Mastrofini Fabrizio
I temi del viaggio
2015/1, p. 10
La situazione mediorientale, la collaborazione ecumenica, l’unità dei cristiani e l’impegno comune delle Chiese di fronte ai problemi del mondo nelle tre aree prioritarie: i poveri, le vittime dei conflitti, i giovani. Momento culminante: l’incontro-abbraccio con il patriarca Bartolomeo.

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I tre giorni del papa in Turchia
I TEMI
DEL VIAGGIO
La situazione mediorientale, la collaborazione ecumenica, l’unità dei cristiani e l’impegno comune delle Chiese di fronte ai problemi del mondo nelle tre aree prioritarie: i poveri, le vittime dei conflitti, i giovani. Momento culminante: l’incontro-abbraccio con il patriarca Bartolomeo.
In Turchia papa Francesco ha parlato attraverso i gesti, le frasi significative e i giornalisti. Alla prima categoria appartiene la benedizione chiesta al patriarca Bartolomeo e la preghiera in moschea con Gran Muftì a Istanbul. Alla seconda l’idea ben precisata che se aspettiamo l’accordo tra i teologi allora l’unità dei cristiani non arriverà. Infine i colloqui in aereo con i giornalisti, all’andata e al ritorno e che oramai fanno un caso a parte per l’occasione di spiegare e riassumere i temi del viaggio. Come puntualmente accaduto nel rientro.
Il Papa
e i giornalisti
«Il Corano è un libro di pace», non si può equiparare islam e terrorismo, ma abbiamo bisogno che i leader musulmani condannino gli attentati terroristici. Il papa risponde così in aereo, al ritorno, a una domanda su islamofobia e cristianofobia, notando come sarebbe bello che tutti i leader islamici – siano leader politici, leader religiosi o leader accademici – dicano chiaramente e condannino quello, perché questo aiuterà la maggioranza del popolo islamico a dire ‘No!’, ma davvero, dalla bocca dei suoi leader».
Il papa ha ribadito la sua volontà di recarsi in Iraq: però ora non è possibile, e «se in questo momento andassi, si creerebbe alle autorità un problema abbastanza serio di sicurezza. Ma mi piacerebbe tanto e lo voglio». Ha quindi riaffermato che a suo avviso l’umanità sta vivendo una terza guerra mondiale a pezzi. Ci sono inimicizie ma ci sono cause economiche, c’è «il dio denaro» che «è al centro e non la persona umana». «Il traffico delle armi è terribile», è oggi uno degli affari più fiorenti. «Penso alla Siria, quando si diceva che avesse le armi chimiche. Io credo che la Siria non fosse in grado di fare le armi chimiche. Chi gliel’ha vendute? Forse alcuni degli stessi che l’accusavano di averne? Non so. Ma su questo affare delle armi c’è tanto mistero». Sul dialogo con gli ortodossi ha affermato che si è in cammino. Se dobbiamo aspettare che i teologi si mettano d'accordo – ha detto con una battuta citando Paolo VI – quel giorno non arriverà mai; bisognerebbe mettere su un’isola tutti i teologi. Noi dobbiamo continuare a camminare insieme. «Questo è l'ecumenismo spirituale: pregare insieme, lavorare insieme, tante opere di carità».
Ha poi precisato che «le Chiese cattoliche orientali hanno il diritto di esistere, è vero. Ma l’uniatismo è una parola di un’altra epoca». Ha ribadito la volontà di incontrare il Patriarca di Mosca Kirill. «Gli ho detto: “Ma io vado dove tu vuoi. Tu mi chiami e io vado”. E lui ha la stessa voglia». Ma in questo momento c’è la questione dell’Ucraina e il Patriarca ha altri problemi. Riguardo all’ecumenismo ha ripetuto con Giovanni Paolo II la sua disponibilità a discutere sul primato del Vescovo di Roma, quale sia la forma di esercizio di questo ministero condivisibile da tutti. «Per la forma del primato dobbiamo andare un po’ al primo secolo per ispirarci. Non dico che la Chiesa ha sbagliato: no, no. Ha fatto la sua strada storica. Ma adesso la strada storica della Chiesa è quella che ha chiesto san Giovanni Paolo II: “Aiutatemi a trovare un punto d’accordo alla luce del primo millennio”». Ma la Chiesa – ha sottolineato – quando guarda se stessa e non Cristo, quando crede di essere lei la luce e non semplicemente portatrice di luce, crea divisioni. L’autoreferenzialità trasforma la Chiesa in una Ong teologica. Ha auspicato quindi che i cristiani possano festeggiare insieme la Pasqua nella stessa data. Ha parlato della visita alla Moschea Blu. Qui – ha detto – ho sentito il bisogno di pregare soprattutto per la pace. E sul dialogo interreligioso ha spiegato che è ora di fare un salto di qualità perché sia non un dialogo teologico ma esperienziale tra persone religiose di diverse appartenenze.
La situazione
mediorientale
Un appello per il rispetto della libertà religiosa e per la pace in Medio Oriente è arrivato immediatamente all’arrivo ad Ankara. Rivolgendosi al presidente Recep Tayyip Erdogan, al primo ministro Ahmet Davutoðlu e alle autorità politiche turche nel palazzo presidenziale, il papa è stato preciso: «Occorre portare avanti con pazienza l’impegno di costruire una pace solida, fondata sul rispetto dei fondamentali diritti e doveri legati alla dignità dell’uomo». Ed ha aggiunto: «A tal fine, è fondamentale che i cittadini musulmani, ebrei e cristiani – tanto nelle disposizioni di legge, quanto nella loro effettiva attuazione – godano dei medesimi diritti e rispettino i medesimi doveri».
Il pensiero del papa va subito al Medio Oriente «da troppi anni teatro di guerre fratricide, che sembrano nascere l’una dall’altra, come se l’unica risposta possibile alla guerra e alla violenza dovesse essere sempre nuova guerra e altra violenza». «Per quanto tempo dovrà soffrire ancora il Medio Oriente a causa della mancanza di pace?». «Non possiamo rassegnarci alla continuazione dei conflitti come se non fosse possibile un cambiamento in meglio della situazione! Con l’aiuto di Dio, possiamo e dobbiamo sempre rinnovare il coraggio della pace!». Tema ripreso e ripetuto nell’incontro con i capi religiosi sempre ad Ankara, con accenti commossi e drammatici. «Veramente tragica è la situazione in Medio Oriente, specialmente in Iraq e Siria. Tutti soffrono le conseguenze dei conflitti e la situazione umanitaria è angosciante». «Particolare preoccupazione desta il fatto che, soprattutto a causa di un gruppo estremista e fondamentalista, intere comunità, specialmente – ma non solo – i cristiani e gli yazidi, hanno patito e tuttora soffrono violenze disumane a causa della loro identità etnica e religiosa. Sono stati cacciati con la forza dalle loro case, hanno dovuto abbandonare ogni cosa per salvare la propria vita e non rinnegare la fede».
La violenza ha colpito anche edifici sacri, monumenti, simboli religiosi e il patrimonio culturale, quasi a voler cancellare ogni traccia, ogni memoria dell’altro. «In qualità di capi religiosi, abbiamo l’obbligo di denunciare tutte le violazioni della dignità e dei diritti umani. La vita umana, dono di Dio creatore, possiede un carattere sacro. Pertanto, la violenza che cerca una giustificazione religiosa merita la più forte condanna, perché l’Onnipotente è Dio della vita e della pace. Da tutti coloro che sostengono di adorarlo, il mondo attende che siano uomini e donne di pace, capaci di vivere come fratelli e sorelle, nonostante le differenze etniche, religiose, culturali o ideologiche». Poi il papa si è rivolto direttamente ai musulmani. «Il comune riconoscimento della sacralità della persona umana sostiene la comune compassione, la solidarietà e l’aiuto fattivo nei confronti dei più sofferenti. A questo proposito, vorrei esprimere il mio apprezzamento per quanto tutto il popolo turco, i musulmani e i cristiani, stanno facendo verso le centinaia di migliaia di persone che fuggono dai loro Paesi a causa dei conflitti. Ce ne sono due milioni. È questo un esempio concreto di come lavorare insieme per servire gli altri, un esempio da incoraggiare e sostenere».
La collaborazione
ecumenica
La seconda parte della visita, esaurita la tappa ad Ankara, ha avuto come teatro Istanbul, il Patriarcato ecumenico in occasione della festa di sant’Andrea apostolo, e dunque il tema della collaborazione ecumenica. Toccanti anche in questo caso le espressioni del papa, rinforzate dal clima di partecipazione fraterna e di buoni rapporti con il patriarca Bartolomeo. Singolare il gesto di papa Francesco che ha chiesto la benedizione al patriarca. E sull’aereo al ritorno, a chi chiedeva delle eventuali critiche dei settori conservatori, ha notato che «non è un problema solo nostro. Questo è un problema anche per gli ortodossi. Dobbiamo essere rispettosi e non stancarci di dialogare, senza insultare, senza sparlare».
Durante la divina Liturgia di domenica 30 novembre il papa ha notato che «per una felice coincidenza questa mia visita avviene qualche giorno dopo la celebrazione del cinquantesimo anniversario della promulgazione del decreto del concilio Vaticano II sulla ricerca dell’unità tra tutti i cristiani, Unitatis redintegratio. Si tratta di un documento fondamentale con il quale è stata aperta una nuova strada per l’incontro tra i cattolici e i fratelli di altre Chiese e comunità ecclesiali». Con quel decreto la Chiesa cattolica riconosce che le Chiese ortodosse «hanno veri sacramenti e soprattutto, in forza della successione apostolica, il sacerdozio e l’eucaristia, per mezzo dei quali restano ancora unite con noi da strettissimi vincoli». E si afferma che per custodire fedelmente la pienezza della tradizione cristiana e per condurre a termine la riconciliazione dei cristiani è di grande importanza conservare e sostenere il ricchissimo patrimonio delle Chiese d’Oriente, sia spirituale sia canonico. Papa Francesco si è poi spinto avanti fin dove lo consente l’elaborazione teologica ecumenica di questi decenni. «Il ristabilimento della piena comunione» ha spiegato «non significa né sottomissione l’uno dell’altro, né assorbimento, ma piuttosto accoglienza di tutti i doni che Dio ha dato a ciascuno per manifestare al mondo intero il grande mistero della salvezza realizzato da Cristo Signore per mezzo dello Spirito Santo. Voglio assicurare a ciascuno di voi che, per giungere alla meta sospirata della piena unità, la Chiesa cattolica non intende imporre alcuna esigenza, se non quella della professione della fede comune, e che siamo pronti a cercare insieme, alla luce dell’insegnamento della Scrittura e dell’esperienza del primo millennio, le modalità con le quali garantire la necessaria unità della Chiesa nelle attuali circostanze: l’unica cosa che la Chiesa cattolica desidera e che io ricerco come Vescovo di Roma, “la Chiesa che presiede nella carità”, è la comunione con le Chiese ortodosse».
Ambiti
di collaborazione
Sul piano concreto della collaborazione comune di fronte ai problemi del mondo, ai quali le Chiese possono e devono rispondere, il papa ha indicato tre aree prioritarie: i poveri, le vittime dei conflitti, i giovani. Sono tornati così tra i temi del viaggio le più importanti questioni internazionali e il Medio Oriente sullo sfondo. «Turbare la pace di un popolo, commettere o consentire ogni genere di violenza, specialmente su persone deboli e indifese, è un peccato gravissimo contro Dio, perché significa non rispettare l’immagine di Dio che è nell’uomo». Da notare l’importanza dell’ultimo incontro prima di ripartire, con un gruppo di profughi.
Nella catechesi dell’udienza generale del 3 dicembre, spiegando il senso del viaggio, papa Francesco ha notato a questo proposito che «l’ultimo incontro è stato quello con un gruppo di ragazzi profughi, ospiti dei Salesiani. Era molto importante per me incontrare alcuni profughi dalle zone di guerra del Medio Oriente, sia per esprimere loro la vicinanza mia e della Chiesa, sia per sottolineare il valore dell’accoglienza, in cui anche la Turchia si è molto impegnata. Preghiamo per tutti i profughi e i rifugiati, e perché siano rimosse le cause di questa dolorosa piaga».
Fabrizio Mastrofini