più coreano dei coreani! Tutti sono rimasti colpiti dal «modo in cui il pontefice vive e trasmette il vangelo, una sorta di potente semplicità che lo rende accessibile e che comunque spinge ciascuno a interrogarsi». In base a un sondaggio dell’Istituto di Joghe Buddista sociale, la Chiesa cattolica ha registrato il punteggio di 3.38 su 5 per quanto riguarda la fiducia: un risultato mai raggiunto finora. Mons. You Hueng-sik ha menzionato anche un sondaggio condotto dalla Conferenza episcopale coreana (interviste a oltre 200 persone tra vescovi, sacerdoti, religiosi e laici), in cui emerge che il compito pastorale, dopo la visita del papa, si riassume in due prospettive: una chiesa povera per i poveri e una chiesa che vive la gioia del vangelo.
«Il punto da migliorare per i vescovi coreani riguarda due aspetti: uno può essere definito “dialogo e comunicazione”, l’altro “pratica della giustizia sociale”. Altri punti critici sono stati individuati nella mancanza di una visione pastorale, nella leadership, nello stile autoritario e di superiorità». Insomma, «dopo la visita papale la chiesa coreana ha accelerato la propria missione di sviluppo e di crescita interiore», individuando alcuni valori chiave: la missione verso le comunità familiari in crisi; la missione per la pace e la riconciliazione con il supporto umanitario verso i rifugiati provenienti dalla Corea del Nord; la solidarietà con i poveri e l’attenzione speciale alle violazioni dei diritti umani nei confronti dei lavoratori emigranti; la valorizzazione della testimonianza dei consacrati che annunciano la bellezza della vita in Cristo; la comunione tra le varie componenti del popolo di Dio; la formazione sociale dove prevale il profitto e si tiene in poco conto la vita umana.
Cina: coinvolgimento
nella lotta per la giustizia
L’intervento dell’anziano e combattivo card. Zen Ze-kiun, vescovo emerito di Hong Kong, è stato forse il più emozionante: «spero di essere in tempo per andare, insieme a tutti gli altri coinvolti, a consegnarmi alla polizia per aver commesso disobbedienza civile e aver occupato per un giorno e una notte uno spazio pubblico. Spero che mi mettano dentro per qualche giorno, così avrò il tempo di pregare per tutti». Il riferimento è al movimento pro-democrazia, detto Occupy Central, iniziato con lo sciopero di 13mila studenti in risposta alla decisione di riforma elettorale per cui si prevede che solo i candidati approvati da Pechino possano concorrere al posto di capo del governo. Il “movimento degli ombrelli” (usati per proteggersi dagli spray urticanti della polizia) ha l’appoggio della chiesa locale, perché si batte contro l’alto costo delle case per le classi medio-basse e contro l’egemonia delle imprese edilizie dominanti nel Parlamento e nel Comitato elettorale.
Il cardinale, che lavora da sempre per fare della chiesa di Hong Kong una “chiesa-ponte” verso la Cina continentale, ha incentrato il suo discorso sulle limitazioni imposte da Pechino alle relazioni col Vaticano e, soprattutto, sui motivi che rendono il “dragone” asiatico molto impaurito della libertà religiosa. «Non oso parlare a nome di tutta l’Asia, ma sono convinto che la via delle missioni in Cina è l’uomo: l’uomo nella società, la società di uomini, di persone create a immagine di Dio». Pechino teme un’evangelizzazione che afferma: «l’ateismo umanistico oppone Dio all’uomo e l’uomo a Dio. O c’è Dio, e allora l’uomo lo adora oppure facciamo fuori Dio». Perciò il card. Zen dice: «Sono orgoglioso di poter affermare che, anche grazie a una competente Commissione Giustizia e Pace, la chiesa di Hong Kong sta accompagnando la nostra popolazione nella lotta pacifica per la democrazia, seguendo fedelmente gli insegnamenti del magistero sociale della Chiesa».
Iraq: la resistenza
contro il califfato
Il patriarca caldeo di Baghdad, mar Louis Raphael I Sako, ha ribadito che la chiesa perseguitata di Iraq desidera fortemente una visita di papa Francesco: «il culmine della vicinanza e della sua presenza» rafforzerebbe la spinta alla convivenza islamo-cristiana, coinvolgendo così l’occidente in un processo a favore della pace. Secondo mar Sako, sono state decisive la campagna di preghiera lanciata dal papa per fermare l’intervento militare statunitense in Siria e la visita del cardinale Filoni alle famiglie di sfollati, in rappresentanza dello stesso pontefice.
Oggi, invece di liberare la città di Mosul, la comunità internazionale preferisce una politica di contenimento dell’esercito islamico, mentre si fanno di giorno in giorno più disperate le condizioni dei 500mila profughi cristiani e yazidi, arrivati in Kurdistan per sfuggire alle crudeltà del califfato islamico. Alla denuncia della politica miope degli Usa, preoccupata più dei propri interessi (i pozzi petroliferi) che di quelli dei popoli, si collega l’accusa di genocidio di 100mila cristiani negli ultimi dodici anni. Nel Medio Oriente, ha ricordato il vescovo caldeo, sin dai primi secoli la presenza cristiana è stata una realtà aperta e qualificata nella formazione culturale e professionale della popolazione. Lo sradicamento dei cristiani dunque indebolisce il fronte di chi opera nel programma formativo anti-fondamentalista. La Chiesa comunque sta facendo pressione ‒ vedi il recente III Forum islamo-cristiano, uno dei frutti della famosa Lettera aperta sottoscritta da 138 personalità del mondo musulmano nel 2007 ‒ affinché, con il ritrovato appoggio dell’università di Al-Azhar in Egitto, i capi religiosi musulmani condannino apertamente e in base al Corano l’operato del califfato e i leader cristiani dichiarino che l’Isis non rappresenta la vera natura dell’Islam.
Particolarmente accorati i ringraziamenti del patriarca per le iniziative di solidarietà, in particolare per la campagna promossa da AsiaNews Adotta un cristiano di Mosul, che ha raccolto ben 700mila euro. Il rimpatrio dei cristiani (con la protezione già sperimentata in Bosnia e in Africa) rimane “la sfida più grande” da affrontare, insieme alla liberazione dei villaggi della piana di Ninive caduti nelle mani delle milizie dello Stato islamico. Importante anche la tutela del patrimonio cristiano: «si tratta di chiese antiche del quinto, sesto e settimo secolo, di monumenti e di manoscritti ancora inediti... Non mi rassegno a pensare a un Iraq e a un Medio Oriente senza i cristiani, noi che da 2000 anni testimoniamo il nome di Gesù, perché il nostro contributo resta fondamentale sia nella vita sociale, che nella vita culturale e religiosa del nostro paese».
Sri Lanka: impegno
per il dialogo e la pace
Mons. Rayappu Joseph, vescovo della diocesi di Mannar, assente per motivi di salute, ha offerto il suo contributo tramite mons. Ruben Fernando. I cristiani dello Sri Lanka (già Ceylon) attendono il papa nel gennaio 2015 per celebrare la canonizzazione dell’evangelizzatore indiano della regione, il p. Joseph Vaz (1651-1711) della congregazione di san Filippo Neri. Questo viaggio riveste un doppio significato, perché papa Francesco «sarà il primo papa a mettere piede nel nord dello Sri Lanka e a incontrare la popolazione tamil». Anche se il buddismo è religione praticata dalla maggioranza (circa il 69%) e i cristiani sono oltre il 7%, proprio nella diocesi di Mannar i tamil sono la maggioranza e il distretto è anche l’unico nel paese in cui i cattolici sono la maggioranza, col 32%. Dopo anni di discriminazioni seguite alla fine del dominio britannico, la minoranza tramite le Tigri Tamil per trent’anni ha operato per la guerra civile. Il 2009 ha segnato la vittoria delle forze armate sui ribelli, in lotta per creare uno stato indipendente nel nordest dell’isola. Oggi, i tamil nel nord sono di fatto ancora soggetti alla legge marziale, con militari che non solo controllano cerimonie religiose ed eventi di carattere sociale ed educativo, ma che sono anche coinvolti in «abusi sessuali, desaparecidos, detenzioni arbitrarie e torture». In questa situazione complessa, durante la guerra «i sacerdoti di Mannar e di Jaffna sono rimasti nelle zone più aspre del conflitto, pur avendo la possibilità di andare altrove», mentre oggi il clero è impegnato a difendere i diritti umani facendosi tramite con le autorità locali delle istanze della gente. La Chiesa si sforza anche di «lavorare con tutti i gruppi etnici e religiosi dello Sri Lanka, per superare le tensioni e le polarizzazioni fra le diverse comunità. Alcuni fra i nostri alleati nella sfera della giustizia, dei diritti umani, del lavoro umanitario sono singalesi e non cristiani».
Il quadro complessivo del Simposio, ha sintetizzato il direttore di AsiaNews p. B. Cervellera, indica la continuità dell’operato dei pontefici in Asia. Le chiese vivono in contesti di fondamentalismo politico-religioso (Iraq, Siria, India), di poteri oppressivi (Corea del Nord, Cina, Sri Lamka) e di emergenze climatiche (Filippine, Indonesia). Su questi versanti si sta costruendo il futuro dell’umanità e i cristiani asiatici sono chiamati a essere profetici nel campo dei diritti umani (contrastando il consumismo), nella divisione tra ricchi e poveri (mettendo al centro la persona e denunciando la cecità della finanza), nel conflitto fondamentalista (rinnovare nell’amore le relazioni con l’islam e altre tradizioni). Sono “chiese di sintesi” che cercano soluzioni nella fede; “chiese di giovani”, che vogliono entrare in dialogo con le nostre chiese sazie di libertà.
Mario Chiaro