Gellini Anna Maria
Profezia e missionarietà
2015/1, p. 18
Sfide identitarie, comunità aperte, carismi al servizio della comunione in una chiesa "petrina e mariana", attenzione alla storia, formazione permanente, per una nuova dimensione profetica e missionaria della VC.

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Testimoni
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xL Convegno Claretianum per la VC
profezia
e missionarietà
Sfide identitarie, comunità aperte, carismi al servizio della comunione in una chiesa "petrina e mariana", attenzione alla storia, formazione permanente, per una nuova dimensione profetica e missionaria della VC.
Dal 9 al 13 dicembre si è svolto a Roma, presso l’università Urbaniana, il XL Convegno proposto dall’istituto Claretianum La gioia del vangelo nella vita consacrata, quella gioia “che deve riempire il cuore e la vita intera di coloro che si incontrano con Gesù” (EG 1).
P. Antonio Spadaro ha aperto il convegno presentando otto sfide ai partecipanti, tanto numerosi da occupare anche parte delle gradinate dell’aula magna. La prima sfida è identitaria. «Chi siamo? Ci riconosciamo deboli e peccatori? Dobbiamo imparare ad essere più attenti alla storia perché è dalla storia che parte l’appello al Vangelo; la VC non è un rifugio davanti al mondo complesso. È necessario maturare un pensiero capace di «recuperare il rapporto col mondo, essere pronti a riconoscere Dio dove lui si fa trovare, non dove lo immaginiamo noi. Trovarlo nella storia così com’è con tutte le sue contraddizioni. Contemplare la realtà. Dobbiamo prendere il coraggio di lasciarci scalpellare dallo scalpello di Dio - ha continuato - perché ci smonti il modellino che spesso ci siamo fatti, formato di tanti “tic” che crediamo essere atteggiamenti evangelici.
La profezia del Regno non è negoziabile. A volte la VC è geometrica, ma per essere profeti non si può essere geometrici, occorre essere creativi per nuovi cammini, generativi per non essere sterili». Non si fa pastorale nei laboratori: bisogna stare dentro le situazioni, in mezzo alla gente. «Deve maturare nella VC la spiritualità dello stare in mezzo, altrimenti rischiamo di chiuderci in una bottega di restauro o in un laboratorio di utopie». E Dio ce lo insegna: «Dio è il padre che accompagna la crescita, il pane quotidiano che alimenta, il misericordioso, è il padre che comunque e sempre accarezza i suoi figli». Tante volte abbiamo paura della consolazione, perché «la tristezza ci rende protagonisti, mentre la consolazione è dono di Dio. Se siamo tristi è perché siamo concentrati su noi stessi. E guai ai consacrati quando cercano consolazione lontano dal Signore, perché non sapranno consolare neanche gli altri. E abbiamo paura anche della tenerezza, perché la tenerezza è destabilizzante. Il mondo delle emozioni ci rende profondamente umani ma ci chiede coinvolgimento, senza giudizio».
Uscire
per evangelizzare
Evangelizzare presuppone nella Chiesa la "parresìa" di uscire da se stessa. La Chiesa è chiamata a uscire da se stessa e ad andare verso le periferie, non solo quelle geografiche, ma anche quelle esistenziali: quelle del mistero del peccato, del dolore, dell’ingiustizia, quelle dell’ignoranza e dell’assenza di fede, quelle di ogni forma di miseria. «Uscire non risponde a tutte le esigenze di un Istituto, ma offre la possibilità di pensare, di discernere e agire alla luce del carisma». Questa una delle sottolineature di sr. Tiziana Longhitano che ha invitato a implementare le proposte contenute nella Lettera apostolica a tutti i consacrati in occasione dell’Anno della VC. I consacrati esperti di fede, «scelgono Dio come criterio-base della vita», sono disponibili al cambiamento, sono allenati all’ascolto della Parola e all’ascolto del popolo. Per i fondatori ascoltare Dio era vivere la Parola. «Con l'invio dello Spirito Santo, la Parola si muove in tutte le direzioni, raggiunge tutte le genti, assume densità di significato, varietà di espressione e ricchezza di intervento». Quanto è bello sentire dire che l'evangelizzazione, prima di un fare", è un "essere", una grazia che si vive e si desidera! Non può esistere "gaudium" nella missione, se non si è vissuto prima il "gaudium" della salvezza, come una grazia. Il "gaudio" di cui parla papa Francesco non è un generico sentimento psicologico, è la gioia della persona rinata, della salvezza incontrata e sperimentata nella vita di grazia, della misericordia che perdona i peccati. La gioia di sentirsi amati da Dio!
Anche sr. Nicla Spezzati, nella sua relazione Donne consacrate e nuova evangelizzazione, ha ribadito che Parola e sequela Cristi sono il fondamento della VC. C’è una sapienza evangelica da ritrovare perché anche i consigli evangelici assumano il loro vero significato: obbedienza «come ascolto condiviso», povertà «come priorità della legge della condivisione, come porta aperta sulla fatica del lavoro», castità «come affettività e scuola di maturità per vivere la vicinanza con misericordia, vigilanza, tenerezza, riconciliazione». Riguardo al voto di povertà anche p.García, ha aggiunto che «la povertà che guarda solo a se stessa corre il rischio di farsi autoreferenziale, si scollega dalla finalità di dare la vita per i fratelli, perde senso e non sarà più capita né creduta dalle persone intorno a noi». Per una «chiesa petrina e mariana dove poter vivere un sentire comunionale» nella verità e nella fedeltà della sequela, ha concluso sr. Nicla, non deve scoraggiarci «il cammino lento, ferito da ristagni e smarrimenti».
Amore per Cristo
e passione per il popolo
Sr. Regina Cesarato ha proposto una verifica dello stile delle comunità religiose: «Siamo realmente persone di fede o la crisi di fede coinvolge anche noi? Siamo davvero comunità cristiane? Nella svolta epocale che stiamo vivendo, sentiamo le nostre responsabilità? Abbiamo bisogno di convertirci a Gesù Cristo; per svegliare il mondo, dobbiamo prima di tutto essere svegli noi! La gioia che il Vangelo ci chiede è per superare pessimismo sterile e facile lamentela, consapevoli che la gioia è una “virtù pellegrina” perché cammina con noi dentro la storia di tutti i giorni». Concetto ribadito da p. Ricardo Volo nella sua riflessione sull’annuncio di Gesù in una VC che segua la dinamica pasquale: «Siamo i discepoli dell’autore della vita non succeda mai che anche noi siamo tra quelli che hanno ucciso l’autore della vita. Cristo deve tornare ad affascinarci, per uscire dai nostri egoismi che tarpano lo slancio dell’amore». «Quando il cuore si stanca di lottare è perché si chiude in se stesso» ha sottolineato sr. Mary Melone. Per evangelizzare annunciando Cristo occorrono «motivazioni autentiche, radicali, forti, che si nutrono di preghiera e lavoro, che nascono dall’incontro con l’amore di Cristo e dalla passione concreta per il suo popolo: nessuno dei due poli deve prevalere».
Carismi a servizio
della comunione
I carismi fondazionali della VC sono doni per rinnovare ed edificare la Chiesa (LG 12). «Non sono un patrimonio chiuso, consegnato ad un gruppo perché lo custodisca; – ha detto p. Ciardi – piuttosto si tratta di regali dello Spirito integrati nel corpo ecclesiale, attratti verso il centro che è Cristo, da dove si incanalano in una spinta evangelizzatrice. Segno dell'autenticità di un carisma è la sua ecclesialità, la sua capacità di integrarsi armonicamente nella storia per il bene di tutti, la disponibilità a raccogliere le sfide derivanti dalle fragilità e miserie umane» presenti soprattutto nelle periferie del mondo. «La periferia cui si riferisce papa Francesco, non è un luogo astratto, inanimato, ma sono persone concrete, fragili e bisognose di aiuto umano e spirituale. Il carisma camilliano, espresso dall’apporto al convegno di fr. Tripaldi , ha a cuore in modo particolare «la dignità della vita che deriva dal suo valore intrinseco in relazione alla persona umana, in qualsiasi condizione di salute o di disabilità si trovi. Il suo bene deve coincidere sempre con il bene totale, globale, con il suo benessere fisico, psicologico e spirituale. Da qui la necessità dell'impegno per un approccio medico e pastorale rispettoso di tutte le dimensioni della persona e delle sue credenze religiose».
Impegno e formazione
per una nuova evangelizzazione
Mons. Carballo e p. Cencini hanno proposto un’ampia e chiara lettura della situazione attuale della VC facendo emergere luci e ombre, segni di vita e segni di morte, punti di forza e punti di fragilità e debolezza. Partendo dal richiamo alla Plenaria della Congregazione per la VC dal titolo Vino nuovo in otri nuovi, mons. Carballo ha posto tra le ombre e le fragilità una «VC autoreferenziale, più preoccupata della sopravvivenza che della missione, più preoccupata del numero che della significatività evangelica». Vita consacrata «attanagliata dall’anemia spirituale, segnata dall’accidia, dallo scontento cronico che secca l’anima; senza motivazioni profonde, carica di routine, più professionale e poco testimone». Anche p. Cencini ha parlato di «inerzia e poca fantasia, narcisismo e antievangelo», di consacrati «tristi e scoraggiati, impazienti e ansiosi», ammalati di «sclerocardia e con la puzza deodorante di chi si trucca». Risulta «elevato il numero degli abbandoni, in tutte le età e in tutti gli istituti. Inadeguato è spesso anche l’esercizio del servizio dell’autorità, trasformato in autoritarismo non evangelico. La formazione ha una scarsa incisività nella persona, non è efficace per una durata nel tempo. A volte la formazione è un bell’abito, - ha affermato mons. Carballo - come se non toccasse il cuore, rendendo le persone fragili nella vita spirituale, psicologica, relazionale». Anche su questo punto p. Cencini ha ripreso alcune sottolineature affermando che «c’è poca armonia tra l’ortodossia, l’ortoprassi, l’ortopatia».
Ci si preoccupa spesso che tutto sia a posto, secondo le regole, ma si dà meno attenzione all’ordinario della vita come formazione permanente e ancor di meno si cura la dimensione umana perché sia più cristiana e carismatica. Tanti consacrati rischiano di essere tra «quelli che…gli manca la resurrezione o che vivono l’esperienza mistico-spirituale come un lento suicidio», vivendo estremismi pericolosi e non impegnandosi per l’integrazione tra il rapporto con Dio e la disponibilità al servizio.
Nonostante tutto questo, mons. Carballo ha invitato al coraggio per rispondere alle sfide del nostro tempo, davanti alle quali la VC «si deve confrontare con gioia, audacia e impegno serio». La positività di tanti consacrati che stanno uscendo verso le periferie esistenziali dell’umanità va valorizzata e sostenuta. Così come non si può ignorare l’impegno per la comunione col mondo e con la Chiesa, la collaborazione tra istituti e carismi, «anche se dobbiamo crescere molto». È necessario che le «strutture comunitarie diventino più missionarie, con solidarietà e ospitalità reciproca, dove il governo sia il più sinodale possibile, dove ci si lasci formare dalla liturgia, potenziando la lettura orante della Parola, dove si attui il discernimento nella circolarità dei rapporti», dove – con le parole conclusive di p. Cencini - «chi evangelizza è un salvato dal proprio egoismo, anche spirituale e sa che non fa niente di speciale, ma semplicemente mette in circolo i suoi doni e con umiltà intelligente si lascia toccare dalla vita e riconosce nei propri sentimenti l’attesa di Dio».
Anna Maria Gellini