Matteo Ferrari camaldolese
In attesa perchè attesi
2014/12, p. 27
Con la celebrazione dell’Avvento è il nostro presente che viene trasfigurato nel futuro di Dio. Solo pregustando un tale futuro, possiamo diventare veramente uomini e donne che attendono il ritorno del loro Signore. È perché siamo attesi che possiamo attendere.

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Testimoni
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Tempo di Avvento 2014
IN ATTESA
PERCHÉ ATTESI
Con la celebrazione dell’Avvento è il nostro presente che viene trasfigurato nel futuro di Dio. Solo pregustando un tale futuro, possiamo diventare veramente uomini e donne che attendono il ritorno del loro Signore. È perché siamo attesi che possiamo attendere.
Quando inizia il tempo di Avvento dovremmo tutti essere invitati a fare un esercizio di verità: attendiamo veramente qualcuno o qualcosa per la nostra vita? Infatti, si parla tanto di attesa del Signore che viene, come cuore della spiritualità dell’Avvento; tuttavia, ad essere sinceri, viviamo veramente questa dimensione fondamentale della fede cristiana? In realtà forse, per rispondere a queste domande, occorre trasformare il nostro sguardo sul tempo di Avvento e sulla sua celebrazione liturgica. Infatti l’Avvento non è solo il tempo in cui viviamo l’attesa, bensì l’accoglienza già ora nella nostra vita del futuro di Dio. Invece di guardare l’Avvento a partire dalla nostra povera tensione verso l’incontro con il Signore, potremmo ribaltare la prospettiva, partendo dalla sua attesa. Il protagonista non siamo noi con le nostre povere attese, ma è Dio che ci viene incontro già oggi con il suo futuro, con la sua attesa. Con la celebrazione dell’Avvento è il nostro presente che viene trasfigurato nel futuro di Dio. Solo pregustando un tale futuro, possiamo diventare veramente uomini e donne che attendono il ritorno del loro Signore. È perché siamo attesi che possiamo attendere.
Lasciamoci guidare dalle letture bibliche delle domeniche del tempo di Avvento del ciclo B per entrare in questa prospettiva.
Tu seinostro Padre
Un primo aspetto della spiritualità dell’Avvento, che potremmo cogliere a partire dalla lettura della prima domenica tratta dal libro del profeta Isaia (Is 63,16-17.19; 64,1-7), riguarda il nostro modo di percepire la nostra vita davanti a Dio. Il testo profetico, un po’ frammentario per le scelte del lezionario, si gioca tutto sul confronto tra l’agire di Dio e l’esperienza della caducità e limitatezza della vita umana. La frase che conclude la prima lettura di questa domenica bene riassume questi aspetti: «Signore, tu sei nostro Padre; noi siamo argilla e tu colui che ci plasma, tutti noi siamo opera delle tue mani» (Is 64,7).
Nella preghiera di supplica che troviamo in questo passo di Isaia (cf. Is 63,7-64-11) Dio è innanzitutto visto come un padre misericordioso e compassionevole. L’invocazione di salvezza, di fronte alla situazione di desolazione di Gerusalemme, si fonda su questa convinzione: Dio si è sempre dimostrato un padre pieno di amore verso Israele, ha mostrato la sua fedeltà ai padri: «Tu, Signore, sei nostro padre, da sempre ti chiami nostro redentore» (Is 63,16). Dio viene invocato perché si ricordi della sua fedeltà e del suo amore. È una preghiera ardita che sa di poter contare sull’amore di Dio per il suo popolo: «Ritorna per amore dei tuoi servi» (Is 63,17). A Dio si chiede di ritornare, cioè di convertirsi verso i suoi figli e di rinnovare i prodigi del suo amore per la loro salvezza.
Degli uomini e delle donne invece cosa dice il nostro testo? Essi, nelle parole della preghiera di supplica, si comprendono come fragili e peccatori. Tuttavia non è uno sguardo solo negativo quello che si percepisce, ma il grido umile della creatura davanti al creatore, del figlio al cospetto del padre. L’uomo che parla nel testo di Isaia comprende se stesso davanti a Dio e in relazione con lui. Certo, egli è una creatura fragile e finita, ma in relazione con un Dio fedele che da sempre si comporta come un padre. L’uomo si sperimenta peccatore e incostante, fragile come un vaso di creta, ma sa che è Dio colui che gli dà forma.
Di fronte a questa parola, l’Avvento può diventare il tempo in cui comprendere la nostra vita davanti a Dio. Nella nostra storia personale e comunitaria sperimentiamo la nostra fragilità, fallimenti, ferite, incoerenze. Tutto potrebbe diventare unicamente un ripiegamento su noi stessi. Ma il tempo di Avvento ci insegna a volgere lo sguardo altrove, verso Dio e la sua fedeltà.
Preparateuna via al Signore
La seconda tappa del cammino dell’Avvento è segnata da un altro testo di Isaia (Is 40,1-4.9-11). L’immagine che principalmente ci colpisce in questa lettura profetica è quella della via da aprire nel deserto. Naturalmente ci verrebbe da pensare che quella strada debba servire al popolo per ritornare nella sua terra, dal paese d’esilio. Ma il testo di Isaia parla di un’altra strada, quella del Signore. La strada da preparare, le colline da abbassare e le valli da colmare servono per la venuta del Signore.
Ecco un altro messaggio dell’Avvento che segna la vita dei credenti nel loro cammino nella storia. Essi sono chiamati a preparare questa via e a farsi sentinelle capaci di portare una «buona notizia» per i loro fratelli e sorelle. Il testo di Isaia ci presenta proprio questa immagine della sentinella invitata ad «alzare la voce» per annunciare: «Ecco il vostro Dio» (Is 40,9). Anche questo aspetto rivela come la vita del credente possa essere già ora nel presente trasfigurata dall’esperienza dell’attesa del futuro di Dio. In realtà, ciò che potrebbe sembrare molto astratto e disincarnato, si presenta invece, a ben vedere come molto concreto. Infatti l’annuncio della «buona notizia» di sabato nella sinagoga della sua città natale, trova questo testo di Isaia e lo proclama. Gesù, leggendo questo testo di Isaia, vi scopre il senso della sua missione: «oggi si è compiuta questa scrittura» (Lc 4,21). È importante sottolineare che Gesù comprende la sua vita e la sua missione proprio a partire da una pagina delle Scritture sante del suo popolo. Egli comprende se stesso in continuità con la missione ricevuta dall’autore del testo profetico, in quanto annunciatore in parole e opere, di un Dio che libera e salva.
Anche noi discepoli di Gesù possiamo fare la sua stessa esperienza ogni volta che ci mettiamo davanti alla Scrittura: metterci in ascolto di una parola capace di interpretare la nostra vita, la nostra vocazione, la nostra missione. In questo tempo di Avvento, possiamo chiederci se «in parole e opere» sappiamo farci annunciatori di un Dio di libertà e di salvezza per coloro che oggi hanno il cuore spezzato, sono poveri o privati della loro libertà. La liturgia dell’Avvento ci invita a convertirci al Dio della grazia e ad annunciarlo con un canto gioioso e con esultanza (cf. Is 61, 10-11) agli uomini e alle donne del nostro tempo.
Forse tumi costruirai una casa
Infine, la quarta tappa dell’itinerario d’Avvento ci suggerisce, attraverso la lettura tratta dal secondo libro di Samuele (2Sam 7, 1-5.8-12.14.16), uno sguardo differente sulla nostra vita, sulla Chiesa e sulla storia dell’umanità. Come credenti è molto importante tener presente questa prospettiva “differente”. Davide ha consolidato il suo Regno e si è edificato una reggia. Ora pensa di costruire una casa per Dio. Se ci pensiamo bene la prospettiva del re è positiva, ma i suoi orizzonti sono unicamente umani, si esauriscono nell’ambito del “già visto” e del “già detto”. Certo egli pensa a Dio e alla sua dimora, ma lo fa riducendo Dio a un suo pari. Egli pensa a Dio come se non fosse Dio. Del tutto in buona fede e mosso da buone intenzioni, Davide ragiona guardando la storia unicamente dal suo interno.
La parola di Nathan invece lo invita a guardare la storia con occhi differenti, attraverso la prospettiva di Dio. La parola profetica rivolta a Davide invita ad un profondo ribaltamento di prospettiva: all’«io» del re, si deve sostituire l’azione di Dio. Infatti, sarà il Signore a costruire una dimora, una casa per Davide, e non viceversa.
Se proiettiamo la vicenda di Davide nella nostra vita e in quella della Chiesa, possiamo trarne un motivo di rilettura del nostro modo di stare da credenti nella storia. Anche per noi, come per ogni uomo e donna religiosi, la tentazione è quella di voler edificare una casa per Dio. Anche il nostro sguardo corre il rischio di essere unicamente “interno alla storia”. La liturgia dell’Avvento ci invita ad assumere invece lo sguardo di Dio, a guardare, cioè, la storia da una prospettiva diversa. Il credente non dovrebbe essere uno che legge gli avvenimenti della storia dell’umanità con una prospettiva solamente umana, ma il suo sguardo dovrebbe essere guidato dalla consapevolezza che la storia dell’umanità è in attesa di qualcuno che viene a visitarla. Pensiamo a come può cambiare la vita di una persona quando attende qualcuno. È triste e forse invivibile la vita di chi non attende più nulla e nessuno. Così l’Avvento ci dice che è la vita del credente: egli è un uomo, una donna che sa che c’è qualcuno da attendere, uno sposo che tarda a venire.
Un itinerarioda vivere
Le prime letture del tempo di Avvento possono condurci a concretizzare una dimensione della vita cristiana, quella escatologica, che rischia di rimanere unicamente un’affermazione astratta e poco rilevante per la nostra vita. In ascolto della parola profetica, anche noi possiamo essere condotti nell’itinerario dell’Avvento, come Davide, ad assumere uno sguardo differente attraverso il quale leggere la nostra vita e la storia dell’umanità. Per vivere l’attesa dell’Avvento non si tratta di stare a guardare l’orizzonte della storia aspettando un ritorno del Signore non ben definito, ma di scoprirsi attesi da Dio, ancor prima che in attesa. Solo così la nostra vita potrà assumere quel tratto caratteristico della vita cristiana, capace di trasfigurarla: l’invocazione «vieni, Signore Gesù!».
Matteo Ferrari
monaco di Camaldoli