Antonio Dall'Osto
Identità e appartenenza
2014/12, p. 24
I frati cappuccini, pur avendo come riferimento san Francesco d’Assisi, hanno però una loro storia e una propria tradizione carismatica. Fra M. Jöhri le precisa in una lettera all’Ordine in cui richiama anche alcuni punti essenziali dell’appartenenza.

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Testimoni
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Lettera di fra Mauro Jöhri all’Ordine dei Cappuccini
IDENTITÀ
E APPARTENENZA
I frati cappuccini, pur avendo come riferimento san Francesco d’Assisi, hanno però una loro storia e una propria tradizione carismatica. Fra M. Jöhri le precisa in una lettera all’Ordine in cui richiama anche alcuni punti essenziali dell’appartenenza.
“Chi siamo noi Frati Minori Cappuccini”? È una domanda che può sembrare superflua, tanto più che i cappuccini hanno terminato da poco di rinnovare le loro costituzioni. Ma a porsi l’interrogativo è lo stesso Ministro generale dell’Ordine, fra Mauro Jöhri, con una lettera intitolata, Identità e appartenenza cappuccina, nella convinzione che la Regola e le costituzioni non bastano a definirle. Per questa ragione, scrive, «ho compreso la necessità di presentare ai frati del nostro Ordine un testo sintetico che descrivesse quali sono le fondamenta e i pilastri che sostengono la nostra identità e appartenenza».
A suggerirgli questo tema è stata anche un’affermazione di papa Francesco nell’intervista rilasciata a padre Antonio Spadaro della Civiltà Cattolica, in cui disse: “non c’è identità senza appartenenza”. In effetti, scrive Jöhri: «L’identità senza la coscienza di appartenere corre il rischio di rimanere astratta, così come l’appartenenza senza un’identità precisa rischia di rimanere vuota e senza orientamento».
Pur avendo un DNA piuttosto forte, è anche vero, scrive fra Mauro, «che negli anni immediatamente seguenti al Concilio Vaticano II fino ad oggi abbiamo assistito a numerosi e rapidi cambiamenti nel nostro Ordine e alcuni degli aspetti che caratterizzavano la sua unicità sono profondamente mutati, altri sono addirittura scomparsi. Uno dei segni di questa evoluzione è stata la revisione frequente delle nostre costituzioni, avvenuta precisamente nel 1968, 1982 e nell’ultimo Capitolo generale celebrato nel 2012».
Tra i vari cambiamenti avvenuti dopo il Concilio, c’è stato «il passaggio da una connotazione fortemente penitenziale della nostra forma di vita a quella dove emerge la priorità della vita fraterna». Del resto, osserva fra Mauro, «dalle fonti francescane emerge in modo altamente significativo come Francesco d’Assisi abbia valorizzato il dono di ogni singolo fratello, scegliendo volutamente di descrivere il movimento da lui iniziato come una “fraternitas” ». E aggiunge: «In nome di questa originalità di Francesco possiamo affermare con convinzione che la vita fraterna vissuta con intensità e fedeltà è più esigente anche della stessa scelta della povertà. Mi spiego: se la povertà consiste principalmente nel sottrarre quante più cose alla vita e ridurre le mie e le nostre esigenze all’essenziale, il vivere fraterno esige una continua dinamica di donazione, che ci impegna a rendere più autentica la qualità delle relazioni che accompagnano la nostra quotidianità. A volte si tratta di saper perdonare e di saperlo fare sempre di nuovo, altre volte occorre fare un passo indietro per fare spazio all’altro perché i suoi doni possano fiorire e portare frutto. La vita fraterna, originata dallo Spirito Santo, cresce se la qualità delle nostre relazioni ha il sapore dell’accoglienza, del perdono, della misericordia e della carità che il Signore Gesù ci ha presentato come beatitudine per la nostra esistenza».
I tratti dell’identitàcappuccina
Per rispondere all’interrogativo iniziale, occorre partire dalla propria storia. Infatti, sottolinea fra Mauro, «la nostra identità la possiamo trovare descritta nei documenti e nei testi di ogni genere prodotti all’interno dell’Ordine, ma essa appare in modo decisamente più evidente dall’esperienza umana e spirituale vissuta dai nostri confratelli che ci hanno preceduto».
Ripercorrendo il passato si scorgono quei tratti che continuano ad essere patrimonio dell’identità, anche se, di fronte ai cambiamenti indicati, è necessario “andare oltre”. Tra questi tratti della storia, il primo riguarda “i luoghi” che venivano scelti per vivere una vita più austera e ritirata; in secondo luogo le dimensioni delle case che erano concepite con criteri di essenzialità, austerità e sobrietà, dove si doveva vivere una “povertà rigorosa”. Inoltre, la disponibilità ad andare là dove nessuno voleva andare” e quindi l’ “itineranza”. «Io prego il Signore – scrive fra Mauro: perché questo desiderio pieno di zelo non tramonti mai nel nostro Ordine».
Una vita così intesa e vissuta ha dato alla Chiesa e all’Ordine una numerosa schiera di santi e prodotto tanti gesti di carità. Fra Mauro ricorda, in particolare, i “questuanti”, i quali, «oltre a provvedere il necessario per i frati e per i poveri, svolgevano con semplicità e con la forza dell’attrazione, un’intensa “animazione vocazionale.” Quante vite sono state donate, per confortare gli appestati, consolare i malati negli ospedali, assistere i giovani militari nei vari conflitti! Quante ore trascorse ad amministrare il sacramento della riconciliazione, attività che ci ha meritato la fama di “frati buoni e misericordiosi”».
A questo punto fra Mauro si domanda: «I valori che costituiscono la nostra identità come ci interpellano oggi? Che cosa vogliamo fare di fronte alle proposte forti proprie della nostra identità?». E risponde:
• condurre una vita semplice che si limita al minimo necessario e non al massimo consentito.
• vivere una preghiera prolungata che si alterna con le varie forme di servizio a noi affidate.
• conservare un cuore aperto ad ogni uomo senza distinzione di ceto, razza e nazionalità.
• donare la disponibilità ad andare là dove nessuno vuole andare.
Tutto questo vissuto in comunione fraterna, che è il “sapore” che conferisce valore e bellezza al nostro vivere e operare».
Dal punto di vista storico, la riforma dei cappuccini ha avuto certamente come riferimento iniziale san Francesco e fu proprio la sua esperienza e il suo carisma a ispirare le prime costituzioni dell’Ordine. «Oggi – scrive fra Mauro – per noi, risulta più immediato e facile far risalire tutto a san Francesco, e dimenticarci della nostra storia e degli eventi che hanno generato una nostra tradizione. Sarebbe un grave errore storico scadere in un egualitarismo dove tutto diventa simile, in nome di che cosa non si comprende...».
«Attraverso la nostra riforma, sottolinea fra Mauro, abbiamo sviluppato un modo particolare per andare a Francesco». Perciò, «oltre alla conoscenza storica delle fonti è essenziale che ogni frate abbia un approccio esistenziale alla figura di san Francesco e questo ci porta immancabilmente ad andare oltre. Dove?». Questo “oltre” ha un nome e un volto: il Signore nostro Gesù Cristo. Dalla culla alla croce, dalla nascita alla morte, Francesco ha percorso il cammino di tutti i misteri della vita umana di Gesù. Il cappuccino guarda a Francesco in tutta la sua originalità e bellezza, ma Francesco ti conduce ad incontrare Gesù di Nazaret. La sequela di Cristo non avviene in modo astratto, ma piuttosto desiderando con tutto noi stessi di vivere come Cristo. Il desiderio più autentico, che siamo chiamati a mantenere giovane e vigoroso, rimane quello di “vivere secondo la forma del santo Vangelo” accogliendo l’invito a lasciare ogni cosa, rinunciando a noi stessi, accettando di purificare i nostri affetti, perché Lui possa essere il primo. E quando Lui diventa il primo, tutto diventa più autentico e più vero, anche la nostra capacità di amare e di stare con la gente».
Il temadell’appartenenza
Da qui deriva il discorso sull’appartenenza, l’altro tema della lettera di fra Mauro. Appartenenza che è anzitutto “con Gesù nella Chiesa”. Pertanto «la nostra vita, lo svolgersi delle nostre vicende personali e comunitarie avviene nella Chiesa. Sia san Francesco che i primi Cappuccini vollero sottoporre il carisma e la conseguente forma di vita all’autorità della Chiesa». Per questo «privilegiamo quegli impegni che sono più consoni alla nostra vocazione di minori e assumiamo gli incarichi pastorali di frontiera, i ministeri meno ricercati nella Chiesa e nelle periferie, ossia là dove meglio possiamo manifestare la compassione e la prossimità: siano esse parrocchie di periferia, cappellanie in ospedali, assistenza ai malati e al mondo delle emarginazioni tra le vecchie e nuove -povertà”».
Ma l’appartenenza per essere autentica, prosegue fra Mauro, «ha bisogno di essere vissuta nella concretezza quotidiana, altrimenti rischia di essere qualcosa di ideologico e formale. Il frate cappuccino che appartiene ad una fraternità e quindi all’Ordine, prega, mangia, lavora, condivide il proprio vissuto con i confratelli; con essi vive momenti di letizia, di gioia e accetta i momenti di fatica e di conflitto che immancabilmente vengono a visitarci».
Quali sono i “segni” che indicano la sincerità di questa appartenenza? Fra Mauro li elenca di seguito. Il primo riguarda il rapporto con il denaro. Esemplificando, parte da quanto è scritto nelle costituzioni: «A motivo della nostra professione religiosa siamo tenuti a consegnare alla fraternità tutti i beni, compresi stipendi, pensioni, sovvenzioni, assicurazioni che in qualunque modo ci pervengono. Mi rivolgo ora al fratello che possiede conti bancari, o gestisce denaro all’insaputa del proprio Ministro e guardiano, a colui che non consegna alla fraternità le offerte o i compensi derivanti dal ministero o dal lavoro, perché afflitto dalla preoccupazione di “come sarà il domani”, quando sarò anziano, ammalato ecc. Così pure scrivo al frate che decide di usare il denaro per aumentare il proprio tenore di vita, per concedersi privilegi che non hanno nulla a che spartire con la minorità – povertà. A questi fratelli dico: convertitevi e ritrovate la fiducia nella Provvidenza, vivete ciò che avete liberamente scelto e professato; fidatevi della vostra fraternità!».
Un altro segno di appartenenza è l’accettazione dei trasferimenti. “Nessuno dovrebbe dire – scrive fra Mauro – Io sto bene qui, perché dovrei trasferirmi?”. E sottolinea: «La conclusione traetela voi. Io chiedo a me e voi: “cosa significa per noi stare bene?”».
A incrinare questa appartenenza c’è poi il rischio dei cosiddetti “cammini paralleli”, di quella che è stata definita “la doppia appartenenza” ossia l’immedesimazione di alcuni frati con movimenti, gruppi di preghiera ecc. fino a identificarsi con essi. Ora, osserva fra Mauro, «in alcuni di loro si è realizzata quella benefica dinamica conosciuta come “dialogo tra i carismi” che genera ricchezza e sostegno reciproco alle rispettive vocazioni. Questi fratelli vivono la loro presenza con libertà, testimoniando il nostro carisma. In altri è scattata una dinamica di identificazione nella realtà con cui si è venuti a contatto a tal punto da far insorgere la pretesa che la fraternità debba accogliere tutto ciò che proviene dal movimento o dal gruppo incontrato». Certamente, è vero che «il dialogo tra i carismi genera ricchezza, accoglienza, ma è anche vero che «la doppia appartenenza genera conflittualità, tensione e fa perdere di vista l’originalità della propria vocazione... ».
Esistono poi, sottolinea fra Mauro, «altre situazioni che creano scissione e divisione nella singola persona e nei rapporti con i fratelli; mi riferisco alle relazioni affettive vissute di nascosto, per le quali non si vuole chiedere nessun aiuto e che portano inevitabilmente testa e cuore fuori dalla fraternità».
Rafforzarel’appartenenza
Come rafforzare il senso di appartenenza? «Abbiamo bisogno – sottolinea fra Mauro – di fare memoria della vocazione alla vita fraterna che contraddistingue la nostra vita. I ministri provinciali, i custodi e i guardiani, hanno il compito d’informare e di condividere gli orientamenti e le proposte che nascono dall’Ordine, le scelte compiute dal Capitolo provinciale e come si è giunti a formularle. Il senso di appartenenza è coltivato dai momenti di festa per gli anniversari importanti nella vita delle comunità e dei singoli. Normalmente, nelle province e nelle fraternità, si fa molta critica, un po’ di benefica autocritica, troppe recriminazioni e lamenti. Proviamo a benedire il Signore, grati per ciò che di buono e di bello ha realizzato in noi e fra noi; sarebbe davvero triste e preoccupante se non lo vedessimo più!».
L’appartenenza deve occupare un posto importante nel cammino di formazione, incoraggiando i formandi «a lasciare l’uomo vecchio con tutte le sue abitudini e a vivere la nuova appartenenza a Cristo che si realizza nella vita consacrata. Il distacco dalla propria famiglia, dalle abitudini e dai luoghi da cui proveniamo vogliono essere il segno di questa nuova appartenenza. I tempi prolungati di preghiera e di silenzio, contatti esterni limitati allo stretto necessario, sono gli elementi che aiuteranno coloro che abbracciano la nostra vita a radicarsi nell’amicizia con il Signore che dona il centuplo a coloro che lo amano come il primo di tutto. In questa opera formativa l’esempio dei formatori e della fraternità sono indispensabili».
Infine, «la nostra appartenenza a Cristo, alla Chiesa e all’Ordine richiama la dimensione escatologica della vita religiosa. La vita sobria, essenziale e gioiosamente semplice, ci pone nella condizione di attendere fiduciosi e lieti la pienezza che non appartiene a questo mondo, ma a quel compimento che Dio ha preparato per i suoi figli quando godremo della piena comunione con Lui». Fra Mauro conclude affermando: «Il frate che vive la sua appartenenza all’Ordine con letizia e riconosce nella vita fraterna la sua identità, diventa affascinante e capace di una grande fecondità spirituale».
La lettera reca la data del 4 ottobre 2014, solennità di san Francesco d’Assisi ed è indirizzata a tutti i frati dell’Ordine e alle sorelle clarisse.
A.D.