Antonio Dall'Osto
momento di grande possibilità
2014/12, p. 5
L' Assemblea si è svolta nella luce della Evangelii GAudium di papa Francesco. Ne ha assunto il tono e accolto gli stimoli ritrovando coraggio e individuando vie e scelte nuove di impegno nella Chiesa e nel mondo d'oggi.

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Testimoni
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54° Assemblea Cism
MOMENTO
DELLA GRANDE POSSIBiLITÀ
L’Assemblea si è svolta nella luce della Evangelii gaudium di papa Francesco. Ne ha assunto il tono e accolto gli stimoli ritrovando nuovo coraggio e individuando vie e scelte nuove di impegno nella Chiesa e nel mondo d’oggi.
Qual è la missione della Chiesa oggi e quale il contributo dei religiosi italiani? Se lo sono chiesti i superiori maggiori d’Italia nel corso della loro 54a Assemblea generale (CISM), che si è svolta a Tivoli dal 3 al 7 novembre scorso sul tema Missione della Chiesa e la vita consacrata. Una lettura dell’Evangelii gaudium. Erano circa in 130, in rappresentanza dei 20 mila consacrati che operano attualmente nel nostro paese.
L’interrogativo è stato messo a fuoco nella luce dell’Evangelii gaudium di papa Francesco. A dare il tono alla riflessione è stato p Luigi Gaetani, presidente della Cism, il quale ha affermato: «I religiosi d’Italia hanno piacere di sognare lo stesso sogno di papa Francesco: una scelta missionaria della Chiesa capace di trasformare ogni cosa. Vogliamo coinvolgerci attraverso la gioia dell’annuncio, dove la buona notizia è gioia e speranza, dialogo con l’uomo, con chi non crede, chi è lontano, è povero e in difficoltà. Occorre non pensarci nella logica dell’autopreservazione, ma in stato di “uscita”, come popolo di Dio che evangelizza perché evangelizzato; come comunità di discepoli missionari che prendono l’iniziativa e si coinvolgono, che accompagnano, fruttificano e festeggiano. Una comunità che non ha paura di fare il primo passo, che va incontro, che cerca i lontani e arriva agli incroci delle strade per invitare gli esclusi». E, per fugare ogni pessimismo, ha aggiunto: «Crediamo che il futuro della vita religiosa non sia affatto nero perché non è un mondo che sta morendo, ma un nuovo mondo che sta nascendo e noi dobbiamo avere occhi per scrutare gli spazi della speranza e cuore per piegarci su ogni uomo».
Per una vita religiosa“in uscita”
L’assemblea si è posta quindi in un clima di speranza, nello spirito che papa Francesco sta infondendo alla Chiesa. Ed è stato proprio papa Francesco il punto continuo di riferimento di tutte le giornate dei lavori. Espressioni caratteristiche come “uscire”, “andare nelle periferie, “svegliare il mondo”, che egli continuamente rilancia, hanno costituito come il refrain di tutti gli interventi e guidato quel discernimento che p. Fidenzio Volpi, segretario della Cism, ha auspicato nella sua relazione di apertura. Infatti, ha sottolineato, «solo un valido discernimento personale e comunitario, permette di prendere coscienza di qualcosa che viene da qualcuno più grande a favore di qualcuno che incontro, generando lo stile del servizio, che è il vero potere». Ciò consente di avere «una visione “aperta” che dà sostanza a ciò che papa Francesco intende per “riforma”, che ha il suo fuoco nel cuore e non nelle strutture. E come custodi dell’intera creazione e di ogni persona, vivere nella costante attenzione a Dio, aperti ai segni dei tempi, lungimiranti».
Interrogati dall’Evangelii gaudium, ha sottolineato p. Gaetani, occorre «vivere con audacia sulle frontiere, come riserva di futuro». Si tratta di «una missione che esige un continuo rinnovamento e richiede un amore non rassegnato per cercare l’uomo lungo le periferie umane e geografiche». E ha commentato: «Le conseguenze di quello che papa Francesco sta proponendo alla Chiesa sono enormi. Non si tratta di un maquillage, ma di una conversione che produce la sensazione della vertigine. Non possiamo lasciare le cose come stanno. La vita consacrata è dono alla Chiesa, vi nasce, cresce e ad essa è orientata. I carismi non sono un dono congelato, ma vivo e vitale, inserito nella storia. Un vero rinnovamento della vita consacrata è possibile sempre all’interno del cammino di fede del popolo di Dio. La vera ricchezza di una comunità religiosa si esprime nell’essere e nel compiere, all’interno della Chiesa locale, ciò che le è proprio, attualizzando il carisma e lo stesso servizio ecclesiale».
Cinqueprovocazioni
L’Evangelii gaudium¸ ha affermato da parte sua p. Gianpaolo Salvini sj, ex direttore della rivista Civiltà Cattolica, non può non interrogare i religiosi. A suo parere sono cinque le provocazioni che ne derivano per i consacrati e che ha così formulato: «Siamo capaci di vivere la missione con gioia o siamo presi dal pessimismo e dalla stanchezza? Se c’è stato un vero incontro con Gesù, che ridona il senso della vita, non si può contenere il desiderio di comunicarlo agli altri. La nostra missione ha quel dinamismo che spesso sembra perduto o indebolito per essere Chiesa in uscita, nella continua tensione tra carisma e istituzione? I diversi carismi sanno rigenerarsi in un contesto mutato, un mondo secolarizzato e appiattito sull’oggi e le sue sfide: dall’ idolatria della scienza e del denaro, all’economia impersonale che si dimentica della persona umana che dovrebbe servire? Siamo abituati ad essere una minoranza, intendendo questo come qualità, sale, lievito, come i nuovi martiri dei nostri giorni insegnano? A mettere inquietudini nel modo di pensare e vivere dei nostri contemporanei, sconvolgendo con il Vangelo i criteri di pensiero dell’umanità?».
“Religiosi,svegliate il mondo”
Piena di stimoli e di provocazioni è stata in particolare la relazione di mons. Nunzio Galantino, vescovo di Cassano all’Ionio e Segretario generale della CEI, il quale si è ricollegato con l’udienza concessa dal papa ai superiori generali a conclusione della loro 82a Assemblea generale dello scorso anno. In quell’incontro il papa aveva insistito a più riprese: «Siate testimoni di un modo diverso di fare, di agire, di vivere! È possibile vivere diversamente in questo mondo. Stiamo parlando di uno sguardo escatologico, dei valori del Regno incarnati qui, su questa terra. I religiosi devono essere uomini e donne capaci di svegliare il mondo!».
Il vescovo, riferendosi sempre a papa Francesco, ha indicato tre tentazioni da evitare e tre parole per uscirne. La prima tentazione, che può frenare il cammino, è anzitutto quella dell’“irrigidimento ostile”, ossia «quello che prende quanti si chiudono nella lettera e non ne colgono più lo spirito: si può essere, allora, anche zelanti e scrupolosi, ma ci si condanna a non lasciarsi sorprendere da Dio, dal Dio di Gesù di Nazaret».
La seconda è quella del “buonismo distruttivo” che è «una caricatura della bontà, che spinge a trattare i sintomi e non le cause e le radici; è un travisamento della misericordia, ridotta a fasciare ferite senza preoccuparsi di disinfettarle e di curarle davvero».
C’è poi un terza tentazione che consiste nel trascurare la realtà con l’utilizzo di una lingua minuziosa e di un linguaggio di levigatura per dire tante cose e non dire niente! Le chiamavano bizantinismi queste cose...».
«Per vincere queste tentazioni che si manifestano anche nelle diverse forme che degradano la vita religiosa confinandola nella meschinità e rendendola semplicemente infruttuosa, ha affermato Galantino, la via indicata dal Vangelo è riassunta in una parola, per la precisione in un verbo, che abbiamo imparato a riconoscere come uno dei capisaldi dell’insegnamento di papa Francesco: uscire. Si tratta di uscire per abbracciare la prospettiva della periferia: «I grandi cambiamenti della storia – diceva lo scorso anno – si sono realizzati quando la realtà è stata vista non dal centro, ma dalla periferia». E spiegava che si tratta di una “questione ermeneutica”, per cui «si comprende la realtà solamente se la si guarda dalla periferia, e non se il nostro sguardo è posto in un centro equidistante da tutto». «Per capire davvero, ha precisato mons. Galantino, ci insegna Francesco, dobbiamo uscire spostarci dalla posizione di calma e di tranquillità e dirigerci verso la zona periferica: stare in periferia aiuta a vedere e capire meglio, a fare un’analisi più corretta della realtà, rifuggendo dal centralismo e da approcci ideologici».
Occorronoscelte precise
Il nostro uscire, ha commentato il vescovo, rimanda a delle scelte precise. Anzitutto un decentrarsi che comporta di saper prendere le distanze sia dalle proprie idee – quante volte indebitamente assolutizzate! – sia dalle stesse opere.
Una seconda scelta, se si vuole vivere questa dimensione di Chiesa in uscita, è la disponibilità a vincere la paura rispetto a ciò che è altro da noi, specie quando la diversità si configura come complessità e problematicità. A tale proposito, Francesco richiamava la necessità di combattere il “fantasma” di una vita religiosa intesa come rifugio e consolazione.
La terza scelta, inerente all’invito ad uscire, significa anche rifarsi lo sguardo o, meglio, assumere lo sguardo di Cristo: se assumeremo il suo modo di pensare, di vivere e di relazionarsi – ci ricordava il papa in quella sera d’inizio ottobre – non faticheremo a individuare nuove indicazioni e nuovi percorsi per la nostra pastorale e per la nostra stessa presenza. Perché «ogni volta che torniamo alla fonte dell’esperienza cristiana, si aprono strade nuove e possibilità impensabili».
Per fare in modo che tutto questo passi dal piano delle buone intenzioni a quello della realtà, mons. Galantino ha indicato tre condizioni necessarie. La prima è la vita comunitaria, una vita di relazioni fraterne: «In un contesto frammentato e spesso incapace di alimentare rapporti duraturi, la fraternità oggi ha una forza di attrazione enorme: sicuramente costa, tante volte sarà pure lacerante – perché non parliamo di rapporti tra angeli –, ma nella vita religiosa è conditio sine qua non di fecondità.
La seconda rimanda alla necessità di essere autenticamente radicati in un determinato carisma, alla cui appartenenza in ultima analisi ci si trova legati non da argomentazioni, quanto piuttosto da esperienze concrete, che coinvolgono con il metodo evangelico del “Vieni e vedi…”.
La terza e ultima condizione rimanda alla necessità di essere profondamente immersi nella realtà, facendone esperienza: non per nulla il papa a più riprese ci fa capire quanto sia importante il contatto reale con i poveri, conoscerne il vissuto e farne proprio lo sguardo sulle cose, fino ad accettare anche di imparare da loro.
“Smettere di starea guardare dalla finestra”
Anche mons. José Carballo, segretario generale della Congregazione per la vita consacrata, si è soffermato sulla parola uscire invitando a «smettere di stare a guardare dalla finestra», come dice il papa, ma a scendere nella strada antistante o limitrofa, creare ponti, vincoli, assumere le situazioni di povertà, di ingiustizia, di una dura realtà di esclusione che nega la dignità della persona, dove si soffre violenza e discriminazione». Uscire prima che un movimento fisico è «un moto interiore, un processo che libera dall’egocentrismo». Per questo è essenziale coltivare la libertà interiore, perché «non si è disponibili una volta per tutte». «Siamo cercatori del volto di Dio – ricorda ai provinciali – in quelli deformati di tanti fratelli e sorelle». Ha quindi indicato tre atteggiamenti da assumere: andare, abitare e attraversare le frontiere.
Carballo ha concluso esprimendo quattro desideri, pensando all’anno della vita consacrata: «Lasciarci evangelizzare e riconciliare, aver cura delle persone e ravvivare le comunità, amici dei poveri e dei diversi, coraggio nel trasformare le strutture per vivere più evangelicamente ed impegnarci di più nell’annuncio del Vangelo».
Imitare l’esempiodi papa Francesco
La 54° Assemblea Cism, sollecitata dagli inviti e dall’esempio di papa Francesco, ha avuto una vivacità per così dire giovanile quale da tempo non si riscontrava in analoghi incontri. Forse il messaggio più stimolante che essa ha trasmesso, in risposta all’interrogativo iniziale “qual è la missione della Chiesa oggi e quale il contributo dei religiosi italiani?” è raccolto nelle parole di don Luciano Manicardi, vice priore della comunità di Bose. Di fronte ai tanti problemi che la vita consacrata sta attraversando e al rischio, da parte di molti, della perdita di fiducia, ha detto: «Francesco ha 78 anni, ma sa vivificare la sua anzianità con una fede e un entusiasmo che lo rendono più giovane di tante persone anagraficamente più giovani. E si trova a governare una Chiesa cattolica attraversata da gravissime crisi di credibilità (pedofilia, scandali finanziari, divisioni e perfino lacerazioni interne al corpo ecclesiale), ma anche da una grave crisi di motivazioni, soprattutto nei paesi di antica cristianità dove la stanchezza diventa tristezza e dunque sconfessione della gioia evangelica, della testimonianza gioiosa che deve sgorgare dall’adesione al Signore. Occorre prima di ascoltare i suoi discorsi, guardare al suo esempio: guardare come vive, come si muove, come abbraccia, come parla, presso chi si ferma, come “esce”, per riprendere un verbo a lui molto caro, egli non dimora nemmeno nei palazzi vaticani, ma si decentra, sta ai margini, preferisce il periferico. Guardare e imparare dal suo esempio. Egli rende credibile il vangelo, centro evidente di ogni suo discorso come anche del suo programma di riforma ecclesiale, perché il vangelo è creduto e vissuto da lui in prima persona. Lì la sua forza. Papa Francesco sta chiedendo alla Chiesa la capacità e il coraggio di una riforma, di un cambiamento, di un rinnovamento, e questo vale in particolare per la vita religiosa che è inserita in modo vitale nella Chiesa e che è connotata da una dimensione costitutiva di ecclesialità. Nessun alibi, nessuna scusa, nessun ritirarsi dietro la realtà di vecchiaia, stanchezza, perdita di forze, mancanza di ricambio. Questa è la realtà che si è chiamati a vivificare. Per la vita religiosa è il momento della grande possibilità, è il momento del coraggio, è un momento da non sprecare. Chi ha una responsabilità di comunità sa di avere questa responsabilità davanti a Dio e a lui dovrà rendere conto».
L’assemblea si è conclusa con l’udienza del papa ai Provinciali e il discorso pronunciato per la circostanza (cf. fuoritesto).
A.D.